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direttore Paolo Pagliaro

La lotta del sapere condotta dalle Minerve d'Italia

Ritratti
Una galleria giornalistica di ritratti femminili legati all'Unità d'Italia. Donne protagoniste nell'economia, nelle scienze, nella cultura, nello spettacolo, nelle istituzioni e nell'attualità. Ogni settimana due figure femminili rappresentative della storia politica e culturale italiana passata e presente.

La lotta del sapere condotta dalle Minerve d'Italia

La prima laurea discussa da una donna nell’Italia unita, nel 1877, all’Università di Firenze fu in medicina. E per di più la neo-dottoressa non era neanche italiana. Ernestina Paper, era nata da una famiglia ebrea di Odessa, aveva studiato per un anno a Zurigo, nella prima università europea che aveva aperto i corsi alle donne e dove, 10 anni prima, si era laureata la 24enne Nadeschda Suslowa, la prima donna medico europea ( “battuta” sul tempo, però, dalla laurea del 1849 negli Stati Uniti di Elizabeth Blackwell). Nel 1878 Ernestina apre il suo studio a Firenze dove cura praticamente solo donne e bambini (anche se si ricordano tra i suoi pazienti i fratelli Rosselli). Anche la seconda laureata del Regno d’Italia fu un medico: Maria Farnè Velleda discusse la sua tesi nel 1878 all’Università di Torino, dove si specializzò anche la russa Anna Kuliscioff che tentò inutilmente di entrare in un ospedale pubblico e, dal 1888, riuscì ad esercitare la professione di ginecologa solo nell’ambulatorio medico gratuito aperto a Milano dall’emancipazionista Alessandrina Ravizza. Perché solo la ginecologia e la pediatria (la 26enne Maria Montessori si laurea nel 1896 a Roma) erano le specializzazioni che la società medica ammetteva per le prime “dottoresse”. Alle 367 donne medico che si contano nel 1938 ci si arriverà attraverso pioniere che dovranno rompere remore misogine, anche tra gli stessi pazienti. Aldina Francolini, laureata in medicina a Firenze nel 1889, seppur nipote del celebre architetto Felice che ridisegnò il volto di Firenze, nel 1902 lamenta sulla rivista femminile “Cordelia” di aver dovuto affrontare tra i pazienti “una contrarietà strana, una riluttanza inesplicabile, una sfiducia direi quasi insultante” e tra i colleghi uomini “ostacoli in tutti i modi, con tutti i mezzi più o meno leali e dignitosi”. Vittima di questi “ostacoli” lo sarà anche la prima donna dell’Italia unitaria laureata in diritto, nel 1881, a Torino. La 24enne Lidia Poet, di famiglia valdese, diventa la prima italiana iscritta nell’albo degli avvocati (ed italiana era peraltro la prima donna avvocato al mondo: Giustina Rocca che a fine ‘400, sotto dominio veneziano, esercitò al Tribunale di Trani, ispiratrice di Porzia nel Mercante di Venezia di Shakespeare). Ma, nel 1883, la corte d'appello di Torino, su ricorso del pm, revoca l’iscrizione sostenendo che “la professione forense deve essere qualificata come un ufficio pubblico e come tale l’accesso è per legge vietato alle donne”. Poet perde anche il ricorso in Cassazione, i cui giudici si rivelano ancor più misogini sentenziando su “ragioni d’indole morale e sociale” che impediscono l’iscrizione: si teme addirittura che le toilette di moda possano far perdere dignità alla toga, che le seduzioni femminili possano inquinare l’imparzialità della corte, che le stesse donne, considerate incostanti, possano arrivare anche a fare i giudici (solo dal 1877 le donne erano state ammesse come testimoni negli atti civili) Ma il caso Poet mentre, nel 1900, la Francia apre le porte per legge alle donne avvocato, fa esplodere le proteste. E altrettante polemiche solleva la revoca per vie legali, nel 1912, all’albo degli avvocati di Roma, di Teresa Labriola, laureata nel 1894 a Roma e quindi libera docente di filosofia del diritto. Nel 1914 stesso rifiuto, sempre a Roma, per la richiesta di iscrizione della prima donna tra i praticanti notai (che sarà possibile solo negli anni Trenta con Adelina Pontecorvo, che in realtà sognava di fare il magistrato). Si dovrà quindi attendere il 1919 per vedere approvata la legge n.1176 che abolisce l'autorizzazione del marito e l'ammissione delle donne ai pubblici impieghi (ma esclusi quelli che implicano poteri giurisdizionali, politici e di difesa: solo nel 1961 le donne potranno accedere a tutti i pubblici uffici). La legge la si deve al futuro guardasigilli Lodovico Mortara che, da magistrato, ad Ancona, nel 1906 - l’anno in cui Sibilla Aleramo pubblica “Una donna”, il primo romanzo del femminismo italiano - è l’unico presidente di corte  che non ha annullato le iscrizioni nelle liste elettorali delle donne che hanno risposto all’appello suffragista lanciato da Maria Montessori.

