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IIC Pechino: le sfide del direttore tra cultura e nuova emigrazione

IIC Pechino: le sfide del direttore tra cultura e nuova emigrazione

Federico Antonelli, direttore dell’Istituto Italiano di Cultura a Pechino, spiega a 9colonne come l’Italia e la Cina siano vicine tra loro, e quali siano i punti di forza del dialogo tra queste due nazioni.

Federico Antonelli, docente all’università di Roma Tre, lei è stato designato all’Istituto Italiano di Cultura di Pechino e sta per partire. Cosa si aspetta e cosa l’aspetta?
Mi aspetta una sede molto impegnativa, ma anche molto affascinante, dove si possono fare diverse cose. La Cina e i cinesi sono molto recettivi sulla cultura italiana: è un luogo dove la cultura ben si presta al concetto di promozione integrata e dove il Made In Italy e altri aspetti del sistema Italia devono lavorare insieme per aiutarsi uno con l’altro. Certamente la Cina è un po’ cambiata negli ultimi anni, dopo la pandemia, ma quale paese non lo è? Sarà una sfida impegnativa, ma sono entusiasta.

Non è la prima volta in Cina. Cosa ha fatto nella sua precedente esperienza?
Ho passato più di 15 anni della mia vita in Cina. L’ultima esperienza è stata presso la nostra ambasciata. Ho svolto le funzioni di addetto giuridico, specialmente nell’ambito delle relazioni commerciali, aiutando le nostre imprese a insediarsi e a lavorare al meglio con la Cina e aiutando le imprese cinesi a investire in Italia.

La Cina ha un amore particolare per l’Italia, e questo è reciproco, anche se questo paese negli ultimi anni è stato associato alla pandemia. Quali strumenti utilizzare, se ci fosse bisogno, per scavalcare questo?
Le relazioni tra Italia e Cina risalgono a diversi secoli, se non millenni e dobbiamo guardare a questa prospettiva di lungo periodo. Abbiamo tanti punti in comune, a partire da una lunga storia e civiltà; nelle più stretta attualità, siamo anche i paesi che detengono più siti Unesco. Già solo partendo da questi punti di forza di entrambi i paesi è bello e doveroso avere un dialogo. Credo che questo sarà il mio impegno, cercare di dialogare con i cinesi interessati all’Italia e l’Europa.

La cultura, ma anche la scienza, fanno da ponte tra le culture diverse. La ricerca in questo periodo è uno dei fari dei vari popoli. Pensa di organizzare dei progetti in quel senso?
L’attività degli istituti di cultura si declina sempre di più in vari settori, quali la scienza, la tecnologia, il design e l’architettura. La promozione culturale non si può non fare in modo integrato. Si tratta anche di lavorare con gli altri colleghi presso la nostra ambasciata; più in generale con il sistema Italia, il nostro sistema di professori e accademici che lavorano in Cina, per rafforzare le collaborazioni innanzitutto a vantaggio delle nostre Università e della nostra ricerca.

È la prima volta che si impegna in un Istituto Italiano di Cultura. C’è qualcosa che la impaurisce?
I due giorni di incontri con gli altri direttori a Napoli sono stati molto utili e importanti per comprendere meglio il funzionamento degli istituti e le importanti riforme che sono state fatte e hanno gettato le basi per un rilancio delle attività degli istituti in giro per il mondo e, sono sicuro, anche in Cina.

La conferenza a cui si riferisce ha visto riuniti tutti i direttori degli istituti di cultura al Teatro San Carlo di Napoli, per la prima volta fuori dal palazzo della Farnesina. Si tratta di aprire gli occhi ad un’Italia diversa?
Sicuramente lavorare sempre dentro gli uffici non è un bene, né nelle sedi all’estero né a Roma. Si è trattata di un’idea lungimirante, che credo sia stata apprezzata da tutti i direttori e le direttrici degli Istituti di Cultura.

Viene da una carriera universitaria, pensi siano più “domabili” gli studenti romani o i cinesi interessati all’Italia?
È bellissimo rapportarsi con entrambi. Vedo sempre più generazioni di studenti italiani proattivi e interessati verso il mondo, con grande grinta. È quello che ho visto in Italia in questi anni, ma è anche quello che mi aspetto di trovare in Cina, rispetto all’interesse verso il nostro paese e verso l’Europa. Noi comunque siamo un punto di riferimento importante per l’Europa, e questo binomio va sempre tenuto insieme.

La capacità o la possibilità di approcciarsi con la nuova emigrazione, che è un’emigrazione di alto livello, di ragazzi motivati che guardano al mondo in maniera diversa da chi li ha preceduti. In particolare, la Cina è un teatro accogliente in questo senso. Immagini già dei progetti per questo particolare target?
Questo è un tasto dolente. La situazione descritta era quella pre-pandemia. Oggi purtroppo la Cina ha un’emorragia di cervelli e di persone straniere molto forte. Magari c’è da ricostruire un interesse rispetto alle opportunità che questo paese può offrire per i giovani italiani come luogo di formazione e di opportunità, per poi portare questa esperienza indietro in Italia e in Europa. Questo è un aspetto da ricostruire. In questo momento sappiamo purtroppo che l’accesso alla Cina è molto difficoltoso. (sab - 25 ago)

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