Terni si prepara oggi a dare il suo addio a frate Bernardino Greco, 83 anni, testimone originale e straordinario di un “vero francescanesimo” vissuto insieme a 100mila pellegrini tra macerie da ricostruire, lodi da cantare, fiori da coltivare, animali da accudire e gioia da ricercare anche tra le difficoltà. “Contento, convinto e costante” secondo il dettame di quelle che chiamava le “tre c” ed espressione trinitaria del suo modo di vivere la fede in modo creativo e sempre sorprendente e di un carattere mai domo, esuberante ed energico. Artefice 31 anni fa e poi con l’aiuto di migliaia di volontari della ricostruzione de “La Romita” di Cesi, eremo immerso tra i boschi di un monte che sovrasta Sangemini, ridotto a un rudere in seguito alla chiusura dei monasteri seguita all’Unità d’Italia. Una impresa realizzata con 500mila euro di donazioni degli stessi pellegrini a fronte di un progetto di restauro di almeno 6 milioni ma, soprattutto, con quello che frate Bernardino chiamava il “metodo della Provvidenza”: impegno, creatività, fiducia (anche delle ditte edili), determinazione. “La Fede non mi ha dato tregua”, “mi ha messo dentro fuoco, passione, voglia di realizzare progetti al servizio di tutto” scrive nel suo libro “La Romita: Utopia?” del 2020. Si attende un afflusso molto alto di persone per i funerali di oggi, alle 15, nella chiesa di Sant’Antonio tanto che i responsabili del santuario francescano, poco distante dalle acciaierie, hanno vietato interventi di ricordo. Sarà possibile sostare in preghiera in silenzio solo al termine della funzione. Frate Bernardino non ha avuto un rapporto semplice con l’Ordine francescano. Tutta la sua esistenza è stata dominata dall’affermazione coraggiosa e generosa degli ideali del poverello di Assisi contro la sua commercializzazione ed alla priorità di darne testimonianza pratica più che ideale. Finché, pochi anni fa, disobbedendo alla richiesta di ritirarsi in convento per sopraggiunti limiti di età, abbandonando la sua “Romita” divenne “ribelle per amore”, uscendo dall’ordine ma rimanendo “frate a vita”. “Solo chi rischia vive veramente” amava dire. Ultimo di nove fratelli, nato in provincia di Taranto, poco più che bambino venne mandato in convento e divenne frate a 16 anni, studente di teologia a Tubinga con Ratzinger e Kung (dove si dedicò anche alla cura dei bambini degli emigranti italiani), per 25 anni ha guidato i pellegrini stranieri nel santuario di San Damiano ad Assisi e curando la formazione nella musica e nel canto gregoriano dei suoi confratelli, finché, nel 1979, avviò a San Masseo, ai piedi di Assisi, il restauro di case coloniche abbandonate di proprietà dei benedettini (con comodato d’uso ai francescani) dove i giovani pellegrini dove potessero fare concreta esperienza dello stile di vita di Francesco: sveglia all’alba con la musica (quella, poi diventata celeberrima, del salterio suonato al risveglio da fra Bernardino), preghiera alternata al lavoro manuale, tre ore di silenzio e meditazione, il venerdì giorno del “deserto” (solitario), l’estate la partenza alle 2 di notte per giungere all’alba sugli oltre mille metri del Monte Subasio e sperimentare la “metafora del cammino della vita”. Divenne proverbiale questo frate muratore che viaggiava in lungo e in largo con la tonaca svolazzante sulla sua fedele Vespa (che riusciva anche a portarlo fino in Germania, dove ha avuto sempre amici affezionati ed è nata una comunità ispirata a suo esempio). San Masseo crebbe con successo, acquistando notorietà internazionale ed un afflusso negli anni di 20mila giovani pellegrini (che finanziarono in toto la ricostruzione) finché nel 1979, frate Bernardino venne dichiarato dal suo superiore “inadeguato e incapace” e fu mandato a Monteluco di Spoleto per un anno sabbatico mentre la comunità veniva affidata ad altri frati (il capitolo provinciale la chiuderà nel 1999, rinunciando al diritto di prelazione una volta terminato il comodato nel 2002) e quindi al convento di Montesanto a Todi, abitato da anziani frati e nella cui biblioteca lesse in un antico testo della presenza di un eremo dove Francesco passò un lungo periodo ed ideò l’idea del Cantico dei Cantici. Lo si chiamava “L'Eremita” o “La Romita” e descritto come luogo selvaggio e solitario tra i boschi sulla montagna, frequentato già nel 1213 da Francesco ed abitato per secoli dai suoi frati. Il racconto della sua storia si fermava all'anno 1717. La descrizione del luogo cominciava così: “Su la cima d’un aspro e rigido monte, a cui sovrastano alla levata del Sole altri contigui e asprissimi monti. . .”