“SALTIAMO” CON SILVIA FERRARA ALL’ORIGINE DELL’IMMAGINAZIONE
“Il buono storico somiglia all'orco della fiaba : là dove fiuta carne umana, là sa che è la sua preda”. Una citazione famosissima all’interno della comunità scientifica e non solo, quella del grande storico Marc Bloch, che si addice benissimo a Silvia Ferrara, ordinario di Civiltà egee all’Università di Bologna. “Il salto” è il titolo del suo saggio pubblicato da pochissimo da Feltrinelli, in cui l’autrice ci conduce per mano in un viaggio lungo cinquantamila anni, attraverso segni, figure, parole, all’origine dell’immaginazione. Un viaggio in cui si respira in ogni pagina non solo la straordinaria competenza dell’autrice – che dirige un progetto europeo finanziato dall’European Research Council sull’invenzione della scrittura – ma anche la sua grande passione. Anche noi lettori ne veniamo coinvolti, leggendo queste pagine diventiamo con lei “orchi in cerca di carne umana”, per stare alla metafora di Bloch. E cosa c’è di più umano dell’immaginazione? Sembra di scendere insieme a lei nelle grotte del paleolitico, come quella celeberrima di Lascaux. “Mi occupo di invenzione della scrittura nel mondo, anche di scritture antiche e indecifrate, ovvero legate a lingue sconosciute - spiega l’autrice a 9colonne - Nel 2019 con ‘La grande invenzione’ (edito sempre da Feltrinelli e tradotto negli Stati Uniti, in Cina, in Francia, in Germania, in Grecia e in Spagna: così, tanto per rendere l’idea, ndr) mi sono occupata dell’invenzione della scrittura nel mondo, raccontando come gli esseri umani siano arrivati a creare un sistema grafico che registri una lingua specifica. Due anni dopo, ne ho scritto un altro in cui ho fatto davvero un ‘salto’, perché volevo vedere come si potesse costruire il ‘prequel’ della ‘grande invenzione’, arrivando all’origine e ai fondamenti più lontani dei simboli, scoprendo come noi esseri umani siamo arrivati a creare con un segno grafico qualcosa che prima non c’era. Ho ripercorso questo viaggio, da cinquantamila anni fa fino al neolitico e quindi fino all’invenzione della scrittura, circa cinquemila anni fa: un viaggio intorno al mondo, dall’Egitto al Sahara, alla Giordania, alle Hawaii, ad alcuni laghi americani, dove sono stati lasciati petroglifi, segni, immagini figurative che ricostruiscono potenzialmente un sistema grafico precursore della scrittura. Ho cercato come gli essere umani hanno cercato di costruire un qualcosa che prima era assente” ribadisce l’autrice. Autrice, che nell’introduzione presenta il suo libro ricorrendo alla “litote”, figura retorica negativa che indica quel che non s’intende fare.
IL LIBRO. “Questo – sottolinea Silvia Ferrara - non è un libro di scienza o di arte, non è un libro di semiotica. Non è sulle grandi scoperte dell’archeologia, né su quelle di nicchia per iniziati, anche se molte delle storie che racconterò sono, credo, sconosciute ai più. Non è un libro di storia, né di estetica, né di antropologia, né di filosofia, anche se parla del passato e dell’umanità, della sua bellezza e gloria, e dei suoi limiti. Infine, il titolo non allude a salti di specie, ma ai salti terrestri e terreni, tutti fortemente umani”. Un viaggio nella creatività umana, non convenzionale anche a livello metodologico: “La narrativa tradizionale – sottolinea l’autrice - ci rimanda un’immagine mistificata degli albori della civiltà e della sua progressione, come se gli esseri umani pre-agricoltura fossero non solo disorganizzati e incolti, ma che non vedessero l’ora di fermarsi, smettere di cacciare bisonti e gazzelle, instradati verso la direzione innovatrice e modernista del piantare alberi, mettere su casa, costruire città, assembrarsi. Quasi ricaviamo una caricatura del cacciatore, creatura disorganizzata e istintiva, e del raccoglitore, estemporaneo collezionista di frutti caduti dall’albero. Tutti primitivi, tutti ‘indietro’, contrapposti al domatore di cereali e di greggi, il ‘pastoralista’ illuminato, inventore tecnologico e riformista, che irriga e addomestica, e impone ordine, inventa la legge, prescrive le tasse. La civiltà in senso classico, insomma. Non vi sembra che nelle nostre narrative ci siano schemi troppo perfetti e ben impacchettati? Tra la bestia incolta e il re della città, è come se l’evoluzione sociale seguisse solchi deterministici e irreversibili attraverso il contrasto simil-strutturalista di natura vs cultura: in caduta libera verso la vita cittadina, verso il pane e il vino, via dalle pazze folle di incivili”. Un viaggio nel nostro passato più remoto, in grado però di parlare tanto al nostro presente: “La gioia sta nell’entrare in tutto questo caos – scrive Silvia Ferrara - Lo troveremo molto più ordinato di quel che sembra, molto moderno. Ci parlerà di noi non solo come eravamo cinquantamila anni fa, ma anche di noi adesso, che testiamo, creiamo e condividiamo il disordine dell’essere ‘umani’. Ben vengano i ‘nobili selvaggi’, ben vengano i barbari. Sono pieni d’inventiva”.
