"GRAZIE SIGNORE CHE CI HAI DATO IL CALCIO": IL NUOVO LIBRO DI FABIO CARESSA
Fabio Caressa torna in libreria con “Grazie signore che ci hai dato il calcio” (Sperling & Kupfer). La prefazione è a cura di Beppe Bergomi, suo collega di telecronaca. “Da bambino, quando entravo allo stadio, mi facevo il segno della croce come quando entravo in chiesa. Senza essere blasfemo, per me la mistica era la stessa.» Dal 1986 a oggi Fabio Caressa ha visto e raccontato agli italiani gli eventi, gli uomini e i grandi gesti che hanno fatto la storia recente del nostro calcio, e non solo: il Mondiale del 2006 (“Chiudi la valigia, Beppe: andiamo a Berlino!”) e l’Europeo 2020 (“Grazie Signore che ci hai dato il calcio, che ci fa abbracciare, che ci fa sognare”), le finali di Champions League, le sfide e gli uomini del campionato italiano, le prodezze individuali e di squadra, i momenti epici e quelli drammatici. E dietro ognuno di questi, c’è un universo di storie – a volte commoventi, appassionanti, molto spesso irresistibilmente comiche – che Fabio ha deciso di rivivere in questo libro, raccontando, allo stesso tempo, la poesia dello sport più amato al mondo e la magia di una passione. Una vera galleria di ritratti, episodi rocamboleschi, retroscena, incontri, scontri e sodalizi – tra tutti quello con Beppe Bergomi – che svelano i segreti di una professione, quella del telecronista sportivo, di cui Fabio Caressa è stato ed è tuttora uno dei più importanti interpreti.
L’AUTORE. Nato a Roma nel 1967, Fabio Caressa è tra i telecronisti più seguiti e amati dal pubblico italiano. Voce prima di Telepiù e poi di Sky dal 2003, ha raccontato insieme all’amico Beppe Bergomi i più grandi eventi calcistici italiani e internazionali degli ultimi vent’anni, tra cui i Mondiali del 2006 e la recente avventura di EURO 2020. Dal 1999 è sposato con Benedetta Parodi, da cui ha avuto tre figli: Matilde, Eleonora e Diego. Insieme a Beppe Bergomi è l’unico telecronista ad aver vinto un Mondiale e un Europeo.
CAMORRA, PIERLUIGI LAROTONDA PROVA A FARE LUCE SUL DELITTO AMMATURO
Il 15 luglio del 1982, l'Italia intera era ancora 'ubriaca' per il trionfo Mundial di cinque giorni prima. Si è detto, da parte degli stessi protagonisti di quella storica avventura calcistica, che la vittoria rappresentava un raggio di sole in un Paese ancora avvolto dalle ombre del terrorismo (ricordiamo il caso Moro di appena quattro prima). È la stessa Italia che alla fine di quell'estate, il 3 settembre 1982, vide trucidato per mano mafiosa il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, da poco nominato prefetto di Palermo, che non solo la mafia ma anche il terrorismo aveva fieramente combattuto. È la stessa Italia di quel primo pomeriggio napoletano del 15 luglio 1982, a Piazza Nicola Amore, in cui quattro killer delle Br uccisero il vicequestore Antonio Ammaturo, capo della Mobile. Il dottor Ammaturo era appena uscito di casa, salendo a bordo dell'Alfa bianca di servizio guidata dalla guardia scelta Pasquale Paola. Due brigatisti si avvicinarono ai lati dell'auto e spararono con mitraglietta e pistola, mentre gli altri terroristi attesero in una 128 che il massacro avesse inizio. Alla Camera, per iniziativa della deputata pentastellata Stefania Ascari, è stato presentato il libro inchiesta di Pierluigi Larotonda "Il delitto Ammaturo. Luci e ombre di un mistero irrisolto" (Giazira scritture). "La tesi centrale di questo saggio-inchiesta - spiega l'autore - è che il delitto Ammaturo sia in realtà un delitto di camorra. Per anni ho fatto delle indagini, ho studiato i giornali dell'epoca, soprattutto l'Unità che era molto forte sulla cronaca di Napoli e sui fatti legati alla criminalità organizzata, e mi sono reso conto che chi diede protezione ai brigatisti, che ormai nel capoluogo campano erano 'quattro gatti' allo sbando, furono uomini della 'nuova famiglia', in particolare come accertato anche storicamente e da un punto di vista giudiziario, Renato Cinquegranella. Quindi un uomo della 'nuova famiglia' protesse i brigatisti feriti, dando loro dei viveri, dei medicinali, addirittura portandoli