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La corsa al Quirinale 
scenari e protagonisti   

di Luca Tentoni  

La battaglia per il Quirinale è ormai iniziata, ma - differentemente rispetto alle altre volte - non sono i candidati a cercare consensi e a costruire aggregazioni e partiti trasversali. Stavolta, a guidare il gioco, è una questione di metodo che nasconde un problema politico. Da un lato, Sergio Mattarella conclude il suo mandato a fine gennaio 2022, quindi è verosimile che il collegio dei Grandi elettori (senatori, deputati, consigli regionali) si riunisca nella prima metà del mese, subito dopo l'Epifania, per scegliere il successore. Ad oggi, i candidati sono due e mezza, se ci si permette l'espressione, perché il principale è Mario Draghi, poi arriva l'improbabile bis (a tempo, come vedremo) di Mattarella e infine la scelta di una terza personalità come Marta Cartabia (una outsider che, a sorpresa, potrebbe farcela). Ad ogni nome corrisponde uno scenario politico. 
L'elezione di Draghi provocherebbe l'immediata fine del suo governo, dunque i partiti dovrebbero trovare subito un nome per un nuovo presidente del Consiglio: ma Salvini vuole le elezioni e può sfasciare tutto, a meno che Forza Italia non confermi il sostegno alla coalizione con Pd, M5s, Leu e centristi, dando vita ad una "maggioranza Ursula" forse guidata dalla Cartabia. Se non si votasse, Draghi non potrebbe comunque far altro che esercitare la benevola protezione del Quirinale sull'Esecutivo che già caratterizza l'opera di Mattarella in questi mesi; se invece si andasse ad elezioni anticipate, Salvini e Meloni probabilmente le vincerebbero, conquistando per uno dei due Palazzo Chigi (Draghi dovrebbe diventare il garante per l'Italia delle destre radicali, compito arduo e forse non sufficiente per garantire simpatie europee nei confronti del Paese). Se si decidesse di eleggere comunque un presidente destinato a restare in carica per sette anni, scartando per un verso l'ipotesi Draghi (destinato a restare a Palazzo Chigi fino a fine legislatura, cioè alla primavera 2023) e per l'altro il bis di Mattarella, si dovrebbe puntare su un nome terzo, appunto quello di Cartabia, come garanzia per tutti (non è di destra, ma neppure di centrosinistra; è, di fatto, solo l'ex presidente super partes della Consulta).
 C'è, però, uno scenario che sembra oggi abbastanza probabile: quello della rielezione "a tempo" (anche se ogni presidente è eletto per sette anni, salvo volontarie dimissioni nel corso del mandato) di Mattarella. A Salvini l'idea non piace, perché sente che FdI sta rimontando posizioni alla Lega e teme che la Meloni lo sorpassi, perdendo dunque la leadership e la candidatura a Palazzo Chigi per la prossima legislatura. Il capo leghista vuole votare prima possibile: ecco perché si agita tanto, come se fosse più un leader "di lotta" che "di governo". Forza Italia, però, con un leader anziano e poche probabilità di rielezione per molti suoi parlamentari, non ha intenzione di votare nel 2022; FdI, inoltre, aspetta il 2023 perché sa di poter completare il recupero elettorale sul Carroccio. I partiti dell'ex maggioranza giallorosa, infine, non hanno alcuna intenzione di far finire l'esperienza del governo attuale e tantomeno di consegnare prima del tempo il Parlamento alla destra radicale. Se però Draghi traslocasse al Quirinale, lo scossone sulla "solidarietà nazionale" sarebbe forte, giustificando l'uscita di Salvini e il tentativo di andare a nuove elezioni, nel caos, che si terrebbero a marzo-aprile del 2022. Così qualcuno ha escogitato l'espediente del bis "a termine" di Mattarella, che ha il precedente del secondo mandato di Napolitano (ma che nasce da ragioni molto diverse). Il problema è che la toppa è peggiore dello sbrego, perché rischia di far entrare l'Italia in una sorta di tunnel istituzionale-politico-parlamentare molto complesso. In primo luogo, bisognerebbe rieleggere Mattarella, possibilmente al primo turno, quindi col consenso di tutti (e la Lega? E i franchi tiratori?). Poi bisognerebbe sperare che Salvini non tolga comunque l'appoggio al governo Draghi, cercando elezioni anticipate che permetterebbero alle destre di eleggere il successore del Mattarella-bis. 
Ma se anche la maggioranza Ursula superasse questo scoglio, ci sarebbero i tempi costituzionali. Draghi non potrebbe restare in carica fino alle elezioni politiche di fine legislatura (marzo 2023) e per almeno un altro mese, per attendere l'insediamento del nuovo governo, ma dovrebbe lasciare il posto molto prima. Infatti, l'articolo 85 della Costituzione detta i tempi: se Mattarella, una volta eletto, si vuole dimettere, non può farlo negli ultimi tre mesi delle attuali Camere, altrimenti l'elezione avverrà con le nuove. Quindi, dovrà lasciare a dicembre 2022 o, meglio, a novembre, perché ci vuole circa un mese per convocare e formare il Collegio dei Grandi elettori presidenziali. Così avremmo un presidente eletto a gennaio (Mattarella), la presentazione della legge di stabilità a settembre con inizio della discussione, interrotta a novembre dalle dimissioni del Capo dello Stato e dall'elezione, a dicembre, del nuovo (Draghi) con tanto di immediata crisi di governo e consultazioni per scegliere il nuovo Esecutivo in tempo per evitare l'esercizio provvisorio di bilancio. In pratica, se si volesse allo stesso tempo far restare Draghi il più possibile a Palazzo Chigi per poi promuoverlo al Quirinale, non si potrebbe sperare di dargli altri 22 mesi di guida dell'Esecutivo, ma solo 18. Se poi si desiderasse dargli tutti i 22 mesi, bisognerebbe eleggere la Cartabia: ma perché non farlo direttamente nel prossimo gennaio, allora? In tutto questo si sta dando per scontato che Salvini non faccia di tutto per staccare Forza Italia (dopo aver ritirato la Lega) dalla maggioranza, possibilmente prima delle nuove dimissioni di Mattarella, pur di ottenere le elezioni anticipate. È vero che eleggendo Draghi al Colle a gennaio 2022 resterebbero solo sette od otto mesi di questa coalizione, ma siamo sicuri che ci siano alternative agevolmente praticabili?
(da mentepolitica.it )

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