C’è un simbolo di stato socioeconomico che non ha rivali, anche se un certo declino generale lo sta appannando: l’automobile. E c’è uno stemma che ha reso l’Italia famosa nel mondo: il cavallino rampante. Enzo Ferrari, l’uomo che ha creato l’auto rossa più desiderata, la vettura di corsa e lusso che ogni uomo vorrebbe nel suo garage, che ancora adesso, se senti quel rombo basso e tremante a un semaforo, ti giri ammirato a leccarne le linee con gli occhi, a contemplarne il motore – alcuni cultori fanno così, fanno in modo che sia visibile – in bella mostra, dietro a un vetro, come si fa con le opere d’arte. Ecco, il marchio Ferrari, non è solo l’auto sportiva, non è solo la Formula Uno, non solo Nuvolari, Ascari, Schumacher, Alboreto, Lauda, Prost, Massa o Alonso. Non è nemmeno più esclusivamente uno status symbol, il veicolo d’esibizione per una ristretta benestante cerchia di fortunati conducenti. La Ferrari è un’opera d’arte. Un’opera d’arte con le ruote. Punto d’arrivo tecnologico ingegneristico, combinato con quanto di meglio si possa immaginare in termini di vestito (la carrozzeria, i pellami per gli interni), del Made in Italy. Nato a Modena, città che ha preso odore di velocità tanta è stata l’eco della fama d’aver dato i natali a Ferrari, Enzo è stato pilota, ingegnere e imprenditore. Un tizio che ci ricordiamo con gli occhiali neri (“Porto le lenti scure, non voglio dare agli altri la sensazione di come sono fatto dentro”), un uomo che rilasciava poche interviste, ma che produceva frasi indelebili, come quella secondo cui ogni pilota diventato padre perdeva mezzo secondo a giro. Una mistificazione della vittoria, la sua, che gli faceva dire: “Il secondo è il primo dei perdenti”. Ma era capace di rifiutare sponsor notevoli, per esempio Malboro, perché: “Le mie auto non fumano”. Non fumano, ma sono dive. Per esempio del cinema o della tv. Ti puoi immaginare Magnum PI senza una 308 GTS? Come immaginare Tom Selleck senza i baffi. Miami Vice sfoggiò una Testarossa bianca. Steve McQueen nel 1963 aveva la 250 GT Lusso (battuta all’asta da Christie’s nel 2007 per 2,3 milioni di dollari). Si batte all’asta un quadro, si batte all’asta una Ferrari. La leggenda narra che dietro le lenti scure, oltre che un genio, ci fosse un uomo che non s’esauriva nell’orizzonte del matrimonio, e così rispondeva alla moglie, quando provava a lamentare le sue scappatelle: “No amore io non ti tradisco con le altre, sono io che tradisco le altre per stare con te”. Chi sceglie Ferrari, tradisce le auto per entrare nel mito. Un mito che resiste nel tempo e che ripone in sé il germe del futuro: “Spesso mi chiedono quale sia stata la vittoria più importante di un’autovettura della mia fabbrica e io rispondo sempre così: la vittoria più importante sarà la prossima”.
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