La terra ha la febbre. Questa immagine semplice e suggestiva è la più utilizzata per descrivere la condizione del nostro pianeta che viene definita di emergenza climatica, causata dal riscaldamento globale. Come nella febbre, a sudori copiosi e alte temperature seguono brividi e raffreddate improvvise.
Si moltiplicano gli appelli delle istituzioni ad agire immediatamente per dare una risposta a questa malattia. I dati parlano chiaro, ma ancor più esplicitamente parla la nostra esperienza. Eventi estremi e disagio climatico colpiscono tutti noi con conseguenze talvolta drammatiche. Chi vive negli ambienti naturali ha iniziato a percepire questi mutamenti da decenni. Non a caso i primi allarmi sono arrivati da chi frequenta mari e montagne.
Del tutto inutile la discussione in corso tra chi afferma che i cambiamenti climatici ci sono sempre stati e chi imputa alle attività umane i recenti mutamenti. Entrambi le tesi sono vere. Il dato di fatto è che la società industriale e post industriale hanno alzato la temperatura del pianeta e questo fattore influenza il clima (non il meteo che è altra cosa).
Molto più utile capire cosa si può fare subito per abbassare questa febbre. Siamo di fronte ad un’altra immagine molto usata: dotti, medici e sapienti si radunano attorno al capezzale della terra malata e suggeriscono rimedi spesso astrusi, spesso difficili da mettere in atto perché costosi e dalle forte implicazioni sociali.
Siamo pieni di decaloghi e di consigli su come comportarci.
Le cose da fare le sappiamo: ridurre le emissioni, ridurre l’uso dell’energia prodotta in modo inquinante, ampliare gli ambienti naturali e puntare a far crescere il verde nelle nostre città da ripensare e da ricostruire ecologicamente. Tante parole, tanti slogan che, nella realtà si traducono in azioni molto chiare: produrre consapevolmente, limitare l’uso dell’auto e del riscaldamento, spegnere i condizionatori, non abusare di apparati elettronici, ridurre il cemento e ampliare le fasce verdi.
Ecco che arriviamo al nodo gordiano della discussione. Tralasciando il problema delle emissioni industriali (tra l’altro già notevolmente ridotte nel mondo occidentale) che ci porta a scenari geopolitici complessi, siamo di fronte alle nostre responsabilità sociali e individuali.
Per quel che riguarda la responsabilità sociale pensiamo a quale istituzione ha la forza e la capacità di persuasione di dire ai propri cittadini: non usate l’auto, spegnere condizionatori e riscaldamento, utilizzate meno computer, smartphone, elettrodomestici di ogni tipo, usate in maniera responsabile l’acqua, buttate giù le vostre case inquinanti e inospitali per ricostruirle in maniera ecologia? Qualcuno ci prova: il risultato sono tensioni sociali e accuse di perniciosa ideologia ambientalista che danneggia l’economia e fa scendere il Pill condannando l’Occidente alla subalternità economica e politica. Le tensioni sociali sono spesso comprensibili perché il costo di queste azioni ricade soprattutto sulle classi più povere.
E venendo alla responsabilità individuali, chi di noi accetterebbe questi diktat? Eppure alcuni atti individuali possono rappresentare gesti addirittura rivoluzionari. Usare la bicicletta (possibilmente non elettrica), il treno e i mezzi pubblici, spegnere i condizionatori, utilizzare al minimo il riscaldamento, limitare l’uso di dispositivi elettronici e elettrodomestici. Sono gesti alla portata di tutte le persone senza gravi problemi di salute e non troppo avanti con gli anni. Eppure… eppure quasi nessuno rinuncia a quelle che ritiene piccole fette di benessere senza considerare l’enorme benessere personale che otterrebbe compiendo questi piccoli gesti.
Più bici significa più salute e più logos (andare in bici aiuta a esplicitare i pensieri), meno smartphone e tv significa più letture autentiche, più rapporti umani, più vita reale. Case e città ecologiche significano vita migliore. E tutto questo si trasforma in bellezza.
Eppure continuiamo ad usare inutili e brutte auto, spesso suv, molte delle quali a gasolio, stando tutti in fila per ore, per andare a scuola, al lavoro in palestra, al mare in montagna, guardando fissamente e stupidamente lo smartphone cercando penosamente di far credere agli altri di essere belli, acculturati e sani, consumando enormi quantità di droghe e medicinali per trovare mettere un freno all’angoscia che ci attanaglia, pensando con nostalgia e inconsapevolezza al passato. E quando piove diciamo: “Visto? Dov’è ‘sta ‘sto climate change?”
Al mondo c’è il Bello e c’è il Facile. Il Bello costa impegno e presuppone cultura. Il Facile non costa niente e sembra offrirci tutto chiedendo poco in cambio. Ormai ci accontentiamo del Facile egoistico, poi il Bello eterno ci presenterà il conto e dovremmo anche subirci infantili lagne.