Oltre a Livia Poet e Teresa Labriola furono solo altre quattro le donne laureate “giuriste” tra il 1877 ed il 1900: Bice Mozzoni nel 1897 (Roma), Iriade Tartarini (Macerata) e Maria Caterina Bruno (Catania) nel 1898 e la torinese Maria Biffignardi, prima italiana a conseguire tre lauree: in giurisprudenza nel 1896, in Lettere nel 1899 e in Filosofia nel 1900. E in quegli anni le italiane che arrivano ad indossare la toga ed il tocco di laurea saranno in totale 257, delle quali 31 con una doppia laurea: 140 laureate in Lettere, 37 in Filosofia, 30 in scienze, 24 in medicina e chirurgia, 20 in matematica. Ma è solo un primo passo. All’Università di Palermo, nel 1946, a studiare legge saranno ancora solo in cinque.

Nel 1900 - 26 anni dopo che in Italia era stato permesso l’accesso delle donne ai licei e alle università in Italia -, risultano iscritte negli atenei 250 donne, 287 nei licei, 267 nelle scuole di magistero superiore, 1178 ai ginnasi e quasi 10mila alle scuole professionale e commerciali (che diventeranno 100mila nel 1914). E’ Torino la città italiana che - oltre ad aver dato i natali alla prima donna con patente automobilistica, Ernestina Prola, nel 1907 - fino al 1912 registra il più alto numero di professionalità femminili: 40 professoresse, 9 donne medico, 3 donne ingegneri, 2 avvocatesse. Nel 1902 si laurea la prima farmacista, Zagnago (nel 1935 le donne iscritte a farmacia saranno 1.137). E al Politecnico di Torino, nel 1903, Emma Strada è la prima donna iscritta e, nel 1908, la prima laureata in ingegneria in Europa, con il massimo dei voti. Perché le prime laureate sono “costrette” ad eccellere per dimostrarsi all’altezza degli uomini (solo nel 2005 l’Unione europea vede nascere il “Codice Minerva” per garantire la parità di valutazione tra ricercatori). La prima donna iscritta dopo l’Unità d’Italia alla facoltà di medicina dell’Università di Bologna, nel 1878, la imolese Giuseppina Cattani, di umili origini ed amica di Anna Kuliscioff, ripete l’esame di anatomia, pur conseguito con il massimo dei voti, solo per ricevere la lode. Laureatasi nel 1884, a 25 anni, diventa assistente del patologo Guido Tizzoni, con il quale riesce ad isolare una coltura del bacillo del tetano che porterà al siero antitetanico. Nel 1887 diventa libera docente di patologia generale e tenta invano di passare gli esami per diventare professore ordinario. Prima donna a salire su una cattedra universitaria nel Regno d’Italia, quella di zoologia, all’Università di Sassari, nel 1908 è la 37enne lombarda Rina Monti, laureatasi a Pavia nel 1892, iniziatrice della prima scuola di limnologia in Italia. E, sempre a Sassari, nel 1915, la 29enne Eva Mameli, futura madre di Italo Calvino, diventa la prima italiana ad avere la libera docenza in botanica. Ad assecondare i suoi interessi scientifici è stato il padre, colonnello dei carabinieri. Sono invece solo due le donne che hanno una la libera docenza di storia del risorgimento prima del 1945, Angela Valente ed Emilia Morelli. Si conta una sola medievista Gina Fasoli e nessuna storica modernista. 

