Agenzia Giornalistica
direttore Paolo Pagliaro

La cura della salute
nella ricerca Svimez

di Giuseppe Bianchi

Va a merito della Svimez aver acceso un faro (con il record di durata di 24h) su un tema che è al centro delle preoccupazioni delle famiglie italiane: la sanità pubblica.Ciò è avvenuto nel corso della presentazione di una ricerca, presentata presso il Centro “Save the Children, che fornisce i dati relativi alle prestazioni sanitarie offerte dal sistema pubblico. Nel confronto europeo, la nostra spesa sanitaria pubblica impegna il 6,6% del Pil a fronte dell’11,4 della Gran Bretagna, il 9,4 della Germania, l’8,9 della Francia, in presenza, peraltro, di una diminuzione nel nostro Paese della spesa pro capite del 2% nel periodo 2010-2019.  La ripresa successiva, dopo il Covid, non è stata tale da recuperare il terreno perduto. Una condizione aggravata da criteri di redistribuzione territoriale delle risorse del fondo Sanitario che hanno allargato il divario tra Nord e Sud nell’accesso alle prestazioni sanitarie.

Rinviando alla documentazione Svimez un’analisi più esauriente, ciò che va sottolineato è che la condizione di sfavore del cittadino italiano nel campo sanitario è parte di un più generale impoverimento dello stato sociale, dovuto da un lato a fattori economici e demografici e dall’altro a un privilegio accordato agli interessi più forti e rappresentati di cui i pensionati sono la componente più significativa.
Va ricordato che il nostro sistema di welfare si è andato configurando settant’anni fa in un contesto stabile di crescita del reddito e della produttività. Ora è chiamato a fronteggiare una accelerazione della domanda sociale nel corso di un processo di transizione ambientale, energetica e tecnologica che mette a dura prova la sua sostenibilità economica e la sua capacità di inclusione sociale, in presenza di vincoli stringenti di rientro dal debito pubblico.

La sanità è il campo nel quale il disagio sociale è più diffuso, come è dimostrato da un ampio ricorso dei cittadini alle prestazioni del settore privato. Avviene solo in Italia che la sanità privata impegni risorse pari al 24% di quella pubblica, più del doppio di quanto avviene in Francia e Germania.

La necessità di riformare il nostro sistema di welfare nella sua capacità di contenere l’aumento delle diseguaglianze è largamente percepita dall’opinione pubblica, anche se manca da tempo una “governance” politica all’altezza di tale compito. Così come acquisita è la centralità dello Stato e della spesa pubblica in tale disegno riformatore.
C’è però il problema, particolarmente rilevante nel campo sanitario, che riguarda i costi crescenti delle nuove terapie, sempre più dipendenti da sofisticate e costose tecnologie innovative. L’interrogativo che si pone riguarda quindi la capacità ausiliaria della società civile nel fornire una rete di protezione sociale integrativa rispetto a quella dello Stato. Già oggi, imprese e sindacati hanno dato vita a “fondi settoriali cogestiti” e a pratiche diffuse di welfare aziendale che offrono prestazioni, soprattutto in ambito sanitario. Esperienze ancora limitate da vincoli di redditività delle imprese e che si concentrano sulle categorie di lavoratori che già godono dei trattamenti salariali migliori. L’obiettivo è quello di creare le condizioni normative e fiscali che favoriscano una più ampia diffusione di tali pratiche, rafforzando un salario “sociale” che integri quello contrattuale, evitando che su quest’ultimo si scarichino oneri impropri dovuti a carenze di offerta del welfare di Stato.
Ma c’è anche dell’altro. La finanziarizzazione dell’economia, se non altro, ha favorito la nascita di una finanza sociale i cui strumenti (bond sociali, venture capital sociale) hanno implementato una imprenditorialità sociale (il non profit del terzo settore) in alcuni settori (prestazioni dentistiche, analisi cliniche ma anche sport, cultura ed altro) dove è più carente l’offerta pubblica dello Stato. L’obiettivo è di creare un mercato di servizi sociali “low cost” che sostengano tali consumi, come avvenuto nel campo dei consumi privati, con i discount, i prodotti cinesi, le tariffe aeree agevolate, che hanno sostenuto i redditi familiari delle classi più disagiate, più di quanto realizzato dagli interventi dei Governi o dai periodici rinnovi dei contratti collettivi. Allargare l’offerta di tale mercato sociale “low cost”, può favorirne l’accesso a quella vasta “area di mezzo” di cittadini non abbastanza ricchi da accedere alle prestazioni delle strutture private né tanto poveri da autoescludersi da una offerta a costi ridotti. Una prospettiva promettente soprattutto nel campo sanitario per ridurre l’anomalia di una spesa privata che, come già detto, non ha riscontri negli altri paesi europei.
Si dirà che è soprattutto il Nord ad avere le disponibilità economiche e le strutture organizzative per rafforzare un tale sistema di prestazioni sociali integrative, con ciò ampliando le diseguaglianze interregionali, soprattutto nella prospettiva di una autonomia regionale differenziata alla quale, giustamente, la Svimez si oppone, con l’evidenza dei dati. Ma c’è anche l’alternativa solidale di recuperare, a vantaggio del Mezzogiorno, quella maggiore disponibilità di spesa pubblica, resa disponibile dal rafforzamento del welfare integrativo al Nord per ridurre il divario territoriale nell’accesso alla tutela della salute. Rafforzare i due sistemi di welfare può favorire il progetto in atto di rinnovamento del Paese (il PNRR) difficilmente realizzabile, in un regime democratico, se non sostenuto da una forte coesione sociale.

(da isril.it)

(© 9Colonne - citare la fonte)