Un'opportunità unica per scoprire le opere giovanili di Umberto Boccioni: la Fondazione Magnani-Rocca, dal 9 settembre al 10 dicembre, nella sede di Mamiano di Traversetolo (PR), dedicherà a Boccioni una mostra a cura di Virginia Baradel, Niccolò D’Agati, Francesco Parisi e Stefano Roffi, dal titolo “Boccioni 1900-1910 - Roma Venezia Milano”, composta da oltre cento opere, tra cui spiccano alcuni capolavori assoluti dell’artista. L'esposizione si sofferma sulla figura del giovane Boccioni e sugli anni della formazione, affrontando i diversi momenti della sua attività, dalla primissima esperienza a Roma, a partire dal 1899, sino agli esiti pittorici immediatamente precedenti l’elaborazione del Manifesto dei pittori futuristi nella primavera del 1910. Un decennio cruciale in cui Boccioni sperimenta tecniche e stili alla ricerca di un linguaggio originale e attento agli stimoli delle nascenti avanguardie. La mostra intende non solo documentare il carattere eterogeneo della produzione boccioniana, ma soprattutto ricostruire i contesti artistici e culturali nei quali l’artista operava. La mostra è suddivisa dunque in tre macro-sezioni geografiche legate alle tre città che più di tutte hanno rappresentato punti di riferimento formativi per l’artista: Roma, Venezia e Milano, le cui sezioni sono curate rispettivamente da Francesco Parisi, Virginia Baradel e Niccolò D’Agati. All’interno di queste aree, approfondimenti su aspetti specifici, come il rapporto con il mondo dell’illustrazione nel periodo romano, quello con l’incisione e le aperture internazionali legate ai viaggi, costituiscono ulteriori focus di indagine. A documentare questo percorso sono esposte alcune delle opere a olio su tela più note della prima produzione dell’artista, come Campagna romana del 1903 (MASI, Lugano), Ritratto della signora Virginia del 1905 (Museo del Novecento, Milano), Ritratto del dottor Achille Tian del 1907 (Fondazione Cariverona), Il romanzo di una cucitrice del 1908 (Collezione Barilla di Arte Moderna), Controluce del 1909 (Mart, Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto), nonché tempere, incisioni e disegni. Inoltre, l’accostamento di volta in volta alle opere di artisti come Giacomo Balla, Gino Severini, Roberto Basilici, Gaetano Previati, Mario Sironi, Carlo Carrà e Giovanni Sottocornola spiega e illustra le ascendenze e i rapporti visuali e culturali che costruirono e definirono la personalità artistica di Boccioni. Partendo dalla prima tappa che ha segnato indelebilmente l’evoluzione artistica di Boccioni, si dedica attenzione agli anni del soggiorno romano, quando Giacomo Balla aveva introdotto il giovane Boccioni alla nuova tecnica del divisionismo “senza tuttavia insegnarcene le regole fondamentali e scientifiche” come ricordava nelle memorie il compagno Gino Severini. In mostra si documenta anche la produzione “commerciale” di Boccioni, affiancandola ai modelli ai quali si rivolgeva l’artista per la realizzazione dei propri lavori, passando per i nuovi riferimenti visivi rappresentati dalla grafica modernista inglese con Beardsley. Questo, dal momento in cui il periodo romano non segnò solo il progressivo avvicinamento dell’artista alla pittura, ma anche a quello dell’illustrazione commerciale - la réclame - che rappresentava come prodotto artistico, una perfetta e “straordinaria espressione moderna”. Nel primo focus dedicato si trova invece la “Mostra dei rifiutati” organizzata dallo stesso Boccioni, sempre durante il periodo romano, nel foyer del Teatro Costanzi per permettere agli oppositori delle tendenze ufficiali di esporre le proprie opere. La sezione si propone di ricostruire una parte di quell’esposizione. Il secondo polo della formazione boccioniana è rappresentato dai soggiorni padovani