Se solo ci limitiamo ai primi due decenni di questo secolo si contano la crisi dei subprime iniziata nel 2007, l’epidemia da Coronavirus esplosa a fine 2019 e non ancora finita, il rischio di una guerra mondiale dopo l’aggressione dell’Ucraina da parte di Putin. Come spesso accade ognuna di queste calamità finisce col mettere in ombra quella che l’ha preceduta per cui, pur vera nella sostanza, diventa un atto di fede l’affermazione di Albert Einstein secondo la quale “è meglio essere ottimisti e avere torto piuttosto che essere pessimisti e avere ragione”. Perchè quando i motivi del pessimismo si ripetono è consigliabile correre ai ripari prima che l’assuefazione al “chiodo scaccia chiodo” diventi la regola per tirare a campare con disinvoltura.
Che è ciò che sta avvenendo con riferimento al drammatico aumento dei morti sul lavoro. La loro ripetitività li sta derubricando a notizia sempre meno priva del clamore e dell’allarme che dovrebbero suscitare facendoli scivolare nella palude di quella quasi normalità prossima all’indifferenza e alla barbarie. Il lavoro fonte di vita che diventa causa di morte. Di questo stiamo parlando. Di questo scrivono i giornali con un’evidenza che progressivamente tende a ridimensionarsi proprio per effetto di quella ripetitività che ne sminuisce, e non dovrebbe, la sua gravità, rendendo difficile tenere dietro a questo conteggio di morte.
Quello che è certo è che nei primi due mesi del 2022 sono stati battuti tutti i record con un numero di incidenti e morti che, non soltanto non trova eguali con riferimento al passato, ma non accenna a invertire la rotta. Napoli è in testa alle città italiane nell’elenco di questo triste primato, seguita da Milano, Roma, Padova. Ma anche nel resto del paese la situazione non è migliore. La fascia più colpita comprende lavoratori tra i 45 e i 64 anni ma nelle ultime settimane il limite di età si è abbassato e il tributo di morte ha incluso anche giovani ancora adolescenti, sollevando proteste studentesche e accendendo i riflettori su un malessere e un’inquietudine sempre più diffusi. Nuove emergenze come la guerra in Ucraina fanno dimenticare la pandemia ed entrambe spingono nell’ombra il susseguirsi delle notizie relative ai morti sul lavoro che restano un segnale di inciviltà. Così facendo non soltanto si impedisce che il problema venga risolto ma si finisce per assolvere quanti hanno permesso che esso si diffondesse. Ci sono dei responsabili a diversi livelli e sono anche individuabili. Da ormai troppo tempo mancano i controlli e non si è fatto nulla perché questa grave carenza fosse quanto meno ridimensionata. In assenza di interventi immediati, il conteggio degli incidenti sarà destinato a crescere per effetto di una ripresa in forma selvaggia delle imprese nate dal nulla e attive nel campo dell’edilizia. La ripartenza per effetto del Pnrr rischia ora di accrescere gli appetiti di facili guadagni con conseguente aumento del lavoro selvaggio e naturalmente dei morti. Che finiranno col rientrare nella zona grigia delle notizie che non fanno più notizia.
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