Un ultimatum ad Hamas. Questo, in estrema sintesi, il contenuto delle dichiarazioni fatte ieri dall’ex capo di stato maggiore delle forze di difesa israeliane Benny Gantz, che è anche un membro del gabinetto di guerra dello Stato ebraico, secondo il quale Israele lancerà l'offensiva a lungo minacciata contro Rafah il mese prossimo se l’organizzazione palestinese non avrà liberato i rimanenti ostaggi tenuti a Gaza entro l'inizio del Ramadan. “Il mondo deve sapere, e i leader di Hamas devono sapere, che se entro il Ramadan i nostri ostaggi non saranno a casa, i combattimenti continueranno ovunque, compreso nell'area di Rafah”, ha detto Gantz durante una conferenza di leader ebrei americani. Al momento, il governo di Tel Aviv non ha di fatto specificato una scadenza per il previsto assalto al quadrante meridionale dell’enclave, dove hanno cercato rifugio la maggior parte degli 1,7 milioni di palestinesi sfollati, peraltro su indicazione delle stesse truppe con la Stella di David. Il Ramadan, il mese sacro per i musulmani, inizierà il 10 marzo. Sempre secondo Gantz, l'offensiva verrebbe condotta in maniera coordinata e in costante contatto con americani ed egiziani per facilitare l'evacuazione e “minimizzare il più possibile le vittime civili”. Va ricordato che dal 7 ottobre nella Striscia sono morte più di 29mila persone, in gran parte donne e bambini.
È però pressoché certo che un intervento militare su vasta scala a Rafah sia destinato a provocare una strage di civili, e per evitare una simile catastrofe si stanno moltiplicando gli appelli della diplomazia internazionale anche se, di fatto, ci sono poche possibilità che il governo del primo ministro Benjamin Netanyahu ascolti tali moniti. Ne è convinto tra gli altri Avi Melamed, ex funzionario dell’intelligence israeliana e negoziatore nella prima e nella seconda intifada palestinese, per il quale “Rafah è l'ultimo bastione sotto il controllo di Hamas e a Rafah rimangono battaglioni che Israele deve smantellare per raggiungere i suoi obiettivi in questa guerra”.
Intanto questa mattina il capo della diplomazia europea, Josep Borrell, arrivando al vertice dei ministri degli Esteri a Bruxelles, ha dichiarato che “tutti hanno paura” di una possibile escalation delle azioni militari a Rafah. Borrell ha inoltre criticato l’Ungheria per non aver firmato, venerdì, un comunicato nel quale si invitava il primo ministro israeliano di non andare avanti nell’annunciata offensiva. “Abbiamo ancora a che fare con la medesima brutta notizia – ha detto Borrell – 1,7 milioni di persone vengono spinte contro il confine egiziano. L'operazione militare non è scattata, ma tutti temono che possa succedere nei prossimi giorni. L'unica soluzione è la liberazione degli ostaggi e un cessate il fuoco permanente che permetta di cercare una soluzione politica”.
Da parte sua, il ministro degli Esteri belga Hadja Lahbib ha dichiarato che al vertice odierno farà pressione sui suoi omologhi affinché sostengano un cessate il fuoco.
Proprio oggi, intanto, la Corte internazionale di giustizia ha avviato una settimana di udienze sulle conseguenze legali dell'occupazione israeliana dei territori palestinesi, con più di 50 stati che prenderanno la parola davanti ai giudici. Tra i paesi che parteciperanno alle udienze ci sono gli Stati Uniti, il più forte sostenitore di Israele, Cina, Russia, Sud Africa ed Egitto. Israele non lo farà, nonostante abbia inviato osservazioni scritte. Ad aprire la prima udienza è stato il ministro degli Esteri palestinese Riyad al-Maliki il quale ha affermato che il suo intervento avviene mentre “2,3 milioni di palestinesi a Gaza, metà dei quali bambini, sono assediati e bombardati, uccisi e mutilati, affamati e sfollati”. Per al-Maliki a Gaza “è in corso un genocidio”. “Permettere che ciò continui è inaccettabile. Porre fine a tutto ciò in tempi brevi è un obbligo morale e legale”, ha detto. Per il ministro ci sono “più di 3,5 milioni di palestinesi soggetti alla colonizzazione del loro territorio e alla violenza razzista che la rende possibile” nella Cisgiordania occupata da Israele, inclusa Gerusalemme Est. Per Al-Maliki “1,7 milioni di palestinesi in Israele sono trattati come di seconda classe cittadini nella loro terra ancestrale”. (19 feb - deg)
(© 9Colonne - citare la fonte)