di Paolo Pagliaro
Il Nobel per la Medicina agli scopritori del vaccino anti covid ci regala due certezze, una grande e una piccola. La prima è la conferma che il vaccino ha salvato milioni di vite. La seconda è che nulla sarebbe accaduto se i due scienziati avessero lavorato in regime di smart working, ciascuno a casa propria. La loro collaborazione è iniziata infatti conversando mentre erano in fila davanti a una fotocopiatrice.
Il Nobel a Karìko e Weissman è un indennizzo morale per i ricercatori e i medici che nel biennio della pandemia si sono spesi per sostenere le ragioni della scienza di fronte alle obiezioni - spesso ruvide - provenienti dall’arcipelago no vax.
Alcuni di quei medici, concluso il lavoro in corsia, proseguivano il loro impegno negli studi televisivi e sono così diventati volti popolari, apprezzati dal pubblico per la loro competenza e pacatezza. Uno dei più amati, l’infettivologo milanese Massimo Galli, torna oggi a parlare attraverso un libro pubblicato da Raffaello Cortina e dedicato alla più sottovalutata delle malattie. Si tratta di quella “banale influenza” che in realtà è la malattia infettiva che ha fatto più morti nella storia dell’umanità.
I virus influenzali hanno una straordinaria capacità di mutare, ricombinarsi, trasformarsi, sorprenderci con la loro imprevedibilità. Galli mette in fila i dati sui tassi di mortalità in eccesso causata dall’influenza tra le persone più fragili e ricorda che secondo tutte le agenzie sanitarie internazionali, la vaccinazione rimane l’intervento più efficace per mitigare e prevenire l’influenza stagionale. Ma il numero di chi si vaccina sta invece diminuendo. Forse perché lo Zeitgeist suggerisce che la cautela sia di sinistra e l’ottimismo di destra, ma il professore assicura che questa visione è “demenziale”.