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Parola d’ordine:
tirare a campare

di Paolo Pombeni

La spaccatura fra governisti e barricadieri era inevitabile scoppiasse prima o poi nei Cinque Stelle. Magari era difficile pensare qualche tempo fa che il governista sarebbe stato l’ex capo politico Di Maio e il barricadiero il nuovo capo politico Conte, ma in un quadro in cui il supremo orizzonte è il tirare a campare, il che. come insegnava Andreotti, è meglio che tirare le cuoia, non c’è da stupirsi di nulla.
Curiosamente a terremotare il sistema hanno lavorato gli stessi Cinque Stelle, vuoi con la regola dei due mandati che è troppo stretta, vuoi con il taglio del numero dei parlamentari. La prima regola non è affatto una novità grillina: in teoria c’è anche in altri partiti, solo che lì è temperata dalla possibilità dei vertici di concedere “eccezioni” (regolari per i leader più in vista), ma soprattutto dal fatto che riguarda ogni ambito elettivo, per cui puoi fare due anni in un comune, due in una regione, due in parlamento. Si dice che qualcosa di simile volesse proporre Grillo, ma la difficoltà è che non c’è paragone fra quel che si “guadagna” da più punti di vista nei diversi ambiti e soprattutto che nel caso presente si tratterebbe per tutti i parlamentari di una retrocessione, fra il resto verso ambiti in cui non ci sono grandi prospettive di successo (per non parlare della non coincidenza delle varie scadenze).
Aggiungiamoci la questione del taglio dei seggi disponibili. Combinando questa con il calo di consensi che M5S registra secondo tutte le rivelazioni demoscopiche, stiamo parlando di una platea attuale di poco più di 200 deputati fra Camera e Senato (lasciamo fuori ovviamente i vari eletti passati ad altri fronti) che si ridurrebbe, ben che vada, a 70.
Se teniamo presente questo quadro si può cogliere la crisi di nervi che attanaglia il movimento, soprattutto il suo gruppo dirigente. Come sempre in questi casi si è scatenata la rissa fra le personalità. A Di Maio non si perdona l’abilità di essersi guadagnato un ruolo di primo piano anche a prescindere dalla sua appartenenza a M5S. A parte Conte, che però ha avuto la fortuna di vedersi paracadutato alla presidenza del Consiglio, nessun altro dei membri può vantare qualcosa di simile. In politica la lotta per azzoppare il leader emergente che ha carte sue da giocare è una prassi a cui non si sfugge. Ecco allora quasi tutti a cercare il quarto d’ora di gloria che non hanno avuto nel partecipare all’attacco al loro ex compagno che ha scalato il successo.
Conte, che sempre più mostra di non avere stoffa politica, si gode l’opportunità di mettersi a capo di questa invidia incurante della scarsa sostenibilità delle sue argomentazioni. Predicare di essere atlantisti ed europeisti nel momento in cui si vuol mettere in difficoltà un premier che lavora nel quadro degli impegni che ha preso la Nato e che in Europa si è guadagnato una posizione nel gruppo di testa suona infatti ridicolo. Naturalmente è legittimo sostenere che la Nato dovrebbe comportarsi diversamente e che l’Europa dovrebbe fare cose diverse da quelle che sta facendo, ma si deve logicamente concludere che si cerca un altro governo. Ciò è esattamente quello che nessuno dei Cinque Stelle vuole (e, se è per questo, neppure gli altri partiti della coalizione, solo che questi lasciano ai pentastellati il privilegio di andare a sbattere contro un muro). Far cadere Draghi significherebbe semplicemente andare velocemente alle elezioni anticipate con la certezza di perdere sette/nove mesi di stipendio (a 14mila euro al mese fate un po’ i conti della perdita …), magari la quota pensione (ma per quella basterebbe votare dopo settembre) e certamente con l’ottica che un bel po’ di parlamentari non avrebbe chance di rielezione. Come dicono autorevoli voci da dentro le due Aule, non è proprio aria per roba del genere …
Allora avanti con la ricerca del solito pastrocchietto, una risoluzione in cui si butteranno lì nobili principi a cui nessuno può opporsi (importanza della pace, rilievo del parlamento, ecc.), ma ci si guarderà bene da qualsiasi passaggio che possa suonare come una censura alla libertà di iniziativa di Draghi e del suo governo. Per far sfogare la demagogia delle varie anime grilline, e anche di quelle esterne fiancheggiatrici o oppositrici che siano, c’è il festival continuo dei talk show.
Allora tanto rumore per nulla? Certamente, se la situazione non sfugge di mano, perché qualche variabile imprevista può sempre entrare in campo. La prima è che il governo delle Aule sfugga di mano, visto che ormai un po’ tutti i partiti, ma i Cinque Stelle in particolare, devono fare i conti con parlamentari che cercano ciascuno il suo quarto d’ora di notorietà, cosa che si ottiene con la sceneggiata. Quelle per lo più si fanno finire nel nulla, ma non sempre va così bene.
La seconda variabile è come reagiranno i nostri partner, in Europa e nella Nato, a questa situazione confusa. Non è che proprio tutti siano così disponibili a lasciar consolidare e magari a lasciar crescere lo spazio che Draghi si sta guadagnando. Non ci vuol molto per usare l’argomento della scarsa affidabilità della politica italiana per ridimensionare quei ruoli (di passaggio notiamo che lo si sta già facendo in campo economico lasciando crescere il nostro spread, nonostante la nostra economia vada piuttosto bene, nonostante tutto). Una opinione pubblica matura dovrebbe richiamare all’ordine tutti i giocolieri che per i loro esibizionismi mettono a rischio la nostra tenuta. Purtroppo in questo momento è di maturità nella pubblica opinione che siamo carenti.

(da mentepolitica.it)

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