di Paolo Pagliaro
Lo smottamento del servizio sanitario pubblico, già fiore all’occhiello del nostro stato sociale, sta nei dettagli. Questa mattina, per dire l’ultimo, si è saputo che sarà possibile coprire solo 31 dei 170 posti di Specialità in Radioterapia disponibili per l’anno accademico che inizia a novembre. Troppi pochi per una competenza utilizzata in oltre il 60% dei casi di tumore e che risulta curativa in più di 4 casi su 10.
Dice il rapporto annuale della Fondazione Gimbe sul servizio sanitario nazionale, presentato al Senato, che si sta lentamente sgretolando il diritto costituzionale alla tutela della salute, in particolare per le fasce socio-economiche più deboli.
La crisi della sanità pubblica si riassume in poche cifre. In un anno è aumentata di oltre il 10% la spesa per cure pagate di tasca propria dalle famiglie. Sono più di 4 milioni e mezzo gli italiani che hanno dovuto rinunciare a visite ed esami, con due milioni e mezzo costretti a farlo per motivi economici. E’ crollata la spesa per i servizi di prevenzione, meno 18,6%. Ed è di quasi 900 euro il divario della spesa sanitaria pubblica pro capite rispetto alla media dei paesi Ocse membri dell’Unione Europea, con un gap complessivo che supera i 52 miliardi.
Poi ci sono le diseguaglianze regionali; la migrazione sanitaria (che riguarda, verso l’estero, anche medici e infernieri); i disagi quotidiani per i tempi di attesa e per i pronto soccorso sotto pressione. Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, è fiducioso e si attende un nuovo patto politico, che superi divisioni ideologiche e avvicendamenti dei Governi, e riconosca nel Servizio sanitario nazionale un pilastro della nostra democrazia.
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