Sempre alla ricerca degli aspetti più intriganti della cultura e quasi si trattasse di un libro da sfogliare, la Fondazione Giorgio Conti di Carrara propone un nuovo capitolo dedicato all’arte del nostro paese. Curata da Massimo Bertozzi, prosegue fino al 27 ottobre a Palazzo Cucchiari di Carrara la mostra "Belle Époque. I pittori italiani della vita moderna. Da Lega e Fattori a Boldini e De Nittis a Nomellini e Balla". Nell’intendimento del curatore, c’è la volontà che la mostra segua le tracce delle mutazioni della pittura dopo l’Unità, dal superamento delle scuole regionali alla ricomposizione di un’impronta nazionale, per puntare dritto a una cultura artistica adatta ai tempi moderni della “Nuova Italia”. Si tratta di un iter che dagli ultimi palpiti macchiaioli conduce alle effervescenze della scapigliatura fino agli esiti finali del divisionismo, cioè da Fattori e Lega a Boldini e De Nittis a Nomellini, Balla. Senza contare che altri artisti presenti in mostra con le loro opere portano i nomi di Signorini, Spadini, Pellizza da Volpedo, Zandomeneghi e Corcos, e poi ancora Antonio Mancini, Tranquillo Cremona, Mosè Bianchi, Emilio Longoni, Angelo Morbelli, Gaetano Previati e tanti altri. In totale si tratta di una novantina di opere – tra dipinti su tela e su tavola, acquerelli, pastelli e sculture in bronzo e in gesso – che abbraccia un arco temporale che va dal 1864 fino al 1917. (gci)
"ISKA – LA FIAMMA CHE ARDE": A CIVITANOVA MARCHE (MC) L'ARTE DI ANNA DONATI
Un’occasione per scoprire l’arte di Anna Donati: dallo scorso 14 luglio fino all'8 settembre all’interno dello Spazio Multimediale San Francesco a Civitanova Marche (MC) si terrà la personale dell’artista "Anna Donati. Iskra - La fiamma che arde", un progetto espositivo a cura di Stefano Papetti. "Iskra", che in lingua russa significa ‘astro, scintilla’, è il nome d’arte scelto da Anna Donati, artista marchigiana, già allieva di Remo Brindisi durante gli anni di studi all’Accademia di Belle Arti di Macerata che, dopo una carriera nel mondo della moda e della grafica, inizia a dedicarsi dagli anni Novanta esclusivamente all’arte. La sua ricerca artistica la conduce verso l’astrattismo geometrico e i suoi punti di riferimento sono gli artisti del movimento futurista e i maestri storici antesignani di tale corrente, Klee e Kandinskij. La selezione di opere in mostra racconta lo spirito di sperimentazione della Donati, che intende la pittura in continuo dialogo con la scultura, attraverso materiali molto diversi tra loro che creano un dialogo cromatico e materico con lo spettatore. Il curatore della mostra Stefano Papetti descrive così le tecniche artistiche impiegate dall’artista: “Tutta l’attività della Donati si caratterizza per la ricerca di nuove forme espressive che, come il divampare di un fuoco interiore, erompono dalla sua matrice creativa senza mai rinunciare a sperimentare tecniche nuove, utilizzando materiali inediti. Il vetro, l’acciaio, la stoffa, la ceramica, anno dopo anno, sono state sfruttate dall’artista per dare vita a sculture ed a composizioni ibride, affiancando le tecniche più consuete apprese negli anni dell’accademia. L’uso della matita, dei colori acrilici e ad olio, l’incisione hanno caratterizzato le prime ricerche artistiche della Donati, dominate da un approccio alle forme geometriche composite e ruotanti che, nel dare vita a dei caleidoscopi dell’anima, richiamano certe soluzioni care ai Futuristi”. Grovigli di stoffe, che ricordano intrecci di fili desunti dall’antica arte della tessitura, rappresentano l’inquietudine dell’uomo contemporaneo e dimostrano l’estrema passione con cui l’artista vive la realtà quotidiana. In mostra sono esposte anche le recenti sculture in stoffa della serie “Conflitti”, che ricordano dei sudari insanguinati, tributo da parte dell’artista alle vittime delle guerre in corso tra l’Ucraina e la Palestina; la Donati prende infatti una posizione significativa davanti alle ingiustizie e ai drammi della società contemporanea. La mostra è corredata da un catalogo edito da Grafiche Fioroni, con testi critici a cura di Stefano Papetti e Roberto Cresti. (gci)
ARTE, LA MADDALENA DI ARTEMISIA GENTILESCHI TORNA A NAPOLI
