Chi ha l’età per ricordare -avendo partecipato o appreso dai protagonisti o letto i resoconti dei giornali- che cos’era il rito dell’incontro volante dei politici con i lavoratori celebrato infinite volte davanti ai cancelli di Mirafiori, non può non avere provato un senso di tristezza e di nostalgia di fronte alla sortita di Stefano Bonaccini. Io che di incontri ne ho visti parecchi per ragioni professionali ho associato l’ultimo a qualche momento non felice del passato: per numero di partecipanti, attenzione, rifiuto, o semplicemente poca curiosità per il destino di quello che un tempo era il partito più rappresentato in questo fabbricone metafora dell’industria italiana.
Un clima difficile da descrivere e non certo per l’impegno, il realismo, la sincerità e se vogliamo anche la simpatia di Bonaccini nel mettere assieme le ragioni della crisi epocale del Pd e dunque della sua candidatura a futuro segretario. Il faccione emiliano, la sua carriera dentro e fuori dal partito, le frequenti apparizioni sui mezzi di comunicazione cartacei e televisivi da parecchi mesi ne fanno un personaggio facilmente riconoscibile.
Eppure tutto si è svolto in un’atmosfera di piatta normalità e desolante indifferenza. A parte s’intende il teatrino messo in piedi dagli attivisti, anche loro neppure lontanamente paragonabili con i “compagni” che una volta affollavano e vivacizzavano questi incontri. Quello che si è visto a Mirafiori, presente un candidato alla segreteria nazionale del Pd tutt’altro che di secondo piano, è la conferma del vuoto che si è aperto e continua a permanere tra la sinistra Pd e gli operai.
E’ anche vero che la Mirafiori di oggi non è da tempo quel teatro sul quale andavano in scena la Fiat e i lavoratori del Secolo Breve, ma è pur sempre la Mirafiori con il suo valore simbolico, icona storica dell’industria italiana. Un luogo dove un esponente della sinistra, in tutte le sue varianti, non può non avere un’accoglienza che senza essere quella che la “balena operaia”, nel bene e nel male, riservava a Lama, Carniti, Benvenuto, Trentin, Garavini o quella che migliaia di operai in delirio tributavano a Berlinguer, faccia vedere comunque il segno di una appartenenza oggi abbandonata ma forse non del tutto dimenticata.
Quei pochi lavoratori attorno a Bonaccini sono la rappresentazione del problema che il Pd si sforza di risolvere continuando però a seguire il metodo che tende a trascinarlo verso il baratro dell’irrilevanza politica. Con i lavoratori non si parla di sfuggita qualche giorno prima delle elezioni o del congresso per poi stupirsi che la periferia nella quale vivono molti di loro (soprattutto quelli che hanno perduto il posto di lavoro) abbia girato le spalle a un partito che ha mostrato di preferirle la borghesia del centro città sulla cui fedeltà è lecito nutrire qualche dubbio. La scarsa passione per non dire indifferenza fotografata al cancello di Mirafiori non è la disaffezione di un momento ma la rappresentazione reale della perduta identità e dell’incapacità (o volontà) del Pd di parlare un linguaggio riconoscibile dal suo popolo.