“QUELLA NOTTE A VALDEZ” DI CINZIA TANI
L’Alaska con la sua natura selvaggia, i ghiacciai, la tundra, il permafrost, le grandi foreste, le lunghe notti invernali e il sole a mezzanotte durante l’estate. Malaya Bennett è la bellissima e temeraria figlia di Lawrence, antropologo di Boston, e di Anik, una inuit che contesta il lunghissimo oleodotto che ha cambiato drasticamente la vita del paese dopo la scoperta del petrolio. Il fratellastro Koko, ribelle e aggressivo, è nato dalla violenza subita da Anik quando aveva diciotto anni. Lo sceriffo non ha individuato il colpevole perché lei non ricorda più nulla di quella notte. L’estate del 1988 arrivano a Valdez, terminal dell’oleodotto, i petrolieri Brendan Peterson e Desmond Morris con le loro famiglie, che sconvolgeranno la vita dei Bennett e della città. Si basa su fatti veramente accaduti nel 1989 ,quando la super petroliera Exxon Valdez si incagliò versando in mare 41 milioni di litri di petrolio, la storia raccontata da Cinzia Tani nel suo nuovo libro pubblicato da Vallecchi Firenze: “Quella Notte a Valdez”, dal 1 giugno nelle librerie e sugli store. Cinzia Tani è giornalista e scrittrice, autrice e conduttrice radiotelevisiva. Nel 2004 è stata nominata dal presidente Ciampi cavaliere della Repubblica per meriti culturali. Tra i suoi libri: Assassine (Mondadori, 1998), Coppie assassine (Mondadori, 1999), Amori crudeli (Mondadori, 2003), L’insonne (Mondadori, 2005), Sole e ombra (Mondadori, 2007, premio Selezione Campiello), Lo stupore del mondo (Mondadori, 2009), La storia di Tonia (Mondadori, 2014), Donne pericolose (Rizzoli, 2016), Il capolavoro (Mondadori, 2017), Darei la vita (Rizzoli, 2017), la trilogia Il Volo delle Aquile (Mondadori, 2018-2020), Angeli e carnefici (Rizzoli, 2021), L’ultimo Boia (Vallecchi, 2021). www.cinziatani.it.
LIBRI, “TUTTE LE FAMIGLIE FELICI” DI AMBRA GARAVAGLIA
“Tutte le famiglie felici si assomigliano, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”. Così scriveva Tolstoj nel 1877, in uno degli incipit più celebri della storia della letteratura. Oltre un secolo dopo, Ambra ha tredici anni e
riflette su quanto questa frase si possa applicare alla sua realtà. Ambra è la figlia minore di una famiglia apparentemente come tante. Mamma e papà si sono innamorati molto giovani, si sono sposati, hanno messo su famiglia. Prima di lei, due gemelli, due maschi. “Tutte le famiglie felici” è il titolo del libro di Ambra Garavaglia, in uscita il 14 giugno per De Agostini. L’infanzia di Ambra, la femmina tanto desiderata, scorre relativamente serena. Poi iniziano le medie, ed è lì, alle soglie dell’adolescenza, che i piccoli grandi drammi di una teenager sono eclissati da un’ombra più cupa, che sembra allargarsi a dismisura. Il padre di Ambra comincia a mostrare i segni di un malessere dalle radici profonde: una forma di schizofrenia difficile da diagnosticare, ancora più difficile da accettare. E impossibile da raccontare a chiunque, fuori casa: un patto silenzioso stringe Ambra e i suoi famigliari fino a diventare una morsa. Ma il paese vede e sente tutto, e la sofferenza si moltiplica. Quell’ombra che si è insinuata nella famiglia Garavaglia ne altera gli equilibri per sempre, ma non riesce a spezzarne i legami. Dopo l’eclissi
torna a brillare la luce, grazie a un percorso di decostruzione e ricostruzione che dura un ventennio, e non può dirsi mai realmente concluso. Un percorso che richiede non solo di imparare ad ascoltarsi e mettersi in discussione, ma anche di grattare via il tabù che ancora circonda la malattia mentale nella nostra società. Tutte le famiglie felici è una storia di fatica, paura e dolore, ma anche di crescita, coraggio e speranza. E di amore, che può salvare la vita. Nonostante il lieto fine, comunque, Ambra è certa che nessuna famiglia assomigli alla sua. Nemmeno nella
felicità. Ambra Garavaglia è hostess di terra all’aeroporto di Malpensa. Si è imposta all’attenzione del pubblico per i suoi divertentissimi tweet che riproducono gli assurdi dialoghi intrattenuti con i viaggiatori. Vive nei pressi di Milano con il marito Fabio, il figlio Leo e il loro bulldog francese Bruno.
