I destini politici incrociati di Giorgia Meloni e Matteo Salvini sono la mina sulla quale potrebbe inciampare il governo a dispetto di una navigazione che i due si ostinano a descrivere priva di ostacoli e comunque non disturbata da una sinistra impegnata nella perenne ricerca di una linea politica di comune sentire. A confermarlo sono le loro reiterate affermazioni sulla durata quinquennale di un esecutivo che nel suo primo anno di vita ha messo assieme poco di buono e tanti incidenti di percorso provocati spesso dal titolare del Viminale che fatica a indossare i panni di ministro preferendo a questi la camicia dell’agitatore populista padano.
A nessuno infatti sfugge che mentre la Meloni si sforza di dare al suo operato quotidiano la dignità istituzionale del ruolo, seppure sovente ostacolata dai rimandi al suo passato di rumorosa agitatrice di piazza, Salvini sembra procedere compiaciuto verso una direzione opposta con le sue uscite da arruffapopolo impudentemente divertito della sua missione di guastatore. Nè ci vuol molto a capire che questo balletto sarà destinato a proseguire man mano che si andrà verso il prossimo appuntamento delle elezioni regionali del 2024 e ancor più verso le politiche.
Così come non è per nulla difficile avvistare in questa contrapposizione il fatto che entrambi i contendenti hanno come obiettivo un elettorato che sembra posizionato a destra ma non per convinta scelta ideologica. In questa non entusiasmante contesa, che ogni giorno si arricchisce di sempre nuove e imprevedibili varianti, i due si muovono sul terreno oggi popolato da una destra composita in cui si trovano tracce del loro più o meno lontano passato. Ma se la prima donna italiana alla guida di Palazzo Chigi prova a stare nel perimetro istituzionale del ruolo, il ministro dell’Interno ha l’aria di chi preferisce indugiare nelle care vecchie giostre di partito.
Una situazione questa nella quale, pur senza essere determinante, ha il suo peso anche il carattere personale, il grado di istruzione, l’appartenenza geografica. Con la differenza che nei momenti in cui la Meloni scivola verso la Garbatella o Prima Porta il suo elettorato si identifica meglio con lei, mentre quelli in cui Salvini la scavalca andando a braccetto con Marina Le Pen infastidiscono e imbarazzano alcuni leghisti in particolare quelli che non gli perdonano di aver dissipato un patrimonio di consensi sulla strada di un meridionalismo insensato e privo di credibilità.
In ogni caso appare sempre più chiaro che tra i due c’è una diversità che produce cortocircuiti non solo di comportamento e di linguaggio ma anche di sostanza come quando lui vagheggia -o vaneggia- parlando di cantieri aperti per il Ponte sullo Stretto senza preoccuparsi di spiegare dove si trovano i soldi per finanziare l’opera: uno straparlare che ancor prima che alla Meloni sembra un dispetto al compagno di partito Giancarlo Giorgetti ministro dell’Economia e delle Finanze. E contribuisce, assieme ad altre scorribande, a creare quella situazione per rimediare alla quale potrebbe non essere più sufficiente ripetere che questo governo durerà cinque anni.