. Frate Bernardino ha raccontato innumerevoli volte quel momento - con voce gioiosamente tonante (con cui intonava possenti canti gregoriani) e sempre con lo stesso senso di stupore e gratitudine - ai pellegrini (oltre 80mila in un trentennio) che oggi fanno tappa nella rinata “Romita”, tappa importante per chi voglia fare lo stesso cammino di Francesco da Assisi alla Valle Santa reatina. Con la sua voce tonante Bernardino ricordava che “Era il 28 febbraio 1991. Non potevo immaginare che quella data avrebbe significato una svolta nella mia vita di Frate. Quel giorno nel Convento di Montesanto (Todi), dove risiedevo da un anno, era previsto un Ritiro predicato dal Superiore di Assisi. Sapendo per esperienza che quelle giornate di ritiro erano noiose e irrilevanti per la vita spirituale (molte parole, poco silenzio; molta ideologia, poche idee; molta erudizione, poca convinzione), di buon mattino partii con la Vespa alla ricerca di un antico Eremo sulla montagna (…) Lasciata la vespa in basso, m'inoltrai per un sentiero ripido nel folto del bosco. La frase che ho scritto in seguito sul sentiero ‘La Romita è in salita come la vita’, mi fu ispirata da quella prima faticosa salita. Con me avevo solo una bottiglia d’acqua ed un’arancia. Di quell’arancia mi gustai uno per uno i singoli spicchi. Era il mio pranzo. Avanzavo con passo lento e meditativo. Pensavo con commozione e devozione ai piedi scalzi di Francesco e dei suoi Frati che, dietro le sue tracce per secoli avevano fatto quel sentiero. Per me era un sentiero sacro. Mi sentivo privilegiato e onorato di farlo anch’io. Paesaggio selvaggio e incontaminato: pietre, rocce e alberi secolari. Un muraglione di enormi massi, testimonianza della forza e della fatica del passato, preparava l'arrivo a questo luogo alto, nascosto e misterioso. All'improvviso tra la vegetazione tracce di edifici diroccati ed un cedro del Libano altissimo e maestoso a sovrastare tutti gli alberi della selva. Fu il mio primo incontro con La Romita. Ero solo quel giorno d’inverno. Nel silenzio del bosco solo io e lei. Dormiva ‘la Bella Addormentata nel bosco’, una bellezza antica rimasta giovane. La mia presenza nella folta vegetazione la svegliò. Fu l’inizio. Di una storia d’amore che dura ancora. Le fiabe sono più vere delle cronache dei giornali che durano solo un giorno (. . .). Confrontavo la descrizione del 1717 con quello che era rimasto. Del chiostro s’intravedevano tra la vegetazione solo resti di colonne, la Chiesa saccheggiata e spogliata di tutto. Divelto l’Altare. Crollati i tetti. Dai corridoi e dalle antiche celle dei Frati spuntavano arbusti e alberi. Sulle macerie del vecchio refettorio era cresciuto il bosco. Le pareti rimaste ancora in piedi ricoperte di edera, liane e rovi. Inesistenti porte e finestre. Di fronte a questo spettacolo di abbandono, di distruzione e di desolazione provai tristezza e tenerezza. Vissuto per 25 anni a San Damiano in Assisi, dove Francesco ascoltò la voce del Crocifisso: ‘Va, Francesco, e ripara la mia Casa che come vedi va tutta in rovina’, sentii quell’invito rivolto anche a me” (. . .) La Romita era ancora viva: brace sotto la cenere. Sentivo che sotto quelle macerie ardeva ancora la presenza di Francesco e il fuoco della spiritualità dei miei Frati vissuti per secoli tra queste mura nella solitudine, nella Lode al Creatore, nel lavoro e nell’accoglienza di viandanti, mendicanti e pellegrini. Per la presenza di Francesco e la secolare permanenza dei miei Frati, tutto mi era familiare. Quel giorno i Frati vissuti quassù per secoli mi passarono il testimone ed io lo raccolsi. Fu come una investitura e da allora ho investito la mia