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MICHELE PADOVANO SI RACCONTA:
IL LIBRO PER RIPERCORRERE IL PROCESSO

MICHELE PADOVANO SI RACCONTA: <Br> IL LIBRO PER RIPERCORRERE IL PROCESSO

Era il 10 maggio 2006 quando tre macchine gli sbarrano la strada e quattro agenti in borghese lo trascinano fuori dalla sua auto per portarlo alla caserma di Venaria Reale. È il 31 gennaio 2023 quando arriva la telefonata liberatoria: «È finita, Micky, è finita! Sei stato assolto!». In mezzo, diciassette anni di processi, la prigione, gli arresti domiciliari, l’obbligo di firma, migliaia di carte presentate ai giudici finché la verità è stata finalmente riconosciuta: Michele Padovano è innocente, non è il più grande narcotrafficante del mondo del calcio. Un lungo cammino di errori giudiziari, nel quale l’ex attaccante di Cosenza, Pisa, Genoa, Reggiana, Napoli e Juventus si trova invischiato suo malgrado e che ha deciso di raccontare in “Tra la Champions e la libertà”, un libro dove l’ex calciatore ripercorre il dolore ma anche le piccole e grandi gioie ritrovate durante il calvario giudiziario. Padovano, in occasione del Festival dello Sport di Trento, ha raccontato ai microfoni di Mimmo Cugini la sua storia. “Il libro nasce dalla voglia di raccontare quello che mi era successo, anche se inizialmente non ero molto propenso a mettere in piazza tutte le emozioni e le sensazioni provate in quel periodo”. "Parlando con la mia famiglia – racconta Padovano – ho deciso di raccontare la mia storia. Quando fui arrestato inizialmente pensai a Scherzi a Parte: ad un certo punto, mi aspettavo che saltassero fuori le telecamere. Così non è stato. Fui prima portato in caserma a Venaria Reale e poi in isolamento a Cuneo. In seguito, fui traferito al carcere di Bergamo, dove sono rimasto tre mesi prima che partisse il calvario di diciassette anni”. Nonostante tutto, l’ex calciatore non crede di essere l’unico ad aver patito la sua vicenda giudiziaria: “le difficoltà erano per mia moglie e mio figlio, in quanto parenti di una persona famosa. Se mia moglie andava a fare la spesa o quando mio figlio, che all’epoca dei fatti era tredicenne, andava a scuola erano tacciati di essere parenti dell’“Escobar” del calcio italiano. Ce la siamo vista brutta, ma loro si sono fatti forza, hanno saputo resistere e sono stati la mia salvezza. Prima della mia vicenda giudiziaria avevo sempre casa piena di persone ed ero tempestato di telefonate. Appena sono finito sulle prime pagine dei giornali e in prima serata sul TG sono tutti spariti. L’unico, oltre la mia famiglia ad essermi rimasto vicino è stato Gianluca Vialli, che si è sempre informato sul mio stato e, arrivato ai domiciliari, è stato il primo a telefonarmi a casa”. Una vicenda lunga e interminabile, che lo stesso Padovano non augura a nessuno: “qualche mese fa sono stato invitato nell’aula magna del tribunale di Torino dove mi hanno detto che ogni anno si rilevano circa mille casi di mala sanità all’anno. Non è una caratteristica da paese civile. Spero che la mia vicenda sia un segnale per tutte quelle persone meno famose e meno fortunate di me e che, a differenza mia, non dispongono di un patrimonio da spendere in quasi due decenni di spese legali. Non me ne vergogno, perché in carcere ho incontrato tanta umanità, più di quanta non ce ne fosse fuori, e ne sono uscito un uomo migliore”.

FOTO. Archivio Ufficio Stampa PAT - Nicola Eccher

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