NEL FUTURO. E infine c’è il “salto nel buio”, vertiginoso anch’esso come quello nel passato, verso un futuro distante centomila anni: dalle grotte del paleolitico, infatti, veniamo condotti sulla costa ovest della Finlandia, dove troviamo Onkalo, un deposito geologico profondo destinato a immagazzinare definitivamente scorie radioattive. “Le scorie nucleari entrano lì dentro per non uscirne mai più. Per essere dimenticate – sottolinea l’autrice - Tutto lì deve essere dimenticato, anche l’esistenza del deposito stesso, che dovrà essere obliterato dai boschi, dalla natura, dalle costruzioni, che devono fare solo una cosa: nasconderlo. Renderlo invisibile per l’eternità, per non indurre a scavare novelli archeologi del post-antropocene, o come diavolo si chiamerà l’era futura. Il segreto di Onkalo deve durare almeno centomila anni, finché le scorie non diventeranno progressivamente sempre più innocue. Centomila anni sono dieci distanze da Gobekli Tepe: niente di tangibilmente costruito o edificato dall’uomo è durato più di un decimo di questo lasso, nessun simbolo può essere capito dopo tutto quel tempo. Proprio come non capiamo i segni astratti e geometrici sui pilastri di calcare del sito anatolico, di qui a centomila anni che cosa potrà dire Onkalo di noi, come potrà esprimere il pericolo che correranno i nostri discendenti avvicinandosi a lui?”. Un interrogativo che ha più di un fondamento, specie se a porselo è una studiosa di scritture antiche e indecifrate. Buon viaggio e buona lettura, “orchi in cerca di carne umana”… (PO / Roc – 17 dic)
“100 ANNI DI CUCINA ROMANA” NELLE RICETTE DELL’ANTICA PESA
E’ disponibile in tutte le librerie e store digitali “100 anni di cucina romana nelle ricette e nella storia dell’Antica Pesa” (Newton Compton Editori), il libro di ricette della famiglia Panella, che celebra i 100 anni di attività del ristorante Antica Pesa, realtà riconosciuta ormai a livello internazionale, eccellenza e fiore all’occhiello italiano nel mondo. Premiato da La Repubblica come “miglior ristorante di cucina romana”, l’Antica Pesa racchiude nelle sue cucine non solo la storia, l’amore e la passione della famiglia Panella per il cibo e per il proprio lavoro, ma racconta anche l’evoluzione della città di Roma nel corso di questi ultimi 100 anni. L’Antica Pesa non è quindi solo un semplice ristorante, ma un baluardo della nostra cultura enogastronomica e un posto speciale che rappresenta la nostra Capitale e le sue tradizioni. In questo libro, l’imprenditore e volto televisivo Francesco Panella e lo Chef Simone Panella raccontano le ricette più simboliche della storia dell’Antica Pesa reinterpretandole in chiave attuale e moderna. Protagonisti sono infatti piatti iconici come cacio e pepe, gricia, carbonara, trippa, coda alla vaccinara, presentati nella loro forma più tradizionale, ma allo stesso tempo rivisitati con rispetto attraverso l’utilizzo di tecniche moderne e contemporanee, a dimostrazione del fatto che l’Antica Pesa rappresenta il passato, il presente, ma anche e soprattutto il futuro. “100 anni di cucina romana nelle ricette e nella storia dell’Antica Pesa” non è solo un ricettario: all’interno vi sono infatti anche immagini storiche e inedite relative alla storia del ristorante, che ad esempio alle origini accoglieva nel proprio atrio gruppi di garibaldini. La vera svolta per l’Antica Pesa avviene negli anni Cinquanta, con la Dolce Vita, nel momento in cui