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direttore Paolo Pagliaro

GLI IMMORTALI, SET
ONIRICO NEL ‘FORLANINI’

GLI IMMORTALI, SET <br> ONIRICO NEL ‘FORLANINI’

Grottesco, onirico, conturbante, allucinatorio, stregante. Sono molti gli aggettivi con cui definire il film “Gli Immortali”, ora nelle sale cinematografiche, che conferma Anne Riitta Ciccone come uno tra gli autori più visionari e certamente coraggiosi del cinema indipendente italiano. La sua opera più sofferta - nata da una sceneggiatura che è evoluta lungo un ventennio per metabolizzare lo squarcio da lei sofferto con la malattia del padre - arriva qui ad una catarsi sorprendente tra le decadenti e maestose architetture dell’ospedale Forlanini di Roma (abbandonato dal 2015 ed ora venduto al Bambino Gesù), potenziata da spiazzanti soluzioni filmiche, dalla splendida fotografia e dalle lisergiche musiche dei BowLand.

La protagonista Chiara (una intensa Gelsomina Pascucci) sale per oscure e antiche scale ed attraversa corridoi le cui mura scrostate trasudano (realmente) un secolo di malattie, popolati da fantasmatiche che sono vittime non solo del “virus” (evocato e mai pronunciato... ed un vero reparto Aids è nella realtà proprio ad un tiro di schioppo dal set, nel vicino “Spallanzani”) ma anche di infermiere cinicamente diaboliche ed aridi medici (tra cui una gelidamente inedita Maria Grazia Cucinotta), imprigionati in lettini bianchi di ferro da antico nosocomio, tra manifesti “igienici” mortiferi, condannati in un sanatorio che li va uccidendo attimo dopo attimo. Tra Mattatoio n. 5 Kurt Vonnegut, Brazil di Terry Gilliam e gli incubi di Kafka (come nel terrificante tentativo di Chiara di ottenere, da un burocrate corrotto, giustizia per i diritti lavorativi negati al padre), il film conduce nella spirale in cui si addentra Chiara e la sua disperazione. Un inferno che la vede costretta a costruire - ormai solo al suo capezzale - un rapporto con un padre amato ed odiato (David Coco), assente da sempre, presente solo con delle lettere, che ha respinto chiamandolo solo Vittorio, chiudendosi in un grumo di rabbia, rancore, paura di amare. Ciccone, madre finlandese e padre siciliano, già aiuto regista di Nanni Loy, entra nell’animo della “sua” Chiara e vi scava, accompagnando anche lo spettatore in un viaggio alle radici di ciò che di non afferrabile ed inconfessato è in ognuno di noi: la colpa, il rimorso, il desiderio, la paura della morte. E questa che è una storia di ogni figlio e genitore è costretto ad affrontare - il lasciarsi in vita per ritrovarsi in altro modo, altro tempo, altro spazio – viene elevata da Anne Ritta Ciccone ad una sfida umanissima ed emozionante: quella di un uomo che si eleva sopra gli dei, il destino e le convenzioni (ed in questo Coco è riuscito ad alternare il tono sarcastico a quello tragico, dando completezza al personaggio).   

Passaggi dedicati alle prove dell’allestimento di una tragedia greca costellano il film (Le Baccanti). Chiara cura le luci (non a caso: nella sua ricerca di verità) dell’allestimento di quella che una delle più terrificanti e sanguinarie opere del mondo antico (passaggi di una regia teatrale di Ciccone dalla tragedia di Euripide). Il tutto è immerso in un vivifico scenario tra natura mediterranea e tra giovani corpi a fare da contraltare al raggelante e decrepito ospedale. E così, sequenza dopo sequenza, sguardo dopo sguardo, oggetto dopo oggetto, la protagonista scopre che ciò che aveva sempre condannato del padre diverrà la sua eredità più preziosa: la gaudente leggerezza, il gioco di credersi e farla credere immortale, la trasgressiva sfida alle convenzioni sociali (che nel gioco metateatrale del film si incarna nel dualismo tra lo sfrenato Bacco ed il mortale Penteo: due giovani attori che danno forma a personaggi in stile dark cari all’autrice), l’immersione nella sensualità (delle erotiche baccanti), che irrompono scompaginando la razionalità, plasmano un modo di accettare la vita in tutte le sue contraddizioni, emozioni, trasmutazioni. In esso l’unico modo per conservare e rendere così “oltre” l’immortale - ossia eterno - il ricordo di felicità che Chiara conserva: di lei bambina che gioca con il giovane padre in riva al mare. Uno dei tanti flashback di un solare passato che irrompe come lampi lungo la pellicola ad illuminarne la tenebra, tra le diverse soluzioni stilistiche che rendono il film una esperienza da vivere a sensi aperti. La pellicola è coprodotta da Launchpad 39A con Francesco Torelli (che ha accompagnato l’autrice fin dai suoi esordi con “Le sciamane” del 2000 come anche in I'm - Infinita come lo spazio del 2017, tra le prime esperienze filmiche italiane di incursione nel 3D), insieme a Simone Gattoni per The Film Club e Rai Cinema, con la distribuzione di Europictures. (24 giu - red)

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