Cinquantaquattro anni fa, il 23 settembre 1968, moriva, a San Giovanni Rotondo, Padre Pio da Pietrelcina dove era nato il 25 maggio 1887. Il giovane pietrelcinese, nel 1903, entra nel Convento dei Frati Minori Cappuccini di Morcone. Venne ordinato sacerdote il 10 agosto del 1910 a Benevento. Meno di un mese dopo, il 7 settembre, le prime stigmate, quelle definite “invisibili” e che comunica al suo direttore spirituale solo un anno dopo. La data precisa del fenomeno viene indicata dal parroco di Pietrelcina, don Salvatore Pannullo dopo l’apparizione delle stimmate al santo cappuccino nel convento di San Giovanni Rotondo, otto anni dopo: il 20 settembre 1918, esattamente 104 anni fa. Alla nipote Grazia, venuta a conoscenza del fenomeno disse: “Voi lo sapete adesso, io lo so dal 1910”. Alle reiterate richieste della nipote che voleva saperne di più, don Salvatore rispose raccontando che nel pomeriggio del 7 settembre 1910, mentre padre Pio era sotto l’olmo di Piana Romana in preghiera per prendere il fresco, si "presentarono Gesù e la Madonna e gli donarono le sacre stigmate". Al mattino, recatosi per la celebrazione della Messa in paese, raccontò tutto all’arciprete: “Zi’ Tore, fatemi la carità, chiediamo a Gesù che mi tolga questa confusione. Voglio soffrire, morire di sofferenza, ma tutto nel nascondimento”. E don Pannullo: “Figlio mio, io ti aiuto a pregare e a chiedere a Gesù che ti tolga questa confusione; però, se è volontà di Dio, devi piegarti a fare in tutto e dappertutto la sua volontà”. In occasione di questa data e nel ventesimo anniversario della canonizzazione di Padre Pio (16 giugno 2002), l’Editrice Tau ha dato alle stampe un volume del giornalista Raffaele Iaria dal titolo “Zi’ Tore. Il ‘parroco’ di Padre Pio. Don Salvatore Pannullo”.
Un “testimone privilegiato” don Pannullo, come lo chiama Iaria, di molti eventi straordinari che coinvolsero padre Pio. Una figura, quella del sacerdote, significativa per la formazione del futuro frate cappuccino. “Molte volte ad orientare una vocazione è stata decisiva la testimonianza di un'altra anima votata senza riserve a Dio: testimonianze semplici, fatte di vita quotidiana, eppure capaci di mostrare Dio, di far percepire a tutti la sua voce, di rendere chiara - con un discernimento sapiente, la sua volontà”, scrive nella prefazione l'arcivescovo di Benevento, mons. Felice Accrocca. Un prete, don Pannullo, che si fa storia in un piccolo comune del Meridione d’Italia oggi noto a tutti: Pietrelcina; un uomo, come scrive l'autore, che “scopre la santità di un giovane che diventerà il primo sacerdote stigmatizzato della storia e tra i più seguiti al mondo: padre Pio da Pietrelcina”. Don Pannullo, infatti, è stato parroco di questo centro dal 1901 al 1928. Una figura piuttosto trascurata nelle biografie del Santo ma importante per essere stata accanto a Francesco Forgione nel corso della maturazione della sua vocazione religiosa e che fu per certi versi consigliere e guida, maestro e amico, prima alla vigilia dell'inizio del noviziato nei Frati Minori Cappuccini e poi nei periodici soggiorni nel borgo natio per ristabilirsi in salute. Un sacerdote che seguì il giovane Forgione negli ultimi mesi di preparazione al sacerdozio, offrendogli istruzioni inerenti la liturgia e accompagnandoli per l'esame finale e il giorno dell'ordinazione sacerdotale il 10 agosto 1910 nel Duomo di Benevento. Il volume è arricchito da un saggio dello storico Marco Roncalli sui "parroci dei grandi", dalla presentazione del sindaco di Pietrelcina, Salvatore Mazzone e da una postfazione del coordinatore dei Gruppi di preghiera di Padre Pio della Campania, fra Daniele Moffa. (Red)
LE LETTERE INEDITE DEI GENITORI AL FUTURO PAPA GIOVANNI XXIII
"Addio, mio caro figlio, Vi bacio il sacro anello. Vostro padre”. Così si conclude una lettera inviata da Battista Roncalli al giovane don Angelo, quello che diventerà il futuro Giovanni XXIII. La missiva è una delle 85 lettere pubblicate nel volume “Tutto il mondo è la mia famiglia” a cura di Emanuele Roncalli, giornalista, saggista nonché pronipote del pontefice bergamasco, edito da San Paolo (pp. 190, euro 18). Se finora erano note le lettere di Roncalli, sacerdote e poi vescovo, spedite alla famiglia fino al 1935, ora viene colmato una grave lacuna nella letteratura giovannea grazie a questo corpus di lettere del padre Battista e della mamma Marianna Mazzola a figlio che diventerà il Papa più amato del Novecento. L’epistolario fu donato dall’arcivescovo Loris Capovilla, poi cardinale, e da Giuseppe Roncalli, ultimo dei fratelli del papa, nonno del curatore, proprio a Emanuele Roncalli che assieme al fratello custodisce la e alimenta la memoria dell’illustre prozio con una serie di pubblicazioni e conferenze. Le lettere, in una calligrafia incerta, ma regolare, documentano la linfa vitale dalla quale ha veramente attinto Papa Giovanni. Qui ci sono le radici, l’humus, del futuro papa. “Ho dimenticato molto di quanto ho appreso sui libri – diceva Papa Roncalli ai genitori – ma non ho mai dimenticato quanto mi è stato insegnato da voi”. Sono missive che raccontato la quotidianità di una famiglia della campagna lombarda all’alba del Novecento, il lavoro nella vigna, l’allevamento dei bachi da sera, la mietitura del grano, ma sono pregne anche di fede e sono scandite dal racconto di ricorrenze liturgiche, la costruenda chiesa del paese, le rogazioni nei campi. Nonostante i genitori non fossero particolarmente eruditi, conoscevano tuttavia i Salmi, i Vangeli, le vite dei Santi che indicavano al giovane don Angelo come modello da seguire.