Eppure fu proprio italiana la prima docente universitaria al mondo. Si narra che la nobile Bettisia Gozzadini, laureata in legge nel 1236, a 27 anni, insegnasse a volto velato per non distrarre con la sua grande bellezza gli studenti dello Studium di Bologna, appunto la più antica università del mondo. Fatto sta che anche la sua abilità oratoria doveva essere grande se, nel 1242, compose l’orazione funebre del vescovo di Bologna e poi le sue lezioni dovettero essere svolte all’aperto perché l’aula non riusciva a contenere tutti gli ascoltatori. Quasi un secolo dopo, negli anni ‘20 del Trecento, le cronache narrano di un paravento che celava durante le sue lezioni anche un’altra bella erudita dello Studium, Novella d’Andrea, che faceva da supplente al padre canonista e che ebbe per sorella Bettina, che insegnò legge e filosofia all’università di Padova, dove lavorava suo marito. E, sempre allo Studium, si ricorda che dopo la metà del Duecento, all’ombra di due grandi docenti e giuristi dell’ateneo, il padre Accursio e il fratello Francesco d’Accorso (messo da Dante tra i sodomiti), insegnò diritto anche la dotta Accursia. Ancora lo Studium bolognese e l’Università di Padova aprono le loro aule, nel Trecento, ad altre “professore” di diritto, rispettivamente Maddalena Buonsignori e Bianca Borromeo. E a fine Quattrocento, a Padova, si ricorda la  ventenne veneziana Cassandra Fedele, ex bambina prodigio che, pur non laureata, teneva testa agli accademici in pubblici dibattiti di filosofia. E sempre veneziana era Cristina di Pizan, figlia dell’astronomo di corte di Carlo V, a Parigi, che diventa la prima scrittrice della storia francese, autrice, a 41 anni, de “La città delle dame”, in cui esaltava l’ingegno femminile in risposta al “De mulieribus claris” del Boccaccio. A Padova si laurea poi, nel 1678, a 32 anni, quella che viene considerata la prima “laureata ufficiale” del mondo moderno, la dotta e poliglotta (parlava 6 lingue) Lucrezia Cornaro Piscopia, rampolla di una famiglia di dogi e cardinali. Le fu impedito di laurearsi in teologia e dovette ripiegare su una laurea in teologia. E, dopo la laurea, il senato accademico fece giungere una lettera ai tutti i rettori nella quale si intimava di non accettare più iscrizioni di donne, senza preventiva autorizzazione. Ma questi, ed altri, sono tutti casi eccezionali di donne cui è permesso di emergere nell’ombra di parenti maschi e che diventano sempre più rari quando, dal Rinascimento in poi, negli spazi accademici si rafforza la presenza ecclesiastica. Alle donne che vogliono dedicarsi allo studio non restano che i padri “illuminati”, che decidono di erudirle oltre il recinto delle arti femminili (come il padre di Diodata Saluzzo di Roero: nel 1802, a 28 anni, prima donna ad essere ammessa alla Reale Accademia delle Scienze di Torino). Altrimenti resta la strada del convento: nel solco delle filosofe medievali come Eloisa e Ildegarda di Bingen. Non a caso fra Timoteo da Lucca nel 1497, a Venezia, davanti al Doge, tuona contro i monasteri diventati “postriboli e bordelli pubblici”. E infatti, proprio nei conventi, si registrano la maggior parte delle scienziate conosciute, dedite alle “scienze dure” sulle orme della leggendaria matematica Ipazia e della moglie di Pitagora: una decina nel medioevo (tra cui la salernitana Trotula, considerata la prima ginecologa della storia dell’Occidente, ma i cui libri saranno trascritti dagli amanuensi con la firma maschile di "Trottus"), pochissime tra ‘400 e ‘500, 16 nel 1600, 24 nel 1700 (tra cui l’entomologa tedesca Sibylla Merian che nel 1699, a 52 anni, lascia il marito e con la figlia ventenne parte alla volta del Suriname, 90 anni prima di