Roma e l’Italia vengono riconosciuti in tutto il mondo come luoghi di bellezza e del buon vivere. Sono così immortalati anche altri momenti che hanno contribuito a costruire l’iconicità dell’Antica Pesa, come quando il Presidente della Repubblica Sandro Pertini, che considerava il ristorante una sua seconda casa, festeggiò lì i suoi 90 anni fino ad arrivare ai giorni nostri in cui possiamo ammirare il crocevia di artisti, scrittori, attori, registi e altri volti importanti della cultura e dello show biz mondiale. Tuttavia, l’Antica Pesa ha accolto anche gente comune, turisti e no, perché è un punto di riferimento per tutti coloro che vogliono immergersi nella romanità. Il locale è diventato un’istituzione riconosciuta in Italia e all’estero, anche grazie alle aperture negli Stati Uniti o in Corsica, che hanno contribuito a portare nel mondo la “veracità” della cucina romana e l’eccellenza della tradizione culinaria capitolina. Simone e Francesco Panella gestiscono da più di 25 anni l’Antica Pesa di Roma, storico indirizzo di Trastevere della ristorazione capitolina, appartenente alla famiglia fin dalla fondazione, nel lontano 1922. Nel 2012 hanno compiuto il primo passo verso l’internazionalizzazione dell’azienda, con l’apertura di un locale a Williamsburg, quartiere tra i più trendy a New York. Francesco è anche un noto volto televisivo, grazie ai programmi Brooklyn Man e Little Big Italy. Ha pubblicato anche i libri Brooklyn Man. La guida insolita alla cucina di New York e Forse non tutti sanno che in America.
LE GUERRE DELLE DONNE: IL SOGNO AMERICANO DELLE HONDUREGNE
“Un bagaglio troppo piccolo e un pancione troppo grande, malcelato da un cardigan rosa confetto. Maria mi augura ‘buena suerte’ mentre si precipita, pesante e nervosa, alla stazione degli autobus diretti a nord-est. Percorrerà novecento chilometri fino a Monterrey, nello Stato del Nuevo León. In qualche modo raggiungerà Reynosa, nel Tamaulipas, dove cercherà un coyote – qui chiamano così i trafficanti di esseri umani – che per un gruzzolo di dollari la trasporterà in Texas. E negli Stati Uniti partorirà suo figlio, realizzando il sueño americano che quattro mesi fa l’ha trascinata fuori dall’Honduras e dalla violenza endemica rimasta conficcata nel suo corpo: lo stupro che l’ha lasciata incinta; le cicatrici sulle braccia, dopo il pestaggio di uomini che tentavano di rapire la sorella per soggiogarla al racket della prostituzione”. E’ un brano tratto dal capitolo “Il sogno americano” contenuto all’interno del libro della giornalista Emanuela Zuccalà dal titolo “Le guerre delle donne”. “Mi cercavano, volevano uccidermi” le parole secche, solo quelle necessarie, che Maria ha pronunciato prima di congedarmi nel cortile silenzioso del centro Cafemin a Città del Messico, dove suore e volontarie tentano d’alleviare il tragitto di centinaia di donne che da Honduras, El Salvador e Guatemala puntano agli Stati Uniti per sottrarsi alla miseria e alle angherie di maras e pandillas, le bande criminali che rendono il Centro America l’area del mondo dov’è più facile morire ammazzati”. Le guerre delle donne si compone di trenta voci dall’Africa al Brasile fino all’Europa, unite nel dire no alle ingiustizie e alla violenza. In un intreccio di reportage giornalistico e colloquio intimo, le loro storie toccano i nodi più cruciali dei diritti femminili violati, regalandoci ritratti profondamente rivoluzionari e indimenticabili.