Un grande evento per la città di Napoli: la Maddalena, capolavoro di Artemisia Gentileschi dipinto nella città partenopea nel 1630, torna a essere visibile a tutti dopo 400 anni. L’opera è esposta dal 19 luglio al 19 gennaio 2025 in uno dei luoghi più belli della città: il magnifico e celebre Complesso Monumentale di S. Chiara. La collaborazione tra la Provincia dei Frati Minori di Napoli e Arthemisia ha reso possibile avviare un nuovo rilevante progetto culturale, che vede gli spazi del Chiostro Maiolicato di Santa Chiara ospitare capolavori della storia dell’arte e anche grandi mostre, come quella dedicata a San Francesco e a Santa Chiara che avrà luogo ad aprile, nell’anno del Giubileo e dell’ottocentesimo anniversario della creazione del Cantico delle Creature. Il capolavoro della pittrice seicentesca (Roma, 8 luglio 1593 – Napoli, tra il 1652 e il 1656, nel 1616 prima donna a essere ammessa nell'Accademia delle Arti del Disegno di Firenze fondata da Vasari, celebre anche per uno scandaloso processo contro il suo stupratore Agostino Tassi) torna quindi visibile nella città in cui fu dipinta tra il 1630 e il 1635. Conservata gelosamente per secoli in collezioni private, negli ultimi cento anni la Maddalena si trovava nella prestigiosa collezione Sursock, a Beirut, dove fu gravemente danneggiata nella nota esplosione del 4 agosto 2020. Sapientemente restaurata grazie all’intervento di Arthemisia, l’opera torna agli antichi splendori, mostrando tutti i caratteri di stile e di narrazione visiva propri del lungo periodo trascorso da Artemisia a Napoli dove visse dal 1630 fino alla morte nel 1654. La datazione al 1630-1635 coincide con l’arrivo a Napoli di Artemisia, periodo durante il quale nei suoi dipinti abbondano i toni del giallo e del blu. La santa è raffigurata in un momento di dialogo con il divino, i suoi occhi non sono “pieni di lacrime” (come ha sottolineato il critico d’arte James Hall): assistiamo a una diversa risposta emotiva, non dovuta a una plateale “visione angelica in cielo” ma a un travaglio interiore che la porta coscientemente al gesto di rinuncia alla vanità, rappresentata dalla collana di perle. Il gesto, altro tema peculiare dell’arte barocca, è potente, ma allo stesso tempo cortese: la collana viene delicatamente staccata dalla mano destra portata verso il petto, non è strappata in preda a una artificiosa folgorazione, e dunque assistiamo all’attimo in cui questo simbolo sta già delicatamente abbandonando il collo della donna. Accanto alla Maddalena sono il vaso degli unguenti sul tavolo alle sue spalle, i gioielli e quello che sembra uno specchio in una cesta, dettaglio iconografico già presente nella Maddalena di Artemisia a Palazzo Pitti (1617-1620). La figura è vista da un punto leggermente ribassato, seduta, ed emerge con veemenza dallo sfondo scuro. Artemisia fa appello a un registro caro all’arte barocca, enunciato da Rudolf Wittkower nel 1958: “il sottile dramma dato da questa torsione verso la sua sinistra, l’espressione che rivela uno stato di trance dovuto al dialogo interiore con il Divino, che non sconvolge ma conforta la santa. La luce, dalla forte valenza spirituale, investe l’imponente figura accentuando l’effetto di movimento del panneggio” (Francesco Trasacco). Gli inconfondibili toni di giallo oro cupo e blu oltremarino su cui spicca il candore della camicia sono enfatizzati dalla potenza del chiaroscuro, che non preclude alle parti in luce uno splendore netto. La santa, il cui sguardo estatico trasmette la gratificazione per il passaggio a una nuova vita sorretta dalla fede, sembra dialogare mentalmente con il divino, mentre alle sue spalle i gioielli e il vaso degli unguenti sono posti a sottolineare l’abbandono della precedente esistenza. Col patrocinio della Regione Campania e del Comune di Napoli, l’esposizione è realizzata grazie alla collaborazione tra la Provincia Napoletana del SS. Cuore di Gesù dell’Ordine dei Frati Minori, il FEC (Fondo Edifici di Culto), Agape e Arthemisia. La curatela scientifica è di Costantino d’Orazio e il catalogo è edito da Moebius. Dopo aver vissuto circa dieci anni a Roma, nel 1630 Artemisia si trasferisce a Napoli - città dalla straordinaria vivacità artistica - grazie ai rapporti che