quella che è considerata la prima spedizione scientifica “ufficiale”, il giro del mondo di Alessandro Malaspina al servizio della corona di Spagna). Nel 1800 il conto sale invece a 108 (tra cui l’americana Ellen Swallow che nel 1870 fonda lo studio dell'ecologia, che inizialmente viene declassato ad “economia domestica”). Tuttavia fu proprio un futuro papa a fare da mentore, a Bologna, a quella che è ufficialmente considerata la prima docente universitaria non a carattere onorario o straordinario, ma stipendiato: Laura Bassi, figlia di un dottore in legge di Scandiano. La sua “lettura universitaria” in filosofia (anche se è una eccelsa fisica e matematica), che le viene conferita nel 1732 - a 21 anni -, la si deve alle forti pressioni che l’arcivescovo di Bologna, Prospero Lambertini, fa sul senato accademico della sua città. Il quale crea un posto in più, proprio per Laura Bassi, all'accademia benedettina. La sua prima lezione, all’Archiginnasio, è un evento epocale che ha una enorme risonanza in tutta Europa - facendola diventare un mito delle femministe dell’epoca - e che non poco influisce all’ascesa al soglio papale del Lambertini, al quale sale 8 anni dopo come Benedetto XIV. Tuttavia, anche in questo caso, il senato mette subito dei paletti alla nomina. D’altronde solo 10 anni prima aveva negato di concedere la laurea in giurisprudenza alla figlia di un conte bolognese, Maria Vittoria Dolfini Dosi, per quanto fosse “spinta” dai reali di Spagna; essendo, si sentenziò, "una discordanza grammatica, il dire una femmina dottore come sarebbe chi dicesse femmina generoso o femmina cavaliere". E tali e tante furono le polemiche che nel 1723, all'accademia dei Ricovrati di Padova, si tiene una storica seduta-querelle  dal titolo “Se debbano ammettersi le Donne allo studio delle Scienze e delle belle Arti”, con Gozzi, Beccaria e Parini schierati per il sì ed un'orazione della prodigiosa decenne milanese Maria Gaetana Agnesi. Nel caso di Laura Bassi il senato bolognese precisa quindi che la laurea vuole essere un premio per la “vergine dottrice”  e che essa può tenere lezione solo su autorizzazione, a causa del suo stato nubile. Ma anche quando lei si sposa (con un collega fisico) le cose non cambiano, anche se diventa la regina delle "esibizioni" scientifiche nel gran mondo dell’aristocrazia. Pertanto, nel 1749, apre una scuola di fisica sperimentale nella sua abitazione. Solo 10 anni dopo, per ripagarla delle spese, l’Università le alza lo stipendio a mille lire e solo nel 1776, ormai 65enne, ottiene la docenza di fisica sperimentale nell'Istituto delle scienze, alla pari con i colleghi maschi, con il marito a farle da assistente. Laura Bassi, in qualità di "collegiatrix onoraria" dell’Università di Bologna accompagna, nel 1751, alla laurea in filosofia (ma anche lei è una dotta in fisica), la prima donna a conseguire una laurea dopo essere stata regolarmente immatricolata, la nobile rodigina 19enne Cristina Roccati. E’ “sponsorizzata” dal marchese Giampaolo Pepoli e stavolta l'unico problema posto dagli accademici prima della cerimonia è quello dell'abbigliamento del cerimoniale: si decide che la candidata debba vestire un abito "niger ducalis". Il senato bolognese obbedisce invece docilmente ai "sovrani desideri" del Lambertini, ormai papa, quando, nel 1750, conferisce la “lettura” di matematica (prima ad una donna e sempre onoraria) alla 32enne milanese Maria Gaetana Agnesi, autrice due anni prima del libro “Istituzioni analitiche”, giudicato dall'Accademia delle Scienze di Parigi il trattato più completo di matematica mai scritto e che vale alla sua autrice un anello di brillanti dall'imperatrice Maria Teresa ed un sonetto di