energia, la mia esperienza, il mio tempo nella ricostruzione dell’Eremo. Ed ancora oggi dopo 30 anni mi considero ‘testimone’, impegnato nel dare testimonianza di vita francescana: nell’accoglienza, nella condivisione, nella pratica e nella predica del Vangelo, nella Lode al Creatore per mezzo delle sue creature, nel lavoro manuale, nel contatto con ‘sora nostra Matre Terra’, nel curare i fiori, nel fare musica, nel coltivare gli orti, nel piantare alberi, nel vivere nella e con la Natura. Profonda commozione provai al vedere sul Portale della Chiesa lo Stemma Francescano: il braccio di Cristo e di Francesco che s’incrociano. L’unica immagine che si era salvata tra le macerie dell’antico Convento. Com’era stato possibile dopo 130 anni di abbandono e di esposizione ai saccheggi e alle intemperie? Per me fu un segno di riconoscimento e di appartenenza. Lo Stemma conosciuto sin dall’infanzia e trovato in tutti i Conventi dov’ero stato, m’invitava a tornare. Cristo e Francesco sono state le mie scelte fondamentali, senso e sunto della mia vita, formula breve della mia vocazione francescana. Quello Stemma mi aveva accompagnato per tutto il tempo ed ora me lo ritrovavo all’inizio dell’impresa più ardua della mia vita. Fu come tornare a casa: dove abitano Cristo e Francesco, il Frate si sente a casa. Sentii le pietre, svegliate dal ritorno di un Frate, gridare di dolore e di gioia. Di dolore perché separate dai loro Frati che le avevano amate e curate e, dopo la partenza dei Frati, saccheggiate da mani avide e sacrileghe. Di gioia perché col ritorno di un Frate loro amico era giunta l’ora del riscatto, della ri-composizione, della ri-nascita. Sì, quel giorno sentii le pietre che mi riconobbero e mi supplicavano di tornare. Le pietre della Romita non sono mute. Sono antiche e conoscono bene la Storia: assistito a tanti eventi, visto passare tante persone, bagnate dalle lacrime, levigate dalla carezza devota e affettuosa dei Pellegrini. Le pietre conoscono e raccontano il passato a chi comprende il loro linguaggio”. Nel mentre che avanzava il cantiere della Romita (che nei primi anni lo obbligò a vivere in un container con una speciale deroga del suo ordine), frate Bernardino obbedì alla richiesta di diventare parroco del vicino paese di Portaria. Cosa che fece per 11 anni, fino al 2004, con una immane fatica dovendo gestire l’eremo e l’accoglienza dei pellegrini insieme alla cura di una comunità parrocchiale sparsa su un vaso territorio. Riuscendo anche a ristrutturare la casa canonica ed una chiesa di campagna e realizzando un coro di bambini. “La mia povera Vespa che in questi anni mi ha accompagnato per valli, monti, boschi e dirupi con il freddo, a pioggia, la neve, il ghiaccio, si merita un momento” racconterà. E ancora lo scorso anno: “Questi 30 anni sono stati meravigliosi, i più belli e affascinanti della mia lunga vita. Questi miei occhi hanno visto la Romita abbandonata, saccheggiata e ridotta a rudere; versato lacrime di gioia e di dolore, goduto le albe ed i tramonti, ammirato la bellezza del paesaggio selvaggio e incontaminato della Romita. Queste mie spalle hanno portato zaini pesanti per il ripido sentiero. Queste mie mani hanno offerto e consacrato il Pane e il Vino sull’Altare, distribuito la Comunione, accarezzato bambini, asciugato lacrime, suonato strumenti musicali (pianoforte, organo, harmonium, chitarra, salterio, kalimba), trasportato pietre, ricostruito muri, tagliato legna, dissodato terreni, piantato alberi, coltivato ortaggi, curato fiori, attinto col secchio acqua dal pozzo, fatto il pane, cucinato per migliaia di persone. Il tutto non è stato un ònere, ma un onòre; non una fatica, ma un privilegio; non un dovere, ma un piacere. Tutto un Dono. Sono grato anche per le difficoltà incontrate, per gli ostacoli superati, per le umiliazioni subite. Spesso sono stato ‘battuto’ (nel senso di aver perso nella lotta della vita) e ‘sbattuto’ (nel senso di disprezzato, rifiutato, scartato, emarginato), ma non mi sono ‘abbattuto’ (. . .) Nonostante minacce e ricatti, ho portato a termine la missione affidatami 30 anni fa. Non per mio merito, a