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L’ALPINISTA DENIS URUBKO:
ALPINISMO E' LIBERTÀ

L’ALPINISTA DENIS URUBKO: <Br> ALPINISMO E' LIBERTÀ

Alpinista giramondo ma che alla fine ha messo radici nel nostro Paese, Denis Urubko è stato uno dei protagonisti della mattinata della terza giornata del Festival dello Sport di Trento. Urubko, 51 anni, nasce nella Russia e alpinisticamente cresce nelle organizzazioni sportive alpinistiche del suo paese e sulle severe cime del Caucaso. Alla caduta dell’URSS diventa cittadino kazako e inizia ad interessarsi alle grandi montagne himalayane. Ma è grazie agli alpinisti italiani che ha modo di distinguersi. Con Simone Moro sale due ottomila in inverno, il Makalu e il Gasherbrum II, poi nell’arco di pochi anni completa la salita di tutti i 14 ottomila, aprendo anche cinque nuove vie. Per poi riprendere il filone del suo alpinismo, classico, “leggero” e ancora fortemente esplorativo. Nella sua carriera finora è salito per 27 volte in vetta agli ottomila. Oggi è cittadino polacco, ma ha scelto l’Italia come suo “campo base”. A condurre l’incontro e a dialogare con Urubko che ha parlato nella sua lingua madre, il russo, il giornalista Alessandro Filippini affiancato da Luca Calvi nella traduzione. Pensi di essere il numero uno tra gli alpinisti, ha chiesto subito Filippini e la risposta è stata “credo di essere un buon alpinista di altitudine”. Di sicuro Urubko è campione di cosmopolitismo e la seconda domanda rivolta all’alpinista è stata perché con il crollo della Russia è diventato kazako. “Sono diventato kazako perché li c’era la migliore scuola di alpinismo in altitudine, si era inquadrati come militari e ho fatto carriera come militare all’inizio”. E poi ha conosciuto gli alpinisti italiani e con loro è venuta la prima grande impresa. “È stato lo Snow Leopard Prize nel 1999, il premio per aver salito i cinque più alti picchi sopra i 7000 m dell’ex Unione Sovietica. La cosa più rilevante è che li ho saliti in una sola stagione, per onorare la memoria di Antony Bukreeev. Soprattutto Simone Moro mi ha aiutato per salire il mio primo ottomila, l’Everest. Mi ha procurato il denaro, l’ho salito e così ho pensato: se ho già salito l’Everest posso anche pensare di salire tutti gli altri. Voglio però precisare che io rimango fedele ad un alpinismo reale, quello di Messner, di Kukuczka, di Catherine Destivelle. Nel mio paese queste imprese erano viste come cose del tutto inutili, mentre in Europa mi applaudivano. Sulle pareti mi sono sempre sentito un artista e ogni artista ha bisogno dell’attenzione del pubblico”.Sandro Filippini è poi entrato nel merito delle imprese più rilevanti di Urubko, in particolare le imprese invernali. “Ho iniziato 30 anni fa, ma sugli ottomila in inverno è davvero particolare, per lo sportivo e per l’artista. Perché in inverno sei realmente da solo e devi fare tutto da solo ed è qui che nascono le amicizie vere.” Quella con Simone Moro si rafforza con la prima invernale del Makalu nel 2009 e poi nel 2011 con la prima invernale al Gasherbrum 2 con Moro e Cory Richards. In precedenza c’era stato un tentativo invernale al K2 dove Urubko aveva raggiunto il punto più alto su questa vetta in inverno. Al K2 torna anche nel 2019 insieme al polacco Kryzstof Wielizcky, ma sul Nanga Parbat ci sono degli alpinisti in difficoltà. E Urubko non ha tentennamenti; viene portato con Adam Bieleky sulla montagna e sbarcati dall’elicottero sopra i 5000 m. Riescono a soccorrere l’alpinista Elisabeth Revol che senza quel soccorso non avrebbe avuto scampo. “Quando ho capito che c’era un problema mi sono proposto. Perché l’alpinismo è libertà, nessuno può essere costretto a fare le cose, ma se qualcuno è in difficoltà io sono sempre pronto ad andare. Quel salvataggio è stato frutto di una catena di casualità, c’erano da trovare i soldi dell’elicottero e sono arrivati. Noi sapevamo cosa fare e il resto è storia. E ringrazio la Polonia per questa grande generosità dimostrata allora”. Urubko ritorna poi al K2 e contro il parere del capospedizione riparte da solo per la cima, ma deve desistere. Anche nel 2019 al Gasherbrum 2 si prodiga nel salvataggio di un alpinista italiano in difficoltà. E anc he questa volta riparte da solo e raggiunge la cima da una via nuova con pochissima attrezzatura e in meno di 24 ore. “Ma non dovete imitarmi” è la sua raccomandazione.
FOTO. Archivio Ufficio Stampa PAT – Michele Lotti

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