Goldoni. Ma, nei fatti, fa solo da supplente al padre, il matematico Pietro Agnesi, che da bambina la faceva esibire in pubblico. E quando il padre muore, nel 1752, può dedicarsi alla sua vera passione: la Bibbia, i poveri, e i malati del Pio Albergo Trivulzio, che lei concorre a fondare. La sua immensa erudizione, unita alla grande umiltà, non mancò di diventare facile obiettivo. E’ lei la “maestra” che si sarebbe rinchiusa in convento per celare in realtà la sua ignoranza (lei che ha dato il nome ad una curva geometrica, lei cui l’Accademia di Torino chiede di esaminare i lavori di Lagrange sul calcolo delle variazioni!...), messa aspramente alla berlina dall’anatomista bolognese Petronio Zecchini in un trattato, pubblicato anonimo nel 1771, nel quale si sostiene che le donne pensano solo con l’utero e non possono quindi dedicarsi agli studi. Tanto per la cronaca Zecchini, nel 1776, finirà poi sotto processo perché, trasferito a Ferrara, aveva portato al disastro il locale corso di medicina. Contro questa misogina tesi si schiera il giovane anatomista bolognese Germano Azzoguidi, che difende l’onore della Agnesi, di Bassi e anche di Anna Morandi, altra “dottora”- in anatomia -, protetta dal pontificato lambertiniano. Quest’ultima, collaboratrice del marito Giovanni Manzolini, diventa più brava di lui nell’arte della ceroplasta, su cui tiene affollati corsi “casalinghi”. La Royal Society di Londra e Caterina di Russia si fanno avanti per portarla nei loro lidi. E, quando Manzolini muore, nel 1775, l’ateneo bolognese decide finalmente di stipendiarne la moglie. Ma in modo giudicato da lei stessa non sufficiente: infatti Anna Morandi continuerà a tenere in privato le dissezioni di cadaveri più seguite dell’epoca (tra i suoi “allievi” si conta anche Giuseppe II, nel 1769). Alla sua morte, nel 1774, Luigi Galvani viene nominato conservatore della collezione della scienziata e nel suo discorso di insediamento loda l’ingegno delle donne che emergerebbe "se non marcissero il più delle volte nella più completa ignoranza, come nella più cupa delle prigioni". Di lì a poco Bologna avrà una nuova cattedratica, sempre dal talento prodigioso. Insegna infatti greco, dal 1773, senza essere neanche laureata. La 35enne Clotilde Tambroni, figlia di un cuoco, impara l’antica lingua solo assistendo alle lezioni che Emanuele Aponte impartisce ad uno studente in una stanza della sua casa, che il padre ha affittato al celebre grecista. Che, scoperte le doti della giovane, la prende come allieva. Clotilde lascia l’Italia per non giurare fedeltà alla Repubblica Cisalpina e viene accolta con tutti gli onori alla corte di Spagna, dove poteva leggere anche i libri messi all’Indice, per speciale dispensa del Papa. Poi il governo napoleonico crea una cattedra tutta per lei, per riaverla a Bologna. Nel 1806 sarà la prima donna ad avere l’onore di inaugurare un anno accademico. Tra i presenti alla cerimonia c’è anche Maria Dalle Donne che sette anni prima Tambroni aveva accompagnata alla laurea, in anatomia, discutendo la tesi davanti al figlio di Laura Bassi. Da bambina era cresciuta con un sacerdote cugino del padre, a Medicina dove il medico condotto del paese aveva scoperto il suo talento scientifico. E’ ricordata come la direttrice della prima scuola per levatrici della città, nel 1804. E ancora si ricorda Maria Pellegrina Amoretti, nipote di scienziato, che nel 1777, dopo essere stata rifiutata dall'Università di Torino, si laurea a 21 anni in diritto alla Regia Imperial Università di Pavia, sotto dominio austriaco. La seduta di laurea, per la folla presente, si deve tenere  in una chiesa sconsacrata. Parini le dedica l’ode “La laurea”. Muore a soli 31 anni. 