matura con Fernando Afan de Rivera, Duca di Alcalà e Viceré di Napoli, che nel 1629 ha acquistato tre dipinti della pittrice. Il suo stile, così vicino a quello di Caravaggio, affascina i collezionisti napoletani. Da Napoli, dove arriva con il fratello Francesco e la figlia Prudenzia, Artemisia intrattiene una fitta corrispondenza con Cassiano dal Pozzo, celebre erudito e suo appassionato committente, con il Duca di Modena Francesco I d’Este e con Ferdinando II de’ Medici, che ottengono suoi quadri, mentre Galileo Galilei e il nobile messinese don Antonio Ruffo diventano suoi consiglieri e mediatori. Se si esclude la parentesi inglese, quando nel 1638-39 si reca a Londra per lavorare con suo padre Orazio alla corte di re Carlo I – forse partecipa alla decorazione del Casino delle Delizie della regina Henrietta – Artemisia non si sposterà mai da Napoli, dove produrrà una grande quantità di tele con l’aiuto del fratello Francesco, che ha sostituito il marito Pierantonio nella gestione della bottega. Perse le tracce di Pierantonio, Artemisia riuscirà a maritare sua figlia Prudenzia nel 1636, sostenuta dai numerosi clienti che acquistano i suoi dipinti. Diventata la pittrice più celebre d’Europa, si circonda di allievi e collaboratori, dipingendo anche le uniche opere pubbliche della sua carriera per la Cattedrale di Pozzuoli. Muore intorno al 1653, in una data ancora non confermata: la sua tomba nella Chiesa di San Giovanni Battista dei Fiorentini è andata perduta negli anni ’50 del Novecento, quando l’edificio è stato abbattuto per fare spazio ad un moderno condominio. (red)
PROROGATA AL 15 SETTEMBRE "IL MESTIERE DEL PITTORE" SU GUERCINO
Proroga confermata fino al 15 settembre per la grande mostra "Guercino. Il mestiere del pittore", in corso ai Musei Reali di Torino nelle Sale Chiablese. Promossa dai Musei Reali in collaborazione con l’Università di Torino e prodotta da CoopCulture con Villaggio Globale International, la mostra che si sarebbe dovuta chiudere il prossimo 28 luglio resterà aperta un mese e mezzo in più e le oltre 100 opere esposte nel percorso curato da Annamaria Bava e Gelsomina Spione potranno dunque essere ammirate durante l’estate. Guercino, al centro di una rinnovata attenzione e di nuovi studi, è il protagonista della mostra torinese che, grazie ai tanti capolavori riuniti nell’occasione e al taglio originale dell’esposizione, conduce il pubblico a scoprire tecniche, metodi e consuetudini del mestiere del pittore nel Seicento: un grande affresco del sistema dell’arte nel XVII secolo, sotto la guida del talento di quel “mostro di natura e miracolo da far stupir” che fu Guercino, secondo la definizione che ne diede Ludovico Carracci, impressionato dal suo talento. A partire dal nucleo appartenente alle collezioni della Galleria Sabauda e della Biblioteca Reale di Torino, le opere riunite nell’occasione - con importati prestiti da musei nazionali e internazionali, fondazioni e collezioni private, inclusi due dipinti inediti e le tele che permettono lo straordinario ricongiungimento dopo 400 anni del ciclo Ludovisi - sono altamente significative per il racconto, sviluppato nelle 10 sezioni tematiche tra confronti, parallelismi, testimonianze intorno alla professione del pittore nel Seicento. Premiata finora da oltre 40.000 ingressi, con un notevole successo di critica e una grande eco su stampa e tv nazionali e internazionali, la mostra può contare sulla generosa disponibilità alla proroga da parte di oltre 30 musei e collezionisti coinvolti - compresi il Museo del Prado di Madrid e il Monastero di San Lorenzo a El Escorial - la Pinacoteca di Cento e, tra gli altri, la Galleria Estense di Modena, che ha acconsentito al prolungamento del prestito del capolavoro forse più iconico del Guercino, “Venere, Marte e Amore”. Con la proroga sarà esposta anche un’interessante tela che arricchirà la mostra e potrà attirare la curiosità di quanti l’hanno già visitata. Entra infatti nel percorso una veduta settecentesca dell’interno della Basilica di San Pietro, opera di Pietro Francesco Garola, ora in Galleria Sabauda, in cui si riconosce una rara immagine del maestoso dipinto del Guercino raffigurante il Seppellimento di Santa Petronilla, sostituito nel Settecento da una copia in mosaico e attualmente conservato ai Musei Capitolini di Roma. Prosegue anche il ricco programma di appuntamenti, visite guidate speciali, approfondimenti tematici, aperture serali e laboratori per singoli, gruppi e famiglie. La mostra ha il patrocinio della Regione Piemonte, della Città di Torino e della Sir Denis Mahon Foundation ed è sostenuta da BPER e NovaCoop. (gci)