dispetto dei miei limiti e a prescindere dagli abbagli presi e dagli sbagli fatti. Noi siamo solo strumenti nelle mani dello Spirito che è libero di scegliersi i tempi, i luoghi, i modi e gli strumenti che vuole. Quella chiamata inaspettata e misteriosa segnò il resto della mia vita (avevo solo/ già 52 anni). Il sentimento dominante dopo 30 anni di presenza e di impegno è di grande stupore. Mi chiedo e con me se lo chiedono in tanti: com’è stato possibile tirar fuori da un cumulo di macerie un’opera d’arte così grande e meravigliosa? La Romita è un miracolo vivente, una ‘utopia realizzata’”. E scriveva esattamente un anno fa, per la pentecoste del 23 maggio (ed il restauro della Romita era iniziato proprio nella pentecoste del 1991, il 19 maggio): “Non ho paura del domani. A che serve la paura? Ad avere paura e a incutere paura. E’ perdita di tempo e di energia”, “per l'immane fatica sostenuta non ho motivi di vantarmi né mi aspetto consensi, riconoscimenti, gratificazioni da alcuno. Mi sento gratificato a sufficienza per aver avuto l'onore di essere chiamato a realizzare così grande opera, nonostante i miei limiti. A dispetto degli abbagli presi e degli sbagli fatti. Mi sono conforto sufficiente le parole dei Salmi che canto ogni giorno: ‘Ti sono note tutte le mie vie’, ‘I passi del mio vagare li hai contati’, ‘Le lacrime mie nell’otre tuo raccogli’. Sono grato anche per l’emarginazione e le umiliazioni subite, perché mi hanno fatto crescere nell’amore di Dio, di Francesco, del prossimo e della Romita. Nella vita impariamo più dagl’insuccessi che dai successi. Il Signore ha trasformato le mie ferite in feritoie, le strettoie in spazi dai vasti orizzonti. Dopo tanta fatica, tante lotte e tanta sofferenza, ora sperimento gioia e pace interiore. Il futuro mio e della Romita sono nelle mani di Dio. Finché Lui vorrà, vado avanti con fiducia e determinazione, consapevole che sono stato solo uno strumento nelle sue mani”. La Romita ora è nelle mani delle poche persone presenti nella comunità e che hanno assistito il loro frate con affetto fino all’ultimo respiro (domenica scorsa, spento da un tumore diagnosticato a Natale) e gli stessi proprietari, Piefrancesco e Paolo Eustachi, figli del possidente locale che comprò questi boschi all’asta e che sono stati tra i grandi finanziatori del restauro ed amici di Bernardino. Un anno fa frate Bernardino scrisse una lettera in cui invitava a riflettere sulle opportunità di cambiamento offerte dalla pandemia partendo dalla “francescanizzazione” della società: “Un termine che non esiste nel vocabolario, ma che uso da 40 anni per indicare che Francesco nel suo Cantico delle Creature, con la sua fraternità universale e con il suo stile di vita ci indica la strada del futuro. Ci mostra un nuovo approccio alla Natura e a Madre Terra. Non più un atteggiamento e un accanimento predatorio nei confronti delle loro risorse, ma rispetto, venerazione, umiltà, gratitudine, ammirazione, amicizia, empatia, benevolenza. Nei rapporti umani non più contrapposizione, ma collaborazione; non più ricerca del profitto personale, ma del bene di tutti; non più concorrenza, ma solidarietà; non più rivalità, ma fraternità. La società futura adotterà questo nuovo modo di pensare e di agire. Utopia? Sembra di sì, ma non ci resta altro che crederci e realizzarla”. E presentava un vademecum di 15 consigli sfidanti ed essenziali, che ben riflettono quale è stato il suo stile di vita: 1. “Non dimenticare che la tua anima ha ali per volare. Caro(a) amico(a), tu non sei fatto(a) per stare in gabbia. Anche se la gabbia è dorata, è sempre una gabbia. Guarda gli uccelli: sono maestri del volo e del canto. Guarda le farfalle: danzano in volo con tanti colori. Vola alto e libero(a) come le aquile: respirerai aria pura e vedrai il mondo dall’alto”. (Da una canzone della Romita) 2. Segui la raccomandazione di Paolo Apostolo: ‘Non farti vincere dal male, ma vinci il male con il bene’. Nel buio accendi una luce. Anche se piccola, cambierà la situazione. 