MALE LIQUIDO, DIALOGO TRA BAUMAN E DONSKIS
Esiste una modalità specificamente liquido-moderna del male. È ancora più insidiosa e pericolosa delle sue precedenti manifestazioni storiche perché il male oggi appare frammentato, polverizzato, disarticolato e disperso. Il male liquefatto si cela alla vista e, anziché essere riconosciuto per ciò che è, riesce a passare inosservato. In un dialogo serrato con il filosofo Leonidas Donskis, Zygmunt Bauman in “Male liquido” (Laterza, pp. 240, euro 20, traduzione di M. Cupellaro) affronta il tema del male nella contemporaneità. Perché se da una parte è indubitabilmente un compagno permanente e inalienabile della condizione umana, dall’altra sono inedite le forme e i modi in cui opera nella sua odierna versione liquefatta. Il male liquido ha una stupefacente capacità di camuffarsi e reclutare al proprio servizio ogni sorta di interesse e desiderio umano, profondamente umano. Lo fa con motivazioni tanto pretestuose quanto difficili da sfatare e confutare. Il più delle volte il male liquefatto riesce ad apparire non come un mostro, ma come un amico che non vede l’ora di dare una mano. Utilizza come strategia di fondo la tentazione anziché la coercizione. Ha l’impressionante capacità, tipica dei liquidi, di scorrere attorno agli ostacoli che si trovano sul suo cammino. Come ogni liquido, li impregna e li macera fino a eroderli per poi assimilarli nel suo organismo in modo da nutrirlo e accrescerlo ulteriormente. È questa sua capacità, accanto alla elusività, a rendere così arduo lo sforzo di resistergli efficacemente.
GLI AUTORI. Zygmunt Bauman è stato uno dei più noti e influenti intellettuali del secondo Novecento, maestro di pensiero riconosciuto in tutto il mondo. A lui si deve la folgorante definizione della “modernità liquida”. È stato professore emerito di Sociologia nelle Università di Leeds e Varsavia. Laterza ha pubblicato quasi tutti i suoi libri, tra cui: Voglia di comunità; Modernità liquida; Amore liquido; Vita liquida; Modus vivendi. Inferno e utopia del mondo liquido; Paura liquida; Capitalismo parassitario; “La ricchezza di pochi avvantaggia tutti”. Falso!; Danni collaterali; Babel (con E. Mauro); Per tutti i gusti. La cultura nell’età dei consumi; Stranieri alle porte; Retrotopia; L’ultima lezione (con W. Goldkorn); Il disagio della postmodernità; Cecità morale (con L. Donskis); A tutto campo. L’amore, il destino, la memoria e altre umanità (conversazioni con P. Haffner). Leonidas Donskis, filosofo lituano-ebreo, è stato teorico politico, storico delle idee, analista sociale e commentatore politico. Ha insegnato Scienza politica alla Vytautas Magnus University di Kaunas, dove ha diretto la Academia Cum Laude. È stato console onorario della Finlandia a Kaunas, vicepresidente della comunità ebraica lituana e membro del Parlamento europeo.Tra le sue pubblicazioni tradotte in italiano, Amore per l’odio. La produzione del male nelle società moderne (Erickson) e Potere e immaginazione. Studi di politica e letteratura (Aracne).
VIAGGIO NEL “TIFO” CON MARCHESINI E PIVATO
L’Italia, patria dei campanilismi, anche sportivi, tiene a battesimo negli anni Venti del Novecento il vocabolo “tifo”. Quale che sia la sua origine, il tifo non si esaurisce nei cori intonati sugli spalti o a bordo ring per i propri beniamini: a mano a mano che da fenomeno d’élite lo sport diviene manifestazione di massa, tende a trasformarsi in una passione che ha molto in comune con la vita e la morte, l’amore e l’odio. I campioni entrano nella vita quotidiana delle persone, ne nutrono l’immaginario e vivono nel mito. Stadi, velodromi, palazzetti dello sport sono i templi dove si celebra un rito pagano, mentre le salite del ciclismo diventano luoghi di pellegrinaggio ai quali avvicinarsi con emozionata deferenza. In “Tifo. La passione sportiva in Italia” di Daniele Marchesini e Stefano Pivato (Il Mulino, pp.280, euro 22) letteratura e giornalismo d’epoca, memorie e documenti, film, canzoni, e perfino i gadget compongono un racconto corale e popolare della società italiana.