nella sua villa di Castel Volturno, in quel periodo zona della 'nuova famiglia' di Bardellino". E per quale motivo lo avrebbe fatto? "Se non c'è ancora una prova certa del mandato sull'omicidio Ammaturo da parte della nuova famiglia - spiega Larotonda - c'è però una prova che quest'ultima abbia dato protezione agli esecutori e se ne sia avvantaggiata, quindi il giornalista d'inchiesta non può continuare ad addossare questo delitto sempre alla fazione contraria, ovvero quella di Raffaele Cutolo, come per anni si è fatto". L'autore così ricostruisce il contesto in cui è avvenuto il delitto Ammaturo: "Bisogna considerare che nel luglio del 1982 ormai Cutolo era sconfitto criminalmente, si trovava all'Asinara. La 'nuova famiglia' era diventata vincente, aveva ammazzato Aldo Semerari, un criminologo neofascista, in un modo orrendo, decapitandolo e facendo trovare il suo corpo proprio di fronte al castello di Cutolo. Intervenne anche il presidente della Repubblica Sandro Pertini, e Raffaele Cutolo venne trasferito dal suo 'hotel', il carcere di Ascoli Piceno dove praticamente aveva tutto a disposizione, all'Asinara, dove non poteva più respirare. Quindi la 'nuova famiglia' ottenne una grande vittoria. Antonio Ammaturo indagava sul sequestro dell'assessore regionale Ciro Cirillo e soprattutto sull'eliminazione di Semerari. Il fatto che sia stato ammazzato da uomini delle Br, che però ebbero protezione in modo così eclatante, fa pensare al fatto che la responsabilità del mandato sia da ascrivere alla nuova famiglia e non alla Nco di Cutolo" sostiene Larotonda. "Quello di Pierluigi Larotonda - commenta Ascari - è un lavoro importantissimo, puntuale e preciso, che ricostruisce un omicidio che purtroppo ancora oggi non ha trovato verità e giustizia. È un omicidio di due servitori dello Stato: il Parlamento non deve mai spegnere i riflettori su vicende di questo tipo, ma soprattutto su uomini che hanno lottato contro le mafie e la criminalità" aggiunge la parlamentare, concludendo: "Ci sono elementi che devono essere approfonditi, soprattutto l'aspetto dei legami con la camorra, con le brigate rosse, con lo stato e con la politica, legami che non sono mai stati chiariti: essere qui è un dovere prima di tutto".
“ALI”, IL NUOVO ROMANZO DI ENRICO DAL BUONO
È uscito per La nave di Teseo “Ali”, il nuovo romanzo dello scrittore ferrarese Enrico dal Buono, un’esplosione di visioni poetiche, uno specchio deformato delle nostre paure e delle nostre speranze, alimentato dal basso continuo, ostinato e ultraterreno dell’amore. Lo scatto di copertina è di Oliviero Toscani. Enrico Dal Buono presenterà il libro al pubblico giovedì 17 novembre in occasione di Book City Milano al flagship store di Pineider (via Manzoni, 12) in dialogo con la giornalista e blogger esperta di Comunicazione Silvia Berri. Inizio ore 18.30, ingresso libero. La trama: in un mondo tale e quale al nostro, ma in cui le persone hanno ali glabre che faticano a controllare, Eugenio è un allenatore di palla-ala fallito e in crisi di mezza età. È il padre affettuoso di due gemelli e il marito annoiato di Gaia, devotissima figlia di Falco Tremamondo, magnate della finanza e convinto filantropo. Eugenio frequenta prostitute al di sopra dei 1.000 metri di quota, zona franca là dove tutto è possibile e resta segreto. Ma viene scoperto e convinto da Gaia e Falco a ricoverarsi nel lussuoso Gravity Resort, nuova clinica di Montecarlo specializzata nell’amputazione delle ali dei vip: grazie a quest’operazione potrà finalmente rassegnarsi alla propria vita. Qui conosce Ivo Slavici, giornalista paranoico e complottista, e Celeste Possamai, conturbante ma un po’ ingenua, ex prostituta ed ex tossica che ha deciso di liberarsi dalle ali per via degli attacchi di panico di cui soffre in volo. Lei ed Eugenio condividono un desiderio che non riescono ancora a nominare con parole umane, si innamorano, e cominciano a sospettare che il Gravity Resort faccia parte di un piano concepito da Falco Tremamondo con lo scopo di “salvare l’umanità”. Troveranno la forza di scappare insieme? E per andare dove, poi?