L’esempio delle “professoresse” italiane fa scuola anche all’estero. Laura Bassi ed Elena Cornaro Piscopia sono le figure che guideranno le scelte di Dorothea Erxleben che, all'Università di Halle, nel 1754, arriva a laurearsi in medicina. Quattordici anni prima le era stato permesso di assistere alle lezioni se accompagnata dal fratello ma questo era dovuto partire per la guerra e lei, scrivendo anche un pamphlet, aveva intrapreso una battaglia in difesa del diritto delle donne allo studio. Quaranta anni dopo, nel 1791, Olympia de Gouges, ideatrice della "Dichiarazione dei diritti delle donne", finirà sulla ghigliottina, un anno prima di Luigi XVI. Avrà tirato un sospiro di sollievo la 36enne Marianna Candidi Dionigi, la prima italiana ad occuparsi di archeologia, che aveva rifiutato l’invito del re francese di diventare istitutrice di corte, continuando a fare del suo salotto romano un grande ritrovo culturale dell’epoca. In piena rivoluzione francese, per frequentare il Politecnico di Parigi, aperto nel 1794 ma chiuso alle donne, la 18enne Sophie Germain, figlia di un ricco mercante, assume l’identità di uno studente. Finché Lagrange ne scopre l’identità perché insiste per conoscere di persona quel misterioso “monsieur Le Blanc” che riesce a risolvere qualsiasi problema matematico. E, scopertolo donna, ne sfrutta le dote. L’equazione differenziale di Lagrange solo molti anni dopo prenderà anche il nome di Germain. Eppure il Politecnico parigino non arriverà mai a concederle la laurea che otterrà, ad honorem, all’università di Gottinga. Dove nel 1874 ottiene il dottorato con lode la russa Sonja Kovalevskaja, considerata la prima docente universitaria di matematica (in senso “moderno”) al mondo. Ma dove viene rifiuta la docenza ad Emmy Noether (1882-1935), la geniale fondatrice dell'algebra moderna. E sarà una matematica la prima donna siciliana docente universitaria di ruolo: la palermitana Pia Nalli, che sale in cattedra a Cagliari nel 1923, a 37 anni. Nel 1939 vince il concorso di meccanica razionale a Messina la milanese Maria Pastori che ha inizia come maestra elementare, figlia di un custode e di una ricamatrice. La sorella Giuseppina, dagli anni Venti, è diventata una delle maggiori assistenti di padre Agostino Gemelli nella nascente Università cattolica. E’ solo uno dei tanti nomi di scienziate che nel corsi dei secoli hanno instancabilmente lavorato nel cono d’ombra di celebrità maschili: dalla moglie di Pitagora a quella di Einstein, la fisica serba Mileva Maric; da Caroline Herschel, sorella dello scopritore di Uranio, prima donna ad individuare una cometa (e prima donna, nel 1835, nella Royal Astronomical Society britannica), a Marie Anne Paulze, la moglie di  Lavoisier, fondatore nel ‘700 della chimica moderna, a Maria Koenen, la moglie di Giovanni Battista Grassi, che concorse alla scoperta dell’origine della malaria. Quest’ultima nel 1898 fonda insieme a Maria Montessori “L’associazione per la donna” in difesa dei diritti femminili (e la figlia Isabella Grassi dal 1920 guiderà la fondazione della Federazione italiana laureate diplomate istituti superiori che nel 1935 sarà sciolta dal regime fascista). Tra le poche ad eclissare la fama del marito si ricorda la polacca Marie Curie, che ne 1903 riceve il premio Nobel per la fisica (con il marito), la prima delle 16 donne - 5 sole nel 2009 - insignite del premio, tra cui, nel 1986, l’italiana Rita Levi Montalcini.

 
( Marina Greco )

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