Daniele Marchesini ha insegnato Storia contemporanea nell’Università di Parma. Con il Mulino ha pubblicato anche “Cuori e motori. Storia della Mille Miglia» (2001), “Carnera” (2006), “L’Italia del Giro d’Italia” (nuova ed. 2009), “L’Italia a quattro ruote. Storia dell’utilitaria” (2012), “Eroi dello sport” (2016) e “Coppi e Bartali” (nuova ed. 2019). Stefano Pivato, professore emerito, ha insegnato Storia contemporanea nell’Università di Trieste e di Urbino e collabora con il Dipartimento di storia dell’Università di San Marino. Per il Mulino ha tra l’altro pubblicato: “I comunisti mangiano i bambini. Storia di una leggenda” (nuova ed. 2015), “I comunisti sulla Luna. L’ultimo mito della Rivoluzione russa” (con M. Pivato, 2017), “Storia sociale della bicicletta” (2019) e “La felicità in bicicletta” (2021).
DARIA GALATERIA CI FA SCOPRIRE IL “BESTIARIO” DI PROUST
La Recherche è un’Arca di Noè, carica di animali, che Proust ha messo in salvo. Alcuni gli venivano dalla vita, altri dalle letture: sono i suoi animali perduti, osservati con tenerezza spietata. Così, si preoccupa delle bestie che non possono baciarsi: i cervi con la loro possente impalcatura, che sono in grado solo di sfiorarsi con un ramo delle corna, i ricci, prigionieri della loro corazza, tutti gli esseri a cui mancano organi essenziali per l’amore. La famosa frase “i veri paradisi sono i paradisi che abbiamo perduto” nasce in una visita allo zoo di Parigi, vedendo leoni e orsi in gabbia, “re in esilio”, che hanno perso le loro giungle – il loro passato. Bestie dissimili ma fraterne illustrano tutti i temi proustiani: l’aristocrazia, lo snobismo, gli ebrei, la sterilità, la malattia, l’ipocondria, il parricidio, e anche la morte. E proprio all’origine della Recherche, c’è un piccolo pipistrello cieco che sbatte negli angoli di una fattoria in Bretagna. Proust stesso, se si descrive, è spesso un animale: è un gufo che vive al buio, e che vede un po’ chiaro solo nelle tenebre; e anche se sa che la moda è per i romanzi brevi, le sue frasi, bisogna pure che le fili come il baco da seta. Ora, a cent’anni dalla scomparsa, nel saggio “Il bestiario di Proust” di Dario Gelateria (Sellerio, pp. 236, euro 15) per la prima volta si considera come gli animali siano stati attori delle principali pagine della vita e delle opere di Proust. A partire dai motivi più profondi e forti dell’universo proustiano, un saggio tematico rileva con quale frequenza siano state le bestie a ispirarli e incarnarli. A seguire, un Catalogo degli animali di Proust ne registra cronologicamente le apparizioni e le ricorrenze: come entrano in scena tra lettere, poesie, novelle, fogli persi, quaderni preparatori, romanzi – e poi cosa diventano, e in che ruoli recitano: naturalmente, come tutti i suoi personaggi, anche gli animali di Proust evolvono, nel Tempo.
L’AUTORE. Daria Galateria (Roma, 1950) insegna Lingua e Letteratura francese nell’Università di Roma «La Sapienza». Ha scritto André Breton (Milano, 1977) e ha curato la prima edizione commentata della Ricerca del tempo perduto di Proust, di cui ha pure pubblicato i primi quaderni preparatori (1988). Si è occupata di Buffon, di Jean Giono e di Paul Morand. Per questa casa editrice ha curato numerosi volumi, tra cui Madame de Duras, Il segreto (1988), Charlotte Robespierre, Memorie sui miei fratelli (1989), Nicolas-Edmé Restif de la Bretonne, Lettera a una scimmia (1995), Raymond Radiguet, Il ballo del conte d’Orgel – e ha pubblicato Parigi 1789 (1989), Il tè a Port-Royal (1995), Fughe dal Re Sole. Memorie di cortigiani riluttanti (1996), Entre nous (2002), Mestieri di scrittori (2007), Scritti galeotti. Narratori in catene dal Settecento a oggi (2012) e L'etichetta alla corte di Versailles. Dizionario dei privilegi nell’età del Re Sole (2016).
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