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La legge di bilancio
è una cosa seria

La legge di bilancio <br> è una cosa seria

di Paolo Pombeni

Con il mondo che rischia l’allargarsi di conflitti sempre più devastanti (le operazioni abbastanza poco assennate a Gaza, Cisgiordania e Libano; le continue tensioni cinesi intorno a Taiwan), potrebbe sembrare poco sensato occuparsi di politica interna. Ovviamente ci sono problemi che non si possono mettere in soffitta, perché incidono sulla vita di tutta la nazione, e dunque anche sulla sua capacità di agire nelle situazioni internazionali. Una di queste è la legge di bilancio, ovvero il quadro dell’impegno economico dello Stato nel prossimo anno.
Quando sarà letto questo articolo, il documento preparatorio predisposto dal governo probabilmente sarà già in viaggio per Bruxelles. Non si tratta di un testo che affronti i problemi in dettaglio, quello arriverà fra un poco, ma sarà comunque qualcosa su cui l’Italia comincerà ad essere giudicata sia a livello delle istituzioni europee, a cui deve rendere conto per l’osservanza delle nuove regole di bilancio, sia a livello delle agenzie di valutazione economica e finanziaria (non a caso per questi giorni si aspettano le valutazioni di Fitch e di Standard & Poors).
Il passaggio è molto delicato. La previsione di crescita del PIL per l’anno prossimo si ferma allo 0,8% (meno dell’1 e qualcosa previsto) e ci sono da finanziare 24 miliardi di manovra, di cui ben 9 in deficit. Il tutto va inquadrato in una battaglia politica arroventata, perché sotto il ricatto di campagne elettorali in cui si era e si è dato allegramente via libera al populismo e alla demagogia. Sappiamo bene che si tratta di un modo di fare che accomuna, anche troppo, tanto la maggioranza quanto l’opposizione, ma il fatto è che diventa difficile spiegare alla gente che non si potrà più andare avanti come prima quando si sono passati mesi in cui la maggioranza ha promesso mari e monti sicché adesso l’opposizione non solo le rinfaccia che non mantiene quanto ha promesso (il che sarebbe poi anche il suo mestiere), ma ben di più si butta a fare un populismo di segno contrario reclamando maggiori spese in molti comparti. Non si nega che alcuni di questi siano più che meritevoli di spesa (sanità, istruzione, ecc.), ma quel che si vede è che si evita di dire, realisticamente, come e dove si possono trovare i soldi necessari.
Ora la situazione è terribilmente semplice, basta guardare ai numeri. Bisogna trovare dai 3 ai 4 miliardi per onorare gli impegni seri, cioè il finanziamento delle misure a difesa dei redditi più bassi e di alcuni servizi. Anche qui senza porsi obiettivi fantasmagorici: se volessimo portare la spesa sanitaria al 7,5% del PIL come è in molti paesi, molti osservatori credibili stimano che sarebbero necessari 10 miliardi in più. Fatichiamo come s’è visto a trovarne meno della metà e per tanti comparti.
Raccapezzarsi nell’esame del bilancio dello Stato è una impresa per tecnici molto preparati, figurarsi se può venirne a capo la gente normale, ma neppure gli osservatori generici della politica interna. Facciamo un esempio banale. Il ministro Giorgetti ha invitato i ministeri ad astenersi dal creare residui attivi, cioè dal chiedere soldi per progetti che poi per le più varie ragioni non si realizzeranno e che pesano nella valutazione come elementi negativi. Il cosiddetto uomo della strada si chiede perché non si possa venire a capo di una faccenda così semplice: perché tutti i ministeri vogliono far vedere, un po’ all’opinione pubblica generale, molto di più alle corporazioni che stanno loro a cuore, che si vorrebbe fare tanto anche se poi non si hanno i mezzi tecnici e umani per portare i progetti a buon fine.
Nessun ministero vuole però ammettere di non essere in grado di produrre una molteplicità di interventi e quindi non si accettano quel tipo di tagli. Per la verità neppure quelli di altro genere: adesso è una lamentela generale contro il povero ministro Giorgetti, incalzati da una opposizione che sempre allo stesso ministro chiede altri interventi di spesa. La scappatoia di tutti è trovare il solito escamotage di dare la colpa a qualche diavolo: ai banchieri che hanno fatto extraprofitti, ai miliardari che non pagano abbastanza tasse, oppure alla giungla di “contributi” che vengono versati per le cose più diverse (pare siano circa 630 settori).
Facile a dirsi, piuttosto difficile a farsi. Tanto per dire la tassazione dei super ricchi si scontra sul fatto che sono soggetti che hanno già trovato il modo di non risultare tali (con scatole cinesi di società, con residenze all’estero, e via dicendo), per cui quelli che non vogliono se ne faccia nulla hanno buon gioco a ventilare che si parte coll’idea di tassare i miliardari, ma poi si scende molto nello scalino per fare cassa e così si amplia la catena dei “resistenti”. Idem per i cosiddetti extra profitti delle banche, perché è una categoria giuridicamente difficile da circoscrivere: quando è che un profitto, che dovrebbe già essere di suo tassato progressivamente, diventa “extra” per cui gli si può chiedere di più del normalmente dovuto?
Infine teniamo sempre conto che agli aiuti di Stato è difficile rinunciare in un sistema come il nostro dove giustamente ci si pone il problema di tutelare l’occupazione. Stellantis (ovvero l’ex Fiat che ha già insediata fuori d’Italia la sua “testa”) ha detto pochi giorni fa in parlamento che se il governo non sostiene i cittadini a comprare le sue auto per forza di cose dovrà rivedere investimenti e occupazione. Ha incontrato una prima selva di reprimende (siamo di nuovo ai bonus tipo il 110%), ma non più tardi di domenica sera da Gramellini il segretario della CGIL Landini ha detto che insomma non ci vedrebbe poi nulla di male: oppure vogliamo mettere sul lastrico migliaia di lavoratori?
Come si vede saremo costretti ad affrontare la manovra per tenere il bilancio dello Stato in condizioni che ci preservino dall’attacco dei nostri avversari e dalla creazione di altro debito gettando tutta la croce sul “perfido Giorgetti”, per consentire ai partiti, tutti, di continuare nella loro politica di appoggio alle illusioni che circolano nel Paese. Servirebbe invece una “operazione verità” che possono fare solo se si mette insieme almeno una parte della maggioranza e almeno una parte dell’opposizione. Ma, come si usa dire, sembra che non sia proprio aria…
(da mentepolitica.it)

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