LA PRIMA ROMANA DI “FANGO E RISATE” DI ANDREA MUCCIOLI
La Onlus Impresa per la vita ha ospitato la prima presentazione romana del libro di Andrea Muccioli “Fango e risate”. Al dialogo con l’autore, moderato dalla giornalista Eleonora Daniele, hanno partecipato Donatella Possemato, presidente dell’associazione Impresa per la Vita, la deputata Patrizia Marrocco, membro della
Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza e il figlio del cantante Bobby Solo Alain Satti, imprenditore ed ex ospite di San Patrignano. “Fango e risate” è la storia di San Patrignano dagli inizi, dalle prime riunioni del Cenacolo, dai primi ragazzi accolti in quella collina romagnola, fino al 1995, anno della morte di Vincenzo Muccioli, vista, vissuta e raccontata dal figlio. Diverse le rivelazioni, tanti gli aneddoti e punti di vista inediti. Il ritratto privato di Vincenzo Muccioli, le sue recondite fragilità e paure, la sua sensibilità e sicurezza, il suo magnetismo e il suo carisma vengono raccontati con lo sguardo di un figlio che guarda il padre fare cose impensabili e grandiose. Nel corso dell’incontro Andrea Muccioli ha spiegato il suo punto di vista rispetto alle accuse nei confronti di suo padre di
misoginia e di abusi sessuali: “Un disegno fatto in malafede, le donne avevano un ruolo fondamentale all’interno della comunità”, aggiungendo che “nella straordinaria generosità e umanità di mio padre c’è il suo stesso limite: ma non è stato in grado di capire di non poter salvare tutto il creato”. Alain Satti ha ricordato il proprio passato di tossicodipendenza e la propria esperienza a San Patrignano. Dichiara: “La droga riguarda tutti, non fa distinzioni sociali. Io sono stato accolto, medicato e ricostruito nella persona che sono oggi. Hanno strumentalizzato San Patrignano e la famiglia Muccioli”. La deputata Marocco ha insistito sull’assenza dello Stato, ieri come oggi: “Non è cambiato niente. Dovremmo partire dalla prevenzione”, ha dichiarato. Marrocco porta avanti da tempo la proposta dell’inserimento obbligatorio della figura dello psicologo scolastico. “La figura dello psicologo, stabile
all’interno della struttura, può fare da collante tra famiglia, docenti e alunni. Muccioli riparava; noi dobbiamo prevenire”, sottolinea la parlamentare, “Insieme a Donatella Possemato abbiamo preparato una mozione sulle campagne di sensibilizzazione per accrescere la consapevolezza su patologie vecchie e nuove”. Sull’importanza della prevenzione torna anche Donatella Possemato. La presidente, nel corso del dibattito, ha dichiarato: “Noi dobbiamo partire dalla prevenzione. Le dipendenze sono molteplici: alcol, droghe, ma anche disturbi del comportamento alimentare. E di disturbi alimentari si muore”. L’incontro, organizzato dall’associazione presieduta da Donatella Possemato negli spazi della Casa di Cura Santa Famiglia, fa parte di una serie di incontri sulla prevenzione e sulla salute delle donne e degli adolescenti, sulle politiche di supporto alle famiglie e di intervento pro natalità che la ONLUS promuove.
“UNA SPECIE DI MAGIA. IO E FREDDIE” DI FRANCESCO SANTOCONO
È disponibile in libreria e negli store digitali con Algra Editore “Una specie di magia. Io e Freddie”, il nuovo romanzo di Francesco Santocono. Il protagonista è Andrea, uno studente dal carattere irruento che lo porta spesso a scontrarsi con la madre e il fratello di cui non accetta l’omosessualità. Frequenta una ragazza all’apparenza perfetta e amici poco affidabili che lo coinvolgono in risse e aggressioni. Ma, ben presto, tutte le sue certezze e le sue sicurezze crollano. A sostenerlo, nel ruolo di coscienza, è il fantasma della rockstar Freddie Mercury che, attraverso i suoi consigli, aiuterà il giovane a sconfiggere le sue paure e i suoi demoni interiori. “Una specie di Magia. Io e Freddie” tratta con estrema naturalezza temi come l’omofobia, il bullismo, l’HIV, la violenza sulle donne e il cattivo uso dei social network. Una storia che prende ispirazione dalle vicende reali di cui spesso si sente parlare al giorno d’oggi e casi che affollano la cronaca. “La storia è inventata, seppur ispirata a personaggi esistenti; scritta innanzitutto per eliminare il luogo comune del binomio omosessualità-AIDS – afferma Francesco Santocono - Un romanzo in cui si dimostra che una malattia trasmissibile non è pericolosa in quanto tale, ma perché si muove in un contesto e vive nel contesto. Di conseguenza, dal punto di vista sociale, tutto ciò che ne fa da corollario diviene parte della malattia stessa. Mercury non è altro che la coscienza interiore del protagonista del libro, il quale inizia un percorso di resilienza guardando dentro se stesso”.
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