e dall’ultimo soggiorno veneziano che coincide con la Biennale del 1907. Questa sezione intende mettere a fuoco tanto il progredire della pittura di Boccioni, quanto la posizione estetica dell’artista rispetto a ciò che ha modo di osservare e conoscere a Venezia. Sono esposte le principali opere realizzate da Boccioni soprattutto durante l’ultimo soggiorno padovano prima di trasferirsi a Venezia, dove ha modo di mettere a frutto quanto maturato a Parigi, e opere significative di pittori veneziani che l’artista stesso commenta nelle proprie riflessioni sulle Biennali. Ciò funge da importante testimonianza che permette al visitatore di comprendere appieno le inclinazioni e le predilezioni estetiche di Boccioni nei confronti di un’arte che rechi “un’impronta nobilissima di aspirazione a una bellezza ideale” come scrisse commentando la Sala dell'arte del Sogno. Riguarda il periodo veneziano il secondo focus presente nella mostra relativo all’avvicinamento dell’artista al mondo dell’incisione, sotto la guida di Alessandro Zezzos. In tale sezione vengono infatti esposte opere grafiche di Boccioni che permettono di ricostruire lo sviluppo della sua attività incisoria nel periodo veneziano e successivamente milanese; per la prima volta vengono presentate le lastre metalliche incise da Boccioni, recentemente ritrovate. Come terza tappa fondamentale per lo sviluppo della propria carriera artistica, Boccioni giunge a Milano nel settembre del 1907. L’importanza del confronto con il capoluogo lombardo è inserita nella mostra tramite l’accostamento delle opere di Boccioni a quelle degli artisti attivi a Milano a inizio secolo, in particolare Previati, cercando di mettere in evidenza il posizionamento dell’artista e l’originalità della sua ricerca all’interno di una frangia dell’avanguardia più sperimentale e di nicchia che aveva come punto di riferimento la Famiglia Artistica, associazione frequentata dallo stesso Boccioni che costituisce un importante punto di contatto fra l’artista e i futuri aderenti al movimento futurista. Il catalogo, pubblicato da Dario Cimorelli Editore, comprende i saggi dei curatori e contributi scientifici che arricchiscono il volume in modo da renderlo non solo una testimonianza delle opere in mostra, tutte illustrate a colori, ma anche un valido strumento e un aggiornamento sugli studi boccioniani. La mostra è realizzata grazie al contributo di: FONDAZIONE CARIPARMA, CRÉDIT AGRICOLE ITALIA. Media partner: Gazzetta di Parma, Kreativehouse. Con la collaborazione di: Angeli Cornici, Bstrò, Cavazzoni Associati, Società per la Mobilità e il Trasporto Pubblico. (gci)
A FERRARA LA SCULTURA TRA LIBERTY E CLASSICISMO DI ARRIGO MINERBI
Scultore prediletto da Gabriele d’Annunzio, “spirito nervoso, agile, moderno” capace di farsi interprete delle tendenze liberty e del classicismo novecentesco, il ferrarese Arrigo Minerbi sarà protagonista della mostra “Arrigo Minerbi: il ‘vero ideale’ tra liberty e classicismo” al Castello Estense di Ferrara, dallo scorso 8 luglio fino 26 dicembre. L’esposizione, curata da Chiara Vorrasi, nasce da un’idea di Vittorio Sgarbi ed è organizzata da Fondazione Ferrara Arte e Servizio Musei d’Arte del Comune di Ferrara, con il patrocinio di Regione Emilia-Romagna e MEIS - Museo nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah e come sponsor il GRUPPO HERA. Il percorso espositivo ripercorre per la prima volta l’intero arco della produzione di Minerbi, ricollocandolo nel contesto artistico italiano del primo Novecento. L’opera dello scultore ferrarese testimonia un temperamento originale ma perfettamente radicato nel dibattito artistico che ha accompagnato il passaggio dal modernismo con declinazioni simboliste di inizio secolo al ritorno alla tradizione maturato