Il fallimento dei negoziati del Cairo per la tregua in Medio Oriente, la nuova ondata di attacchi della Russia sulle città ucraine, gli Stati Uniti nel pieno di una delle più decisive campagne elettorali: che cosa stiamo rischiando? “Abbiamo due conflitti in corso, uno nel cuore dell’Europa e un altro nel cuore del Mediterraneo. Il rischio dell’effetto scintilla o il rischio dei ‘sonnambuli’ è altissimo” afferma Marco Minniti, ex ministro dell’Interno, a lungo guida politica della nostra intelligence, oggi numero uno della Fondazione Med Or, il più autorevole think tank italiano di analisi strategica, in una intervista a Il Giorno.
“Non dimentichiamo che stiamo danzando sul filo del rasoio perché il rischio di una precipitazione, purtroppo, c’è sempre. Non perché qualcuno la voglia ma perché il pericolo di errore è altissimo. Come lo è quello del sonnambulismo delle leadership che portò alla Prima guerra mondiale. Lo descrive bene Christopher Clark nel bellissimo libro The Sleepwalkers: How Europe Went to War in 1914, in cui spiega come gli Stati europei precipitarono in maniera preterintenzionale nella Prima guerra mondiale.
Nessuno voleva la guerra, solo che ogni Stato era prigioniero delle sue radicalità, fino alle estreme conseguenze, senza mettere nel conto la guerra, che, invece, arrivò”. Ed evidenzia che “in questo momento in Medio Oriente si misurano tante debolezze del terrore, nel senso che nessuno vuole un conflitto più ampio: l’Iran, come Hezbollah in Libano, sa perfettamente che non può permetterselo. Non sono pronti perché questo comporterebbe un collasso delle rispettive sovranità. Il che ci dice che anche negli ambienti più estremisti funziona la realpolitik. E tuttavia quella stessa realpolitik non riesce a pensare a un piano positivo. Dunque, quelle leadership da un lato devono evitare un conflitto più ampio, dall’altro non possono liberarsi dall’abbraccio mortale delle componenti più radicali. È la trappola delle identità”. Inoltre “la leadership israeliana, profondamente divisa, è condizionata dal fatto che la prosecuzione del conflitto non solo garantisce la tutela personale e politica di Netanyahu, ma è la cosa più semplice o meno impegnativa da gestire.
La leadership attuale non ha la forza di presentare al popolo israeliano un piano di uscita dal conflitto”. Ed anche in Ucraina “non si intravede una soluzione e anzi siamo di fronte a un’escalation militare. E, tuttavia, ritengo che l’operazione militare su Kursk sia del tutto legittima”, “Zelensky ha preso questa iniziativa perché ha capito che potrà trovarsi in uno scenario in cui potrebbe essere costretto a discutere e negoziare con la controparte russa. E lo vuole fare da posizioni non di debolezza. Al punto tale che Putin, pur aggredendo Kiev e l’Ucraina con gli attacchi aerei, ha annunciato che l’operazione per riprendersi Kursk si farà solo entro ottobre: un segno di debolezza. Ma non c’è solo questo nella svolta di Zelensky. Nella prospettiva di una futura negoziazione con Mosca, ha mandato il Ministro degli Esteri in Cina e ha spiegato che accetterebbe la mediazione di quel Paese”. (27 ago - red)
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