Dalle persone colpite da ictus che lavorano ogni giorno per riprendere in mano la propria vita ai caregiver che li assistono e li supportano, dai team sanitari che corrono contro il tempo per salvare vite umane agli specialisti della riabilitazione che fanno muovere le persone un passo alla volta: la lotta all’ictus cerebrale deve essere vista come un gioco di squadra perché insieme siamo #PiuFortidellIctus (#GreaterThanSktroke).
Questo il tema scelto dalla World Stroke Organization per l’edizione 2024 della Giornata Mondiale contro l’Ictus Cerebrale che, come ogni anno, si celebra il 29 ottobre e di cui si fa promotrice, in Italia, A.L.I.Ce. Italia Odv, l’Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale.
L’ictus è una malattia cerebrovascolare acuta che può essere causata dall’improvvisa ostruzione, da parte di un trombo o di un embolo, di un vaso del circolo cerebrale (in questo caso si parla di ictus ischemico) oppure dalla rottura di un’arteria (in questo caso si parla, invece, di ictus emorragico). È una di quelle patologie definite “tempo-dipendenti”: richiede un’attivazione immediata del sistema del soccorso; infatti, prima si interviene e più cellule cerebrali si possono salvare, consentendo una migliore ripresa e una minore disabilità. I tempi di trattamento del paziente, una volta raggiunto il pronto soccorso, sono governati da protocolli ormai definiti e collaudati: il nodo cruciale resta quindi la fase territoriale, cioè il rapido riconoscimento dei sintomi dell’ictus da parte del paziente e dei suoi familiari, il pronto riconoscimento della patologia neurologica acuta da parte dei mezzi di soccorso che giungono sulla scena, la rapida comunicazione con la centrale del 112, il veloce invio del paziente e il contemporaneo contatto con il neurologo in pronto soccorso che è in grado, avendo a disposizione i dati fornitigli telefonicamente, di contattare i familiari e predisporre il trattamento all’arrivo del paziente.
Come per tutte le patologie tempo dipendenti e per tutti i percorsi di emergenza urgenza, è il lavoro di squadra che fa la differenza e, nel caso dell’ictus cerebrale, è fondamentale innanzitutto la consapevolezza dei cittadini: riconoscerne precocemente i sintomi e chiamare tempestivamente il 112 possono davvero salvare la vita.
“La corretta informazione della popolazione svolge un ruolo fondamentale per favorire la consapevolezza dell’importanza di uno stile di vita corretto per la prevenzione di questa malattia e la riduzione delle sue conseguenze – dichiara il Prof. Danilo Toni, Direttore Unità Trattamento Neurovascolare Policlinico Umberto I di Roma e Presidente del Comitato Tecnico Scientifico di A.L.I.Ce. Italia Odv. I sintomi da riconoscere sono:
• improvviso intorpidimento, insensibilità o formicolio e/o debolezza, perdita di motilità e forza di grado variabile della metà inferiore del viso, del braccio e/o della gamba di un lato del corpo, con asimmetria della bocca (“bocca storta”, più evidente quando si prova a sorridere) e/o incapacità di sollevare un braccio o di mantenerlo alzato allo stesso livello dell’altro e/o difficoltà a muovere una gamba
• improvvisa confusione mentale, difficoltà a parlare o a comprendere
• improvvisa difficoltà nel vedere oppure visione offuscata in uno o entrambi gli occhi
• improvvisi problemi di stazione eretta e deambulazione, vertigini, perdita di equilibrio o della coordinazione, con eventuale caduta a terra
• improvviso forte mal di testa senza causa nota, diverso dal solito
In caso di comparsa di sintomi riferibili all’ictus – continua il Prof. Toni - è assolutamente necessario evitare di perdere tempo ed è indispensabile chiamare subito il 112, quindi
• non aspettare di vedere se i sintomi migliorano spontaneamente;
• non chiamare e non recarsi dal medico di medicina generale (MMG) o dalla Guardia Medica;
• non recarsi in Pronto Soccorso con mezzi propri, anche per evitare di presentarsi in un Ospedale dove non sia disponibile almeno il trattamento trombolitico per via endovenosa”.
