"Si è immortali per tutto il tempo che si è al mondo" diceva Alberto Asor Rosa, tra le voci più autorevoli della critica letteraria italiana, scomparso oggi all'età di 89 anni. Di certo Asor Rosa, il più celebre palindromo della nostra cultura, sarà ricordato ben oltre la sua lunga e intensa esistenza. Nato a Roma il 23 settembre 1933, ebbe come maestro nientemeno che Natalino Sapegno, altro mostro sacro degli studi sulla letteratura, scomparso nella primavera del 1990. Professore ordinario di Letteratura italiana all'Università La Sapienza di Roma, Asor Rosa ha dedicato tantissimi saggi alla letteratura italiana, a partire dalla pubblicazione della sua tesi di laurea su Pratolini (1958), elaborando poi in "Scrittori e popolo" (1965) una disamina critica del filone populista nella letteratura italiana dal Risorgimento fino a Pasolini, attraverso la concezione di letteratura nazional-popolare di Gramsci. Ma non si può comprendere la sua figura di intellettuale senza prendere in considerazione il suo impegno politico, nelle fila della sinistra: deputato del Partito comunista italiano nel biennio 1979-80, Asor Rosa ha collaborato a periodici quali "Mondo operaio", "Mondo nuovo", "Classe operaia", dirigendo "Contropiano", "Laboratorio politico" e "Rinascita" all'inizio degli anni novanta. Una passione civile che si è intersecata inevitabilmente con la sua produzione saggistica, ne è un esempio tra gli altri il volume della Storia d'Italia Einaudi sulla cultura italiana dall'Unità a oggi. “La voce del potere. Il potere si assuefà alla propria voce - è una delle sue riflessioni - Quando l'assuefazione è completa, la scambia per la voce di Dio”. "Con la morte di Alberto Asor Rosa - scrive su Twitter il leader M5S Giuseppe Conte, tra i primi a commentare la notizia - l’Italia perde la voce di una ricerca rigorosa, di un autorevole esponente della nostra cultura letteraria e politica, di un uomo il cui lascito diviene patrimonio comune per continuare a costruire un futuro di giustizia ed equità sociale". (Roc - 21 dic)
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