L’AUTORE. Enrico Dal Buono, scrittore, è nato a Ferrara e vive a Milano. Ha pubblicato una raccolta di racconti, “Come fratelli” (2013), un saggio, “La provincia è sagra” (2018), due romanzi, “La vita nana” (2015) e “Siete tutti perdonati” (2020). “Ali” è il suo terzo romanzo.
“LA BELLEZZA RIMASTA” SECONDO LA PSICHIATRA ROBERTA ZANZONICO
“Da medico psichiatra, ho avuto il privilegio di ascoltare le storie di tante vite. Quel che più mi ha colpita nella loro narrativa è stata la fragilità (e il coraggio di affrontare una vita incerta nonostante questa)". Ne "La bellezza rimasta" (Morellini) Roberta Zanzonico parla di questa comune fragilità, sia essa imposta dalla malattia o dalla semplice condizione umana. "Quella che ci spinge a non vivere il presente e rintanarci in una vita immaginaria. La fragilità che ci fa rifugiare nella nostalgia, che ci svuota la memoria delle parti spiacevoli, che ci spinge a cercare nella vita la semplicità e non il significato. Nel mio romanzo però si parla anche del coraggio di chi decide di vivere una vita vera nonostante tutto”, commenta l’autrice.
LA TRAMA. La Signora Chiara è una donna anziana che da ormai dieci anni vive nel passato poiché afflitta da una condizione che non le permette più di formare nuovi ricordi. Solo le memorie precedenti alla malattia sono preservate. Una condizione singolare, causata da anni di abuso di alcol, con un risvolto inatteso: permette, a chi parla con la Signora Chiara, di tornare indietro a un momento nel tempo in cui la vita era sembrata gentile. La donna non ricorda, per esempio, che Gioacchino, l’unico figlio del Signor Morbidelli, è guercio poiché ha perso il senno e in un episodio psicotico si è strappato via un occhio. Giacché la Signora Chiara ignora la realtà presente, continua a chiedere al padre, di quel figlio bello e promettente di pochi anni prima. Mentre la gente del paese sogghigna alla vista del Signor Morbidelli, la donna è l’unica a riservargli la stessa cortesia di una volta. Sarà così che l’uomo si troverà a cercare la smemorata nella speranza di rivivere attraverso lei i giorni andati. A uno a uno, gli abitanti del paesino si siederanno al tavolo della Signora Chiara per ricevere la stessa consolazione: tornare indietro a quando si era (o si pensava di essere) felici. Non è forse più semplice tornare indietro che andare avanti? Eppure, la memoria, come alcuni capiranno con amarezza, è un posto alimentato più dall’immaginazione che dalla realtà, che rischia di anestetizzare e infine intrappolare i più vulnerabili, così da precludere loro la possibilità di vivere ancora.
L’AUTORE. Roberta Zanzonico (Velletri, 1986) è una psichiatria originaria di Rocca Di Papa (Roma). Dopo aver conseguito la laurea in Medicina e Chirurgia nel 2010, si trasferisce a Boston, dove consegue la specializzazione in Psichiatria dopo un periodo di ricerca al Massachusetts General Hospital/Harvard Medical School. Completa una Fellowship in teoria psicoanalitica al Boston Psychoanalytic Society and Institute nel 2017. Nel 2018, si trasferisce a Los Angeles per una Fellowship in Consultation and Liaison Psychiatry presso la University of Southern California. Nel 2020, diventa Clinical Instructor presso la UCLA, dove insegna nella facoltà di Medicina e nel Dipartimento di Psichiatra. Oltre alla medicina, le sue passioni sono la musica e la scrittura. Ad Aprile 2019, pubblica il suo primo romanzo con Edizioni Ensemble: Blu Stanzessere. Sempre per Edizioni Ensemble, pubblica due racconti: Agnese e l’Azione nel 2020 e El Niño nel 2021.
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