LE OPERE DI ANDY WARHOL A DESENZANO DEL GARDA (BS)
L'Amministrazione Comunale di Desenzano del Garda (BS), in collaborazione con l'agenzia MV Arte di Vicenza, ha presentato la mostra “Andy Warhol: the age of freedom” che si terrà presso il Castello dallo scorso 15 giugno fino al 22 settembre. La mostra, curata da Matteo Vanzan, racconta la rivoluzione del genio di Pittsburgh attraverso un percorso espositivo di oltre 70 opere di Andy Warhol in un excursus culturale che presenterà le principali opere del genio americano oltre a una stretta selezione di film d'autore come Empire e Sleep. “Andy Warhol - commenta il sindaco di Desenzano del Garda Guido Malinverno - è un personaggio che si presenta da solo, uno degli artisti che ha segnato maggiormente la storia della cultura internazionale rivoluzionando il concetto stesso di ‘essere artista’. Credo che il percorso culturale che ha intrapreso Desenzano da qualche anno a questa parte sia ormai chiaro e siamo lieti di vedere che la risposta del pubblico è sempre importante. L’identità artistica di una Città viene definita dalla continuità di eventi e rassegne di caratura internazionale come questa, grazie quindi a chi continua a rendere possibile tutto ciò e buona mostra a tutti”. Continua l'assessore alle Politiche culturale Pietro Avanzi: “Andy Warhol sbarca a Desenzano del Garda e personalmente ne sono entusiasta. Ho voluto fortemente portare in Città questa rassegna perché credo sia nella qualità dell’esposizione delle opere, sia nell’organizzazione affidata al curatore Matteo Vanzan, garanzia di professionalità e collaborazione proficua. Mi confesso affascinato dalla persuasione di queste opere intrise di ironia, denuncia, politica, intelligenza, protesta e molto altro. Il concetto di ‘popular’ che Warhol ha portato all’interno dello scenario artistico globale è inteso come immaginario collettivo di icone, miti, opere d’arte e tutto ciò che è ormai entrato nel nostro mondo sia concretamente che simbolicamente. Sono ancora una volta convinto del fatto che questa mostra avrà successo semplicemente perché parla di noi, del nostro essere e di come “tutto ciò che guardiamo è degno della nostra attenzione”. “Andy Warhol - racconta il curatore della mostra Matteo Vanzan - fu l'artista determinante nella rinascita artistica della seconda metà del Novecento: cambiò il concetto stesso di arte sovvertendo l’estetica di un’intera generazione. Attraverso l'esposizione, tra le altre, delle celebri opere dedicate a Marilyn Monroe, Mao Zedong, Flowers, Dollari, Campbell's Soup, Electric Chair e Interviews racconteremo la storia intensa di un mondo fatto di comunicazione e genialità, business e consumismo nel ruolo centrale di una Factory divenuta punto catalizzatore dell'establishment artistico americano. Warhol, infatti, non rappresenta solamente la superstar del mondo dell’arte e del mercato che tutti conosciamo, ma è l'immagine di un uomo dal volto sensibile e timido che si è trasformato in uno sperimentatore dalle esplosive capacità comunicative”. “Il percorso di mostra - conclude Matteo Vanzan - sarà composto non solo dalle opere d'arte ma anche da una stretta selezione di video, documentari e da alcuni film d'epoca. Il nostro obiettivo è quello di raccontare l'uomo prima dell'artista, con tutte le sue nevrosi e le sue insicurezze in un corollario di aforismi che, nell'ironia della sua essenza, tracciano inequivocabilmente la personalità di Andy Warhol come entità capace di generare un microcosmo che riassume in sé il clima degli anni Sessanta. Una sottocultura fatta di arte, cinema e musica che racchiude i dogmi fondanti di una nuova società di cui Warhol ha rappresentato il massimo interprete”. (gci)
NELLA FOTO. Giovanni Boldini, "Carrozza a Versailles"
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