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Anziani, la riforma
che non c’è

Anziani, la riforma <br> che non c’è

di Paolo Pagliaro

 

Dice Jennifer Nedelsky, sociologa, che il mondo avrà fatto un passo avanti se incontrando  una persona, prima di chiederle che lavoro fa le chiederemo di chi si prende cura. 

Domanda pertinente in un paese a rapido invecchiamento come il nostro, dove gli anziani non autosufficienti , non più in grado di lavarsi da soli o con un deficit cognitivo, sono più di 3 milioni. Con i  familiari e i professionsti che li assistono, si arriva a 10 milioni di persone.  La politica le ha sempre trascurate fino a che, tre anni fa, presentando il Pnrr, Mario Draghi annunciò un’importante riforma per gli anziani non autosufficienti. Doveva essere la prima legge quadro dell’assistenza agli anziani nella storia d’Italia, al pari di quelle introdotte in Germania nel 1995, in Francia nel 2002, in Spagna nel 2006. Tre mesi fa il nuovo governo annunciò di aver mantenuto l’impegno approvando un decreto di cui Giorgia Meloni si disse orgogliosa.

Quel decreto è in effetti un testo ampio e articolato, ricco di nobili dichiarazioni di principio,  che però ha il difetto di lasciare le cose come sono. Questo almeno è ciò che pensano le 60 associazioni che rappresentano o si occupano di anziani. Secondo il loro coordinatore, Cristiano Gori,  sono state tradite le attese di una riforma dei servizi domiciliari, di quelli territoriali e dell’indennità di accompagnamento. Anche le Regioni hanno fatto mancare il loro appoggio alla riforma perché non sanno cosa accadrà dopo il 2026, quando  le risorse legate al Pnrr saranno finite. E quando un italiano su 12 sarà anziano e non autosufficiente, come da tabelle inviate a Bruxelles.   

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