dopo la Prima guerra mondiale, fino al classicismo monumentale dominante negli anni Trenta. Questa parabola viene evocata attraverso una ricca selezione di sculture a cui sono accostate opere pittoriche e plastiche di maestri italiani tra simbolismo, realismo magico e classicismo (tra i quali Gaetano Previati, Leonardo Bistolfi, Adolfo Wildt, Galileo Chini, Ercole Drei, Felice Casorati, Ubaldo Oppi, Mario Sironi, Antonio Maraini e Achille Funi). Per evidenziare questa rete di intersezioni, l’esposizione si sviluppa in capitoli tematici che rileggono alcuni temi della stagione artistica di primo Novecento: le arti decorative, il mito dell’eroe, il modello antico, l’arte pubblica, il ritratto tra spontaneità e idealizzazione, il rinnovamento dell’iconografia del sacro. Grazie ai prestiti concessi da importanti musei e collezioni private, la mostra riunisce in Castello Estense circa 80 opere pittoriche e scultoree di formato anche monumentale: la presenza di lavori in gesso, marmo, pietra, bronzo e terracotta, e il confronto tra bozzetti, modelli, opere finite e calchi consente al visitatore di accostarsi al modus operandi dell’autore e al trattamento virtuosistico dei materiali. Arrigo Minerbi (Ferrara, 1881 - Padova, 1960) si formò nella scuola d’arte della sua città e, nel 1902, si iscrisse all’Accademia di Belle Arti di Firenze, coltivando lo studio della ceramica e della decorazione, quindi si stabilì a Genova dove rimase fino allo scoppio della Prima guerra mondiale. L’iniziale orientamento simbolista è frutto di un’intelligente riflessione sulle poetiche del secessionismo e del modernismo, sull’esempio di Leonardo Bistolfi e di Galileo Chini. Con loro condivide un interesse per le arti decorative, declinate secondo gli stilemi floreali e l’elegante linearismo del gusto liberty, che costituiscono il suo primo ambito di produzione. Con il trasferimento a Milano, dopo la Prima guerra mondiale, Minerbi si accosta alla cifra di Adolfo Wildt soprattutto nell’elaborazione di un’iconografia dell’eroismo patriottico. Nei suoi esiti più originali, la ritrattistica e la produzione a tema sacro e allegorico risentono del clima del realismo magico per la ricerca di essenzialità, la fascinazione per i modelli rinascimentali e la capacità di infondere un’aura sovratemporale al dato reale, in sintonia con le ricerche di Casorati e Funi. Artista prediletto di Gabriele d’Annunzio, Minerbi approdò nella maturità a un linguaggio purista del tutto peculiare. Il suo profondo legame con la tradizione italiana e insieme la ricerca di un equilibrio tra naturalismo e idealizzazione iscrivono il suo lavoro nell’alveo del classicismo di matrice novecentista. Gli anni Trenta e Quaranta lo vedono impegnato in commissioni pubbliche e private di prestigio, prevalentemente religiose ma anche laiche, come la Maternità degli Istituti clinici Mangiagalli di Milano (1930) o la porta bronzea del duomo di Milano (1936-48). (gci)
A NAPOLI LE OPERE DI MIMMO PALADINO DEDICATE A PULCINELLA
Un'occasione per ammirare le opere di Mimmo Paladino (Paduli, 1948): il Palazzo Reale di Napoli ospiterà dallo scorso 6 luglio fino al 3 ottobre la mostra dell’artista dal titolo “Paladino. I 104 disegni di Pulcinella”, dedicata alla figura Pulcinella, a cura di Flavio Arensi. Sono esposti nella Galleria del Genovese i 104 disegni realizzati oltre trent’anni fa dall’artista campano, che si ispirò all’album “Divertimento per li regazzi” (1797) di Giandomenico Tiepolo. Un omaggio di Paladino, dunque, al capolavoro del Settecento veneziano composto da 104 carte dedicate in cui si illustrano le avventure, la morte e la resurrezione di Pulcinella. Attraverso i disegni di Mimmo Paladino, recentemente restaurati, Pulcinella, invece, conduce una rischiosa prova