La famiglia della persona colpita da ictus diventa una risorsa indispensabile nel processo di cura ma, spesso, non ha le competenze sufficienti per assistere la persona al proprio domicilio; per questo motivo, durante la degenza, l’infermiere comunica con il caregiver e la famiglia educandoli sulla prevenzione delle complicanze e sull’assistenza alla persona, in base al grado di autonomia.
L’infermiere è, dunque, un’altra delle figure importanti nella presa in cura a domicilio della persona colpita da ictus. I caregiver e familiari svolgono un ruolo fondamentale perché aiutano il paziente nelle attività quotidiane, come la cura personale, la gestione dei farmaci e la preparazione dei pasti; possono aiutare il paziente a diventare il più indipendente possibile, incoraggiando l’autonomia nelle attività quotidiane e fornendo supporto emotivo per affrontare le difficoltà. Infine, collaborano con i terapisti per assicurare una gestione efficace del paziente.
Altro ruolo fondamentale, all’interno della squadra che combatte l’ictus cerebrale, è quello degli specialisti che si occupano del post ictus. Il trattamento neuroriabilitativo, che ha come obiettivo quello di migliorare le funzioni fisiche, mentali e cognitive, restituendo alla persona la maggior indipendenza possibile, dovrebbe iniziare in ospedale quanto prima, non appena il paziente mostri segni di recupero fisico e proseguire in modo continuativo, senza interruzioni né rigide limitazioni temporali e seguendo un protocollo uniforme: il recupero avviene rapidamente tra il primo e terzo mese dopo l’ictus, alcune persone comunque continuano a migliorare anche dopo questo periodo, soprattutto per quanto riguarda il linguaggio.
“L’ictus è un evento traumatico, improvviso e inatteso – dichiara Andrea Vianello, Presidente di A.L.I.Ce. Italia Odv (Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale). La nostra Associazione è da sempre impegnata in attività di sensibilizzazione e informazione su questa patologia a 360°: è fondamentale che tutti i cittadini siano consapevoli di quali siano i fattori di rischio, di quanto sia importante il riconoscimento tempestivo dei sintomi e di cosa fare in caso di loro comparsa. Il post ictus è una fase molto delicata ma, purtroppo, ancora troppo trascurata: le persone colpite da ictus presentano esiti più o meno invalidanti causati dal danno cerebrale ed è fondamentale che ricevano una corretta informazione sulla fase neuroriabilitativa, in modo da poter, possibilmente, migliorare la propria situazione clinica”.
Oltre alla riabilitazione motoria, che aiuta a mantenere il tono e la forza muscolare, spesso è necessario prevedere anche sedute di logopedia ed esercizi che possano migliorare la deglutizione: con l’ictus si può perdere, infatti, la capacità di parlare o comprendere le parole, così come la capacità di scrivere e leggere o anche di deglutire in modo adeguato. Non meno importante è la terapia occupazionale, che è un importante aiuto nell’affrontare le attività quotidiane ed essere nuovamente inseriti nell’ambiente sociale e lavorativo; si tratta di un approccio personalizzato e basato sulle esigenze del singolo per migliorare la qualità di vita del paziente e dei caregiver.
“Il veloce riconoscimento dei sintomi e il tempestivo intervento dei soccorsi sono i due elementi che mi hanno salvato la vita e non posso dimenticare il lavoro fondamentale di tutte le persone che mi hanno aiutato nella fase successiva, dal fisioterapista al logopedista – commenta Mauro Coruzzi, conduttore radiofonico e televisivo, in arte Platinette, testimonial di A.L.I.Ce. Italia Odv. Sono orgoglioso di far parte di questa Associazione e sono felice di poter dare il mio contributo convinto che, nella lotta contro l’ictus, il lavoro di squadra rappresenti la chiave per poterlo affrontare e superare”.
L’ictus cerebrale, nel nostro Paese, rappresenta la terza causa di morte, dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie, e la prima causa di invalidità. Quasi 100.000 italiani ne vengono colpiti ogni anno e la metà dei superstiti rimane con problemi di disabilità anche grave. In Italia, le persone che hanno avuto un ictus e sono sopravvissute, con esiti più o meno invalidanti, sono oggi circa 1 milione, ma il fenomeno è in crescita sia perché si registra un invecchiamento progressivo della popolazione sia per il miglioramento delle terapie attualmente disponibili. (29 OTT – DEG)
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