3. Nel tuo pensare, parlare e agire, pratica la cultura/economia del dono: ispirati a Francesco di Assisi che è stato uomo vivo, positivo, propositivo, innovativo, creativo e costruttivo. E ancora: gioioso, coraggioso, generoso e operoso. Ne avrai grandi vantaggi. Tu e gli altri. Farai un percorso affascinante e gratificante che lascerà tracce positive e durature alle generazioni future. Un investimento intelligente. 4. Ogni mattina dedica 15 minuti a te stesso(a), l’1% del tuo tempo (ogni giorno infatti ha 1444 minuti!). Ogni giorno è nuovo: apri gli occhi e guarda che meraviglia, hai tanti motivi per stupirti. Non pensare al giorno di ieri che è passato. Pensa all’oggi che ti viene donato. Vivilo in modo nuovo: non noioso, ma gioioso; non ripetitivo, ma creativo. Abbi ogni mattina l’umiltà e il coraggio di ricominciare daccapo. Ogni giorno è grazia: ringrazia chi te lo dona. Ogni giorno è unico: sfrutta le opportunità che ti offre, vivi con consapevolezza, passione e impegno. Quei pochi minuti al mattino ti faranno gestire bene la giornata: con mente lucida, cuore caldo e mani operose. 5. Non delegare nessuno a gestire la tua salute. Il primo responsabile sei tu, non il medico, non la farmacia, non l’ospedale, non il ministero della sanità, non l’OMS. Importanza e attenzione vanno date all’alimentazione, all’attività fisica e al sistema immunitario. E di ciò è responsabile ciascuno di noi. La conoscenza sta alla base dell’agire. L’ignoranza provoca danni. 6. Cura l’igiene della tua mente, del tuo cuore e della tua anima: ogni giorno nutriti della Parola di Dio (la Bibbia), osserva e ammira la Natura, connettiti al Tutto con il silenzio e la preghiera, ascolta la musica del vento, dell’acqua, del fuoco e degli uccelli, leggi una poesia, guarda un fiore. 7. Non farti (de)formare dai mass media e distrarre dai mezzi di distrazione di massa. La massa abbassa. Conserva una tua forma, mantieniti in forma: con il cervello acceso, vigile, attento, critico. Chi non è critico in questo tempo estremamente critico, è cretino. Non pensare quello che “si pensa”; non ripetere quello che ‘si dice’; non fare quello che ‘si fa’. ‘Sta solo come l’albero, vivi in comunità come il bosco’. Sii te stesso, altrimenti diventi massa e non sei nessuno. Usa i tuoi occhi per guardare la realtà, la tua intelligenza per interpretarla. 8. I mass media favoriscono la mediocrità. Tu lotta contro la mediocrità, va contro corrente. ‘Solo i pesci morti non nuotano contro corrente’. La via in discesa è facile, ma porta in basso ed è pericolosa. La via in piano è piatta e noiosa. La via in salita costa fatica, è affascinante e porta in alto. Siamo fatti per salire verso l’alto. La vita è fatta di scelte. Possibilmente di coraggiose e impegnative. 11 Non farti condizionare da quello che altri pensano e dicono di te. Concentrati sull’essere e trascura l’apparire. Tu sei quello che sei davanti al tuo Dio e alla tua coscienza. Il fiore è bello e profuma a prescindere dalla reazione di passanti distratti e superficiali. 10. Quest’anno ricorre il centenario dantesco (1321-2021). Prendi in mano la Divina Commedia: è un mondo tutto da scoprire. 11. Non rimpiangere quello che non hai più. E’ perdita di tempo. Concentrati su quello che hai, apprezzalo e sii grato. ‘Se la notte piangi perché non splende il sole, non vedi le stelle’. 12. Usa le mani e le dita non solo per la tastiera del cellulare e del computer, ma anche per ricostruire case diroccate, dissodare terreni incolti, piantare fiori e alberi, raccogliere frutti; per fare una carezza e per suonare strumenti musicali. 13. Se vuoi cambiare il mondo, cambia te stesso che sei parte del mondo. Ti hai sempre a portata di mano. Meglio fare piccoli passi nella direzione giusta che grandi falcate senza sapere in che direzione. 14. Colora le tue parole di aggettivi positivi. Gli aggettivi ‘aggiungono’ qualcosa di nuovo ai sostantivi, danno un ‘valore aggiunto’ alle parole. Rendi le tue parole luminose e melodiose. Faranno bene a chi le ascolta. 15. A chi vuole indottrinarti obietta che non sei un contenitore da riempire, ma una fiaccola da accendere e che non ti servono ideologie, ma idee”. (25 MAG / mag)
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