di forza con il disegno e la storia dell’arte, che risolve per appropriarsi di entrambi e burlescamente batterli. Al Palazzo Reale di Napoli il ciclo si arricchisce di un nuovo straordinario elemento: ai 104 disegni se ne aggiungerà uno di nuova realizzazione, un disegno celebrativo per la vittoria del terzo scudetto del Napoli, presentato per la prima volta a Palazzo Reale. S'intitola “Scala Reale” l’ultima opera dell’artista campano. La maschera napoletana è protagonista di un nuovo foglio creato per celebrare il terzo scudetto vinto dalla squadra di calcio del Napoli. Fondata nel 1926, la Società Sportiva Calcio Napoli aveva guadagnato i primi due scudetti nel 1987 e nel 1990. I 104 Pulcinella di Paladino furono protagonisti nel 1992 di una mostra, curata insieme al volume ormai raro di Michele Bonuomo, tenutasi al Palazzo Liberty a Torino, quindi all’Albertina di Vienna (1993) e alla Kunsthal di Rotterdam (1994). Nello stesso anno, la Galleria civica di Trento approfondì il tema del disegno con un’ampia retrospettiva che dagli esordi arrivava alle opere più recenti. Nei primi mesi di quest’anno la mostra è stata ospitata al Museo Eremitani di Padova, con la curatela di Flavio Arensi e Stefano Annibaletto. Il catalogo della mostra è curato dalla casa editrice Skira e il progetto di allestimento della mostra è stato curato dell’architetto Lucio Turchetta. “L’idea di un ciclo di disegni ispirati alle 104 opere del Tiepolo mi venne agli inizi degli anni ’90 e cominciai a realizzarli in tutta libertà senza nessuna committenza - racconta Mimmo Paladino - Pulcinella è un personaggio che offre innumerevoli spunti e nasconde molti volti, persino in quest’ultima opera, dedicata allo scudetto del Napoli. Non sono un tifoso, ma sotto la maschera immagino che ci sia il volto di Maradona”. “Un felice ritorno dell’artista Mimmo Paladino a Palazzo Reale, che è stato nostro ospite la scorsa estate in occasione della proiezione del suo film Quijote nel Giardino Romantico - dichiara il direttore di Palazzo Reale, Mario Epifani - Lo stesso luogo in cui è esposta in maniera permanente la sua opera Prova d’orchestra. Siamo lieti che sia proprio il maestro Paladino a inaugurare la prima mostra di arte contemporanea ospitata all’interno della Galleria del Genovese, l’antico collegamento tra il Palazzo Reale e il Teatro di San Carlo, dalla sua apertura nel 2021”. “I 104 disegni di Pulcinella fungono da cerniera fra due decenni decisivi per Paladino - spiega il curatore, Flavio Arensi - ossia la decade degli anni ottanta, con l’affermazione internazionale, e quella degli anni novanta in cui realizza alcuni progetti cruciali”. (gci)
"LAMPO DI GENIO": ALLA SCOPERTA DEGLI SCATTI DI PHILIPPE HALSMAN
Un’esposizione per scoprire Philippe Halsman, tra i più originali ed enigmatici ritrattisti del Novecento: “Philippe Halsman. Lampo di genio” sarà ospitata al Museo di Roma in Trastevere dallo scorso 6 luglio fino al 7 gennaio 2024. La mostra, a cura di Alessandra Mauro, è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali ed è organizzata da Contrasto e Zètema Progetto Cultura, in collaborazione con BNL BNP Paribas e Leica Camera Italia. Il catalogo è edito da Contrasto. In mostra al Museo di Roma in Trastevere 100 immagini di vario formato provenienti dall’Archivio Halsman di New York, spaziando tra il colore e il bianco e nero, che ripercorrono la sua intera carriera e i volti della cultura e dello spettacolo del Novecento. Foto dopo foto, in mostra si entra nell’universo di Halsman, in un gioco visivo tra il fotografo, la personalità da riprendere e lo spettatore. Nella sua carriera ha firmato 101 copertine di LIFE, più di chiunque altro fotografo, ha creato ritratti straordinari per la loro forza e lo scavo psicologico, è