di Paolo Pagliaro
Ogni quattro anni, quando il primo martedì dopo il primo lunedì di novembre gli americani eleggono il loro presidente, ci si trova di fronte, da un lato, all’elezione più importante nel mondo per il ruolo strategico degli Stati Uniti; dall’altro, a un procedimento antico e barocco che talvolta finisce per premiare chi ha la maggioranza dei grandi elettori pur avendo la minoranza del voto popolare.
Potrebbe accadere anche il prossimo 5 novembre e – nonostante la forte polarizzazione dell’elettorato - questo di per sé non autorizza fosche previsioni sul futuro della repubblica americana. L’antidoto – così mal tollerato in Italia - si chiama separazione dei poteri. Negli Stati Uniti ogni espansione del potere presidenziale è controbilanciata e perimetrata da altri poteri: il Congresso, la Corte Suprema e il corpo elettorale che già due anni dopo le presidenziali è chiamato a esprimersi con le elezioni di metà mandato.
Tutto questo viene ben spiegato da Francesco Clementi e Gianluca Passarelli in un libro edito da Marsilio con il titolo “Eleggere il presidente”. E’ una guida al voto e un faro acceso sulla rete di istituzioni che, fanno del presidente soltanto uno dei nodi