Mario Monti c'è sempre stato, come un monumento in una strada di una città storica: stava sempre lì, ma non te ne accorgevi. Poi un giorno la bacchetta magica del Presidente ha cambiato il senso di marcia della via e Mario Monti s'è seduto a palazzo Chigi. C'era quando cadeva il muro di Berlino (e c'era quando tra Berlino e noi se ne sollevava un altro), quando tirarono le monetine dello sdegno a Craxi, quando qualcuno divinizzava l'acqua del Po, intestandosi un fiume, e quando qualcun altro scendeva in campo. Ecco, c'era specialmente quando qualcuno scendeva in campo: il Corriere della Sera, all'indomani della vittoria agli europei per due a uno contro la squadra simulacro della crisi - la Germania - ripubblica una paginata ricca e strana, risalente al millenovecentottantadue. Per la precisione era il 13 luglio ed era successa un'altra cosa in cui lui c'era: avevamo vinto i mondiali di Spagna. La pagina è ricca e strana e a capirlo basta l'elenco delle firme che la compongono: Mario Soldati, Giorgio Manganelli, Giovanni Testori, Goffredo Parise, Paolo Volponi, Vittorio Sereni... non è la pagina dei necrologi, è solo la piaga del tempo che ha via via depennato questo indice eccellente di nomi. Ma tra loro ce n'era un altro: Mario Monti. Mario Monti, lo stesso Presidente del Consiglio che aveva espresso la personale posizione, in seguito agli ultimi scandali delle scommesse nel calcio, di sospenderlo per un paio d'anni. Nell'ottantadue le cose andavano diversamente, l'europeo del pallone che mai come oggi mostra un simpatico parallelismo con le sorti dell'Europa riunita in perenne vertice, era il mundial della nuova capatina italiana in consesso internazionale. Monti scriveva: «...da economista quale sono vedo in tutto ciò tre caratteristiche che si ritrovano anche quando l'Italia “gioca” l'economia invece del calcio: il passaggio dall'autoflagellazione all'entusiasmo spinto; la difficoltà di identificazione rispetto all'estero (“siamo proprio gli ultimi; ma no, in fondo siamo i più brillanti”) e infine il saper agire risolutamente solo in condizioni di emergenza (il rischio era di essere accolti a pomodori al ritorno in Italia oppure una crisi della lira). Abbiamo battuto i brasiliani per fantasia, i tedeschi per gioco di squadra. Sarà un caso; ma il nostro punto debole è stato il...rigore. Come in economia». A parte l'uso impeccabile ed insistito del punto e virgola (rarità assoluta nelle pagine di giornale), queste parole sono profetiche e lasciano al tempo stesso nello sconforto e nell'ilarità della scoperta del sempre uguale. Monti c'era allora, c'è oggi ancor di più e visto che è il mister dell'Italia tutta, ci tolga la frusta dell'autoflagellazione; abbiamo bisogno di entusiasmo spinto. Gli faremmo davvero un monumento a quel punto.
Valerio de Filippis
(© 9Colonne - citare la fonte)