Questo scambio epistolare esalta il valore del legame famigliare e della pace domestica e non a caso è edito nell’Anno dedicato alla famiglia oltre che a sessant’anni dall’apertura del Concilio Vaticano II (11 ottobre 1962) e dalla morte di Giovanni XXIII (3 giugno 1963). Il curatore, Emanuele Roncalli, ha già dedicato al pontefice diverse opere, curando già nel 1988 l’antologia Lettere alla famiglia, seguita da molti altri lavori. Per L’Eco di Bergamo ha seguito i due ultimi conclavi e grandi eventi religiosi. Nel 2020 ha ricevuto il Premio Natale Ucsi (Unione Cattolica Stampa Italiana). (red)
ARRIVA SUGLI SCAFFALI IL NUOVO LIBRO DI PASCAL MERCIER
Fazi Editore ha portato sulle librerie italiane la nuova opera di Pascal Mercier, autore di Treno di notte per Lisbona. Il peso delle parole, il cui titolo originale è Das Gewicht der Worte, parla dell’inglese Simon Leyland che, fin dall’infanzia, è affascinato dalla parola. A dispetto dei suoi genitori, una volta adulto diventa un traduttore e persegue con determinazione il suo sogno: imparare tutte le lingue parlate nel Mediterraneo. Da Londra si trasferisce con la moglie Livia a Trieste, dove lei ha ereditato una casa editrice. In questa città di importanti letterati, crogiolo di lingue e culture, l’uomo crede di aver trovato il luogo ideale per il suo lavoro, finché una diagnosi medica inaspettata lo porta a cambiare rotta ancora una volta. A indicargli la nuova direzione è la morte dell’amatissimo zio, un linguista che gli lascia in eredità la sua casa di Londra piena di libri e di memorie. Per Simon questa triste coincidenza segnerà un nuovo inizio, un punto di svolta e un’opportunità per reinventare completamente la sua vita.
IL CANTANTE “NON FAMOSISSIMO PIÙ CONOSCIUTO D'ITALIA" SI RACCONTA
Esce in tutti gli store il libro d'esordio dell'autore "non famosissimo più conosciuto d'Italia" Toni Malco, edizioni Terre Sommerse. Toni cresce artisticamente accanto al suo caro amico di quartiere, il cantautore Rino Gaetano, con il quale perfeziona la sua tecnica compositiva. Ed è proprio nel 1978 che arriva il suo primo grande riconoscimento ovvero il premio “Centocittà”, come vincitore nazionale, aggiudicandosi il “telegatto” di TV Sorrisi e Canzoni. Nei suoi primi anni di carriera è conosciuto, con il nome di Toni Pagano, ma dal 1985 decide di farsi chiamare con un nuovo pseudonimo, ovvero Toni Malco. Nel libro vengono raccontate tutte le sue vicende, dalla sua collaborazione con artisti come Franco Califano, Giulio Todrani, Nino D'Angelo, Junior Marvin, Domenico Di Renzo, Mario Puccioni e tanti altri, al suo rapporto con Massimo Troisi, che lo porta ad abbinare la sua musica al cinema.
SERGIO TAZZER RACCONTA LA MISURAZIONE DEL MOSTO
All'approssimarsi delle vendemmie, ogni anno, quando i viticoltori si incontrano le domande d'uso sono due: “Com'è l'uva, che grado fa?”. Per grado è sottinteso il Grado Babo, un'unità di misura impiegata per definire il contenuto zuccherino presente in un mosto. “GRADO BABO, da Klosterneuburg l’unità di misura del mosto diffuso in tutte le cantine” è il nuovo volume dell’omonima collana edita da Kellermann Editore, in libreria dal 28 settembre, che racconta il nome in codice Grado Babo, che da oltre cent’anni fa parte della tradizione e del lessico dei vigneti e delle cantine, ma di cui grande pubblico non conosce l’origine. A cura di Sergio Tazzer – scrittore, giornalista e membro ordinario dell’Accademia Italiana della Vite e del Vino – il volume conduce il lettore in un viaggio alla scoperta dell’origine del Grado Babo, della sua diffusione e del suo inventore. Il termine Grado Babo è legato ad un semplice strumento di valutazione del contenuto zuccherino del mosto, il densimetro o più usualmente “mostimetro Babo”, il cui inventore, il direttore della cantina di Klosterneuburg August Wilhelm von Babo, è egli stesso parte della storia della moderna vitienologia. Il barone August Wilhelm von Babo, fu uno scienziato noto anche per i suoi studi sulle ampelopatie – malattie delle viti coltivate - che nell'Ottocento giunsero in Europa dal Nuovo Mondo, ma soprattutto poiché mise in piedi l'antesignana di tutte le scuole enologiche. Questa pubblicazione, attraverso la quale il lettore avrà la possibilità di scoprirne vita e imprese, gli rende un doveroso omaggio.