L’ebbrezza e l’arroganza da potere, poco importa come e per quali ragioni acquisito, finiscono spesso col portare verso un’epifania che sarebbe solo malinconica se non si accompagnasse a effetti che travalicano la miseria dei protagonisti. Non altro viene da pensare quando si legge di Beppe Grillo che, nel pieno della tempesta giudiziaria che ha investito lui e altri sodali della galassia pentastellata in disarmo, non trova di meglio da dire che “Mi accusano alla vigilia del voto per il Colle”. Siamo alle solite. Ancor prima di entrare nel merito dei torti e delle ragioni sul quale è compito della magistratura esprimersi, come si suol dire, Grillo si sceglie di sparare la palla in tribuna.
Inguaribile italico vizio che rimanda al monito di Alberto Ronchey, maestro di giornalismo, che amava sovente sottolineare come “la sovranità compete a sua maestà il fatto” per dire quella naturale tecnica secondo la quale nel parlare o nello scrivere di una vicenda c’è sempre un inizio e una fine e non è certo buona cosa invertire questo ordine. Ma il vecchio argonauta ligure, che non tanto in solitaria aveva sfidato Scilla e Cariddi con l’intento di imporsi all’attenzione di un paese distratto e succube del sistema di potere, dopo alcune stagioni di oratoria tribunizia, ci è finito dentro mani e piedi per giunta passando per un cammino che è l’esatto opposto di quello da lui ripetutamente denunciato con impeto da Catilinaria.
Un percorso, questo accidentato, che lo ha visto transitare dalla difesa del figlio Ciro, ma si sa che “i figli so’piezze e core”, all’oscuro rapporto con Casaleggio padre e figlio, e ora alla relazione pericolosa col padrone della compagnia di navigazione Moby, Vincenzo Onorato, un periplo che da intoccabile e ascoltato garante del M5S lo ha trasformato in un lobbista indagato per traffico di influenze illecite nel quale a vario titolo sono entrati un altro comico suo malgrado ed ex ministro Danilo Toninelli e il ministro dell’agricoltura in carica Stefano Patuanelli. Di quello che ha combinato con l’armatore della Moby, già di suo alle prese con la giustizia, sarà quest’ultima a indagare mettendo assieme come sta facendo i tasselli del mosaico. Quel che si spera è che ciò avvenga possibilmente seguendo la strada della sovranità del fatto. Cioè cominciando dal punto in cui s’incrociano i destini del comico genovese e di Onorato per poi stabilire la illiceità o meno dei comportamenti.
Cosa che con ogni evidenza ha poco o nulla a che fare con la futura presidenza della Repubblica, scadenza alla quale Grillo si attacca come a un’ancora di salvezza per trasformarsi in vittima. Manca solo che reciti, ma forse lo ha fatto, il ritornello del “fango mediatico” ed è bello che entrato nel novero dei reprobi che ha sempre preteso di fustigare talvolta con metodi ai limiti della decenza. Se non fosse troppo nobile e perciò culturalmente improprio verrebbe da citare il titolo di un film con Yves Montand di tanti anni fa dal titolo “Les héros sont fatigués”. Ma da quel che si legge, nel brogliaccio Grillo-Onorato di eroi non ce ne sono a meno che non li si voglia confondere con la meteora di un uomo qualunque che da comico si è fatto politico e garante di un movimento con l’intento di rivoltare il parlamento come un calzino, svuotarlo come una scatoletta di tonno, nel nome di un rivoluzione alla quale lui, l’ispiratore, ha miseramente rinunciato, scendendo tristemente dalle barricate..