Al momento della scelta decisiva la maggioranza degli elettori francesi ha privilegiato stabilità’ e continuità, rifiutando il salto nel buio. Emmanuel Macron è stato eletto con un margine di vantaggio - circa quindici punti - ben più ampio del testa a testa preconizzato all’indomani del primo turno.
A Marine Le Pen non è bastato annacquare - in realtà strumentalmente - i contenuti più estremi del suo programma, così come non è stato sufficiente coltivare una empatia popolare, ne’ far assumere al Front National una diversa denominazione - Rassemblement National - che allontanasse l’ingombrante ombra neofascista del padre. E soprattutto non è parso convincente il messaggio di chiusura - non a l’Europe, la France avant tout - che in realtà una maggioranza di elettori ha ritenuto un illusorio neoprotezionismo e un autoisolamento perdente in un mondo globale e aperto.
Più convincente è apparso Macron. A suo favore ha certo giocato il forte profilo internazionale, emerso con ancora più forza nella crisi ucraina, unico leader a ricercare con determinazione una via di uscita da una guerra devastante. Così come è apparso fattore di certezza la sua leadership europea in una fase in cui l’Unione europea è investita da una guerra ed è chiamata in ogni campo ad un salto in avanti della sua integrazione. Ed e’ risultata rassicurante l’autorevolezza con cui Macron nei primi cinque anni ha guidato la Francia. E se la sua determinazione non ha mancato di attirargli critiche di decisionismo - perfino di arroganza - pure la maggioranza dei francesi, votandolo, ha dimostrato di sentirsi più sicura e tutelata con Macron che con la Le Pen.
Il voto in ogni caso presenta una Francia fortemente divisa e radicalizzata, con non pochi elettori che hanno votato più “contro” che “per”, dando al voto un carattere referendario.
La Le Pen - confermandosi una “perdente di successo” - ha raccolto intorno a se’ non solo l’elettorato che già al primo turno - 1 francese su 3- ha votato per i candidati di destra, ma anche chi, vivendo un qualsiasi motivo di disagio, ha maturato un sentimento di forte ostilità verso Macron vissuto come l’espressione dei poteri forti, dell’establishment economico finanziario, della globalizzazione espropriante, dell’Europa insidia alla salvaguardia dell’identita’ francese.
A sua volta Macron torna per la seconda volta all’Eliseo non solo per la fedeltà dell’elettorato macroniano, ma anche sostenuto dal voto di tutti coloro che consideravano un eventuale successo della Le Pen come una iattura per la Francia e per l’Europa. Per sbarrare la strada alla leader della destra non hanno esitato a sostenerlo Sarkozy e i suoi Repubblicains. Così come ha contato la confluenza dei Verdi, dei Comunisti e dei tanti Sindaci socialisti il cui peso elettorale nelle proprie città e’ ben superiore al modestissimo 1.75% raccolto dalla candidata presidenziale socialista. E una buona mano è venuta probabilmente da una quota di elettori di Jean Luc Melenchon. Dirà’ l’analisi dei flussi elettorali quanti elettori di France Insoumise hanno seguito l’appello del loro leader - “non un solo voto alla Le Pen” - ma è certo che l’ampio voto raccolto al primo turno da Melenchon tra i giovani e nelle concentrazioni di popolazione immigrata - e islamica - dovrebbe aver giocato più a favore di Macron che della Le Pen.
Se la vittoria di Macron è rassicurante e fattore di stabilità per l’Europa, ove tutti fanno affidamento sul contributo rilevante che dal Presidente francese può venire per una leadership europea forte, assai più complesso si presenta lo scenario interno francese. Dal voto del secondo turno, infatti, emerge che 4 votanti su 10 - mai cosí tanti - si sono rivolti alla destra perché rappresentasse le loro aspettative. E come già segnalato nel primo turno, si tratta di elettori che vivono una condizione di disagio, di precarietà, di insicurezza che li porta a pensare di non essere padroni della propria vita, di non avere certezze del proprio futuro e soprattutto di non essere rappresentati, ne’ protetti da chi ha nelle mani la guida del Paese. Insomma, anche questo voto - come molti passaggi elettorali dell’ultimo decennio - segnala una frattura tra “esclusi” e “inclusi”.
Sarà questa la più grande sfida di Macron: ricucire quella frattura e restituire coesione sociale e senso di comune appartenenza ad una società oggi divisa e radicalizzata. Un obiettivo tanto più importante in vista delle elezioni parlamentari di maggio, quando Macron e il suo partito, En Marche, dovranno competere non solo con una destra in cerca di rivincita, ma anche con partiti - dai Repubblicains a Melenchon ai socialisti e verdi - che non saranno più costretti a essere “macroniani”, ma si presenteranno agli elettori con propri candidati e programmi.