riuscito a far saltare di fronte al suo obiettivo teste coronate, scienziati, capi di stato e divi dello schermo e con Salvador Dalì ha inventato immagini come vere performance artistiche. Philippe Halsman è tra i più grandi ritrattisti della storia della fotografia, in grado di lavorare sempre tra sguardo e introspezione, intuizione immediata, lampi di genio e tecnica raffinata. Questa prima retrospettiva italiana ne celebra il lavoro con una serie di immagini straordinarie, realizzate con ironia e profonda leggerezza. Nato a Riga, in Lettonia, nel 1906, Halsman comincia la sua carriera di fotografo a Parigi negli anni Trenta, lavorando per riviste come Vogue e Vu. Negli anni Quaranta, in piena guerra e grazie all’amicizia di Albert Einstein, riesce a ottenere un visto per gli Stati Uniti e, una volta sbarcato a New York, la sua fama di grande ritrattista si consolida ancora di più. Dalle collaborazioni con le grandi testate, agli intensi ritratti per lo show business hollywoodiano, Halsman ha creato un genere e uno stile unico e rivoluzionario. Halsman, infatti, ha inventato un metodo per divertire e sorprendere i suoi soggetti: li fa saltare di fronte all’obiettivo. Nasce così “jumpology”, un gioco con il quale è riuscito a far saltare da Marilyn Monroe ai Duchi di Windsor, inaugurando un modo tutto nuovo di fotografare. (gci)
"LA RICERCA NASCOSTA": A BRESCIA TRA ARTE DI RITA SIRAGUSA E RELIGIONE
Tra arte e religione: dallo scorso 6 luglio fino al 27 agosto, il Museo Diocesano di Brescia ospiterà la personale dell’artista bresciana Rita Siragusa, dal titolo “La ricerca nascosta”. L’esposizione si compone di due parti distinte: una grande installazione nel giardino del chiostro con sculture che vogliono essere un ponte tra l’uomo e Dio, tra passato e presente, capaci di gettare una luce di speranza sull’attualità e una mostra che presenta una serie di sculture allestite nel porticato del secondo piano del museo. In totale, la mostra si compone di 45 sculture realizzate in diversi materiali come bronzo, alluminio, ottone, terracotta e resine, che rileggono le varie stagioni creative di Rita Siragusa. L’installazione, composta da vari elementi, si costruisce partendo dal grande ciliegio al centro del giardino del chiostro, avvolto da sculture bidimensionali che permettono di rileggere l’immagine dell’albero così come la si trova nella letteratura sapienziale della Sacra Scrittura e prosegue sul prato dove s’incontrano lavori in vetroresina come “Palingenesi”, che assumono la forma di apparizioni alate, o come “La triplice lode”, tre sculture bidimensionali caratterizzate da architetture multiple di colori differenti che si fondono insieme. Rita Siragusa nasce a Brescia nel 1973, dove vive e lavora. Si diploma all’Accademia di Belle Arti di Brera. La sua produzione più recente comprende sculture monumentali, opere grafiche, gioielli, oggetti di design e arte sacra. Dal 2012 insegna all’Accademia di Belle Arti di Brescia “SantaGiulia”, curando mostre e performance, installazioni site specific e interventi scultorei in spazi pubblici e istituzionali. Dai primi anni ’90 inizia una serie di esposizioni personali, collettive, premi e acquisizioni presso musei, spazi pubblici e gallerie private. “La ricerca nascosta - afferma Rita Siragusa - vuole essere un progetto d'interpretazione, un processo univoco che si adopera nel rivalutare le proprie memorie, un percorso spirituale intenso, sofferto e attuale, dove il sentimento si evolve nella visione del fare e il conforto crescente della preghiera spesso diventa incessante”. (gci)
NELLA FOTO. Umberto Boccioni, Il romanzo di una cucitrice, 1908, olio su tela. Collezione Barilla di Arte Moderna (dettaglio)
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