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direttore Paolo Pagliaro

GOOGLE: IL FISCO CHIEDE
1 MILIARDO DI EURO

GOOGLE: IL FISCO CHIEDE <BR> 1 MILIARDO DI EURO

L'Agenzia delle Entrate chiede a Google di pagare una cifra intorno al miliardo di euro per le verifiche fiscali dal 2015 al 2020. E’ il frutto di una lunga indagine del Nucleo economico-finanziario della Guardia di Finanza di Milano che ha portato a ipotizzare una organizzazione stabile italiana della società irlandese di Google, con un'imposta evasa per 108 milioni ed un mancato versamento di royalties sui beni immateriali (licenze e software) da parte della società irlandese per oltre 760 milioni. Verranno avviate  interlocuzioni tra la multinazionale del web e l'Agenzia delle Entrate fino alla definizione della cifra definitiva che potrà essere inferiore a quella contestata. Il colosso del web si ritrova così sotto la lente del Fisco a sette anni dalla sua prima volta: quando, nel 2017, accettò di versare 306,6 milioni di euro. La notizia era stato anticipata ieri dal sito del Sole 24 Ore che oggi entra nei dettagli precisando che alla nuova contestazione si è arrivati dopo che Netflix, nel 2022, aveva raggiunto un accordo con il Fisco italiano pagando 55,8 milioni di euro a titolo di imposte, sanzioni e interessi. “Un accordo importante, perché è stato il primo caso nel quale è stata contestata l'esistenza di una stabile organizzazione occulta a una società che non aveva nessun dipendente sul territorio italiano. L'intesa ha dunque segnato uno spartiacque tra il prima e il dopo. Un caso destinato a fare scuola, in Italia e all'estero. Il fatto nuovo che ha cambiato le carte in tavola è stata la perdita di centralità del fattore umano nell'individuazione di una organizzazione stabile. Nel caso di Netflix, infatti, le indagini della Guardia di Finanza avevano evidenziato che la piattaforma utilizzata dal gigante dello streaming era costituita da oltre 350 server distribuiti sul territorio italiano attraverso i quali passava il 100% del traffico video. Fiamme Gialle, Agenzia delle Entrate e Procura di Milano avevano così deciso di qualificare l'infrastruttura presente in Italia come ‘stabile organizzazione materiale’, riuscendo a dimostrare come la rete di server – anche se formalmente immateriale – fosse essenziale per Netflix per diffondere i video acquistato in abbonamento dai clienti italiani. I pm sostenevano che, anche se la società Netflix International BV risiedeva nei Paesi Bassi, possedeva in Italia una ‘sede fissa di affari’. Gli asset che l'azienda americana utilizzava in Italia erano cavi, fibre ottiche, computer, server e algoritmi, che avrebbero fatto rientrare Netflix nel concetto di ‘materiale stabile’. E così è stato”. (28 giu - red)

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