Agenzia Giornalistica
direttore Paolo Pagliaro

L'arte "primitiva" di Picasso al MUDEC di Milano

Mostre
Le grandi mostre in programma in Italia e quelle che hanno l'Italia, attraverso i suoi grandi artisti, come protagonista nel mondo. Lo "Speciale mostre" è un viaggio tra capolavori, opere d'avanguardia e sperimentali, pittura e scultura, memoria e identità, storia e filosofia, un tributo all'arte e ai suoi protagonisti e un modo per scoprire quanto di buono fanno le istituzioni nazionali e locali per il nostro patrimonio culturale e di creatività.

L'arte

Pablo Picasso mostrò sempre un profondo rispetto per le manifestazioni artistiche di altre culture e di altri tempi e, più di ogni artista della sua generazione, seppe comprenderle e reinventarle. Il MUDEC di Milano propone al pubblico di leggere la ricchissima produzione di Picasso - dalle opere giovanili fino alle più tarde - alla luce del suo amore per le fonti artistiche "primigenie", per l’arte "primitiva". E lo fa con il progetto espositivo dal titolo “Picasso. La metamorfosi della figura”, curata da Malén Gual, conservatrice onoraria del Museo Picasso di Barcellona, insieme a Ricardo Ostalé, che aprirà al pubblico dal 22 febbraio fino al 30 giugno. In mostra oltre quaranta opere del maestro spagnolo, tra dipinti e sculture, insieme a 26 disegni e bozzetti di studi preparatori del preziosissimo Quaderno n. 7 concesso per la mostra dalla Fondazione Pablo Ruiz Picasso - Museo Casa Natal di Malaga. La mostra è prodotta da 24 ORE Cultura - Gruppo 24 ORE e promossa dal Comune di Milano-Cultura, con Fondazione Deloitte come Institutional Partner della mostra e che vede il patrocinio dell’Ambasciata di Spagna in Italia. L'obiettivo è far conoscere al pubblico come Picasso abbia colto l’essenza e il significato di altre fonti artistiche e le abbia assimilate nella sua produzione per tutta la vita, dal 1906 - anno fondamentale per la sua produzione - fino agli ultimi lavori degli anni Sessanta. Col ritorno al “primitivismo”, intorno al 1925, l’artista trae gli strumenti del linguaggio plastico da esempi africani, ma anche da esempi neolitici e proto-iberici (della Spagna preromana), arte oceanica, antica arte egizia e Grecia classica (vasi a figure nere). Fondamentale per questa mostra è l’accompagnamento di tutti i principali musei spagnoli che possiedono le più importanti collezioni di Picasso: in primis la Casa Natal di Malaga, ma anche il Museo Picasso di Barcellona e il Museo Reina Sofia di Madrid, oltre a numerosi collezionisti privati. Il progetto sarà l’occasione per rivedere ospitata al MUDEC, dopo anni, la "Femme nue" del Museo del Novecento di Milano, meraviglioso dipinto che fu un fondamentale preludio al capolavoro "Les Demoiselles d’Avignon", in dialogo con magnifici dipinti di maschere. Insieme all’apporto dell’Administration Picasso - presieduta dalla figlia Paloma Ruiz-Picasso - e degli eredi, la mostra chiude dunque idealmente un lungo 2023 di celebrazioni del 50° anniversario della morte del pittore. (gci)

A VENEZIA DUE ESPOSIZIONI IN OCCASIONE DELLA GIORNATA DELLA MEMORIA

La Comunità Ebraica di Venezia, in occasione della Giornata della Memoria, ha organizzato due esposizioni con l’intento di raccontare a un pubblico di tutte le età ciò che avvenne a Venezia tra il 1943 e il 1945. Nella prima, attraverso i giocattoli e i racconti dei bambini tramandati fino ai giorni nostri, i visitatori potranno avvicinarsi alle esperienze vissute da chi in quegli anni stava vivendo la propria infanzia o l’adolescenza. Nella seconda, saranno visibili documenti originali inediti, provenienti dagli Archivi della Comunità ebraica di Venezia, con foto e testimonianze di profughi ebrei stranieri accolti a Venezia subito dopo la Liberazione. Il Veneto infatti, si è distinto, come primo rifugio per tanti ebrei sopravvissuti ai campi di sterminio. Entrambe le esposizioni sono state ufficialmente aperte al pubblico lo scorso 28 gennaio nel sestiere di Cannaregio. “Giochi e giocattoli, compagni di Viaggio, 1943-1945” accoglierà i visitatori nell’Aula Didattica in Calle del Forno, mentre “Venezia 1945 - Città Rifugio” negli spazi di Ikona Gallery in Campo di Ghetto Novo. Le due esposizioni saranno visitabili su prenotazione fino al 30 marzo. I giocattoli hanno spesso rappresentato l’unico legame con la casa da cui i bambini sono stati strappati per viaggi di salvezza o di sterminio. Le esperienze vissute da alcuni bambini tra il 1943 e il 1945 vengono narrate dalla voce dei giocattoli: bambole, una trottola, una barca, un triciclo e un piattino scaldavivande racconteranno le storie dei loro proprietari. Documenti e storie di profughi ebrei stranieri, provenienti dai campi di sterminio e accolti a Venezia, invece, testimonieranno l’importanza di Venezia come città di accoglienza. Il Veneto è stato, infatti, un luogo di transito, dove molti sopravvissuti alla Shoah hanno trovato alloggio. Numerose furono le organizzazioni, non solo ebraiche, che hanno contribuito a creare una rete di solidarietà per i profughi, mettendo a disposizione case, alberghi, abiti e pasti gratuiti. Entrambe le esposizioni sono state ideate e curate dalla Comunità Ebraica di Venezia e dal Museo Ebraico di Venezia, in collaborazione con Opera Laboratori. (gci)

"ABITARE LA DISTANZA": A ROMA LE OPERE DI GIANCARLA FRARE

Un'occasione per scoprire l'arte di Giancarla Frare. Al Casino dei Principi di Villa Torlonia, a Roma, dallo scorso 25 gennaio fino al 5 maggio ci sarà la mostra antologica "Giancarla Frare. Abitare la distanza" che ripercorre, attraverso una selezione di 50 opere pittoriche su carta e due video, la quarantennale carriera di Giancarla Frare, pittrice, disegnatrice e grafica magistrale, fotografa, video maker e poetessa, figura tra le più significative della generazione di artisti attiva in Italia tra gli anni ’70 del ‘900 e il primo ventennio del 2000. L’esposizione, curata da Antonella Renzitti, è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali. Supporto organizzativo e servizi museali di Zètema Progetto Cultura. Le opere in esposizione rendono conto di come Frare nella sua ricerca artistica proceda per cicli pittorici, complessi progetti concepiti come filoni attorno al tema della memoria. Lo sviluppo della carriera dell’artista viene raccontato dalla curatrice applicando un espediente narrativo che accompagna il visitatore dalla fine verso l’inizio, dai lavori più recenti (molti del tutto inediti) ai celebrati cicli giovanili, in un percorso cronologico a ritroso nel tempo che svela progressivamente il senso delle opere. La capacità di esprimersi ai massimi livelli nei vari linguaggi dell’arte è una delle più vistose peculiarità di Frare, la cui versatilità ha saputo trarre il massimo profitto dall’insegnamento di maestri che hanno impresso tracce indelebili sul suo fare artistico. Allieva negli anni ‘70 dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, Frare ha infatti studiato con i protagonisti dell'effervescente temperie culturale degli anni ’70. Il suo primo grande successo arriva, nella seconda metà degli anni ’70, con "Le Condizioni del volo", un ciclo di trentacinque grandi disegni a china - i tre presenti in mostra provengono dalle collezioni dell’Istituto Centrale per la Grafica che ha acquisito la serie quasi per intero - ispirati alla poesia di George Trakl, disperato cantore della dissoluzione della stagione della "felix Austria". Negli anni ’80, trasferitasi a Roma, lo spunto culturale che alimenta la sua ispirazione diventa quello del reperto archeologico. Il senso della ricerca di Frare sulla memoria si esplicita in "Stati di permanenza, Gina": un'opera videografica nella quale Gina, la protagonista, è una centenaria analfabeta che, pur avendo perso il ricordo della sua storia individuale, recita alla perfezione i versi della "Divina Commedia" imparati in gioventù, divenendo lei stessa traccia archeologica, simbolo vivente della potenza della memoria culturale. (gci)

A ORANI (NU) PROROGATA L'ESPOSIZIONE SU BONA DE MANDIARGUES

Il Museo Nivola di Orani (NU) ha annunciato la proroga della mostra “Bona de Mandiargues. Rifare il mondo” fino al 3 marzo. Il progetto espositivo, a cura di Giuliana Altea, Antonella Camarda, Luca Cheri e Caterina Ghisu, promosso dalla Fondazione di Sardegna attraverso il programma AR/S Arte condivisa, ricostruisce per la prima volta, basandosi su estese ricerche d’archivio, l’itinerario dell’artista attraverso 71 opere realizzate tra il 1950 e il 1997, provenienti dalla collezione degli eredi e da numerose raccolte pubbliche e private. Il percorso espositivo prende l’avvio da un gruppo di preziosi dipinti che segnano l’avvicinamento di Bona de Mandiargues all’immaginario surrealista, e prosegue con una selezione di paesaggi infuocati del 1955-56, influenzati da un viaggio che l’artista fece in Egitto. Si continua con le opere astratte e materiche della seconda metà degli anni Cinquanta, fino ai primi Sessanta, quando l’artista incontra la cultura messicana e aggiunge nuovi elementi al suo immaginario. Mentre il ricordo della pittura metafisica riemerge e connota le opere degli anni Settanta, con omaggi a De Chirico, Savinio e Magritte. Nel decennio successivo, in linea con le tendenze del periodo, si registra un ritorno ancora più marcato alla pittura. La maturità piena dell’artista vede un ulteriore sviluppo dei filoni di ricerca già avviati, mentre s'intensifica la presenza dell’immagine simbolo della lumaca e quella del tema del ritratto e dell’autoritratto. Quest’ultimo, centrale nella sua ricerca, reca, tra le opere in mostra, diversi importanti esempi: dal piccolo e aggraziato autoritratto giovanile a quello flamboyant del 1968, al volto ieratico e stilizzato di "Bona à Mexico" del 1991, fino a quello del 1994 che mostra il volto di Bona moltiplicato e scomposto in dettagli, specchio della continua tensione, nell’opera dell’artista, tra la frammentazione del soggetto e la sua affermazione. “Siamo orgogliosi - afferma il direttore Luca Cheri - che la riscoperta di Bona de Mandiargues parta dal Museo Nivola. Il successo dell’esposizione dimostra quanto l’opera di Bona sia ancora oggi capace di sorprendere e affascinare. La mostra è un vero e proprio viaggio inaspettato in un universo creativo che lascia le visitatrici e i visitatori meravigliati per la sua originalità e la sua potenza”. (gci)

"CULTURA DI POLVERE": A VENEZIA GLI SCATTI DI JOAN FONTCUBERTA

"Joan Fontcuberta. Cultura di polvere" è la mostra che inaugura la stagione espositiva al Museo Fortuny di Venezia, ospitando dallo scorso 24 gennaio fino al 10 marzo le dodici light box realizzate da Joan Fontcuberta: esito del dialogo dell'artista catalano con le straordinarie collezioni storiche dell’ICCD di Roma, Istituto nato a fine Ottocento come Gabinetto Fotografico per documentare il patrimonio culturale con fini di tutela e catalogazione. Una mostra che rievoca, soprattutto, il profondo legame di questo luogo con la fotografia, dalle sperimentazioni di Mariano Fortuny y Madrazo al suo ricchissimo archivio qui custodito, poi centro d’avanguardia della fotografia negli anni Settanta e Ottanta. Tra le manifestazioni più importanti legate al Museo Fortuny non si può non ricordare "Venezia '79. La Fotografia", nata dalla collaborazione tra International Center of Photography di New York, UNESCO e comune di Venezia. Un evento mediatico senza eguali, unico in Europa per genere e dimensioni, con venticinque mostre in città, seminari, conferenze, laboratori e workshop, che aveva come centro dell’attività formativa Palazzo Fortuny. A questo appuntamento epocale prende parte anche Joan Fontcuberta che, appena ventiquattrenne, è tra i protagonisti della mostra "Fotografia europea contemporanea" ai Magazzini del Sale, curata da Sue Davis, Jean-Claude Lemagny, Alan Porter e Daniela Palazzoli. L’esposizione al Museo Fortuny riporta così l’eco di un sentimento che si aggiunge al lavoro dell’artista come uno strato di storia e di memoria. L'esposizione è nata nell’ambito del programma ICCD Artisti in residenza a cura di Francesca Fabiani, in cui Fontcuberta ha scelto di operare su alcune lastre fotografiche deteriorate provenienti dal Fondo Chigi, punto di partenza per una serie di sperimentazioni visive e linguistiche. Il principe Francesco Chigi Albani della Rovere (1881-1953), naturalista e fotografo amatoriale, nel corso delle sue sperimentazioni approda spesso a soluzioni sorprendenti che ben dialogano con l’intelligenza provocatoria e ironica di Fontcuberta. Un incontro di personalità che dalla polvere d’archivio - evocata dal titolo che rimanda alla celebre opera di Marcel Duchamp e Man Ray del 1920 Élevage de poussière - ha prodotto nuove opere in una prospettiva contemporanea. Attraverso un procedimento di tipo surrealista che consiste nel prelievo/appropriazione di elementi già dati - in questo caso un frammento della lastra - Fontcuberta ha compiuto il suo atto creativo, restituendo immagini quasi astratte eppure reali, ovvero paesaggi poco plausibili, assolutamente non manipolati, che appaiono nel display delle light box. I materiali su cui ha lavorato l’artista, se da un lato perdono memoria, dall’altro acquisiscono nuova fisionomia attraverso i tanti segni che il passare del tempo vi ha lasciato: graffi, lacune e, talvolta, batteri e funghi proliferati grazie all’ambiente chimicamente accogliente dell’emulsione di gelatina ai sali d’argento. Nuovi paesaggi che si sommano al soggetto originario della fotografia, visibile in controluce. La mostra è promossa dall’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione di Roma in collaborazione con Fondazione Musei Civici di Venezia. Il progetto è vincitore del PAC2021 - Piano per l’Arte Contemporanea promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura. Le opere in mostra sono entrate a far parte delle collezioni di fotografia contemporanea dell’ICCD e sono presentate nell’omonimo libro d’artista "Joan Fontcuberta. Cultura di polvere", edito da Danilo Montanari Editore con testi di Francesca Fabiani, David Campany e Joan Fontcuberta e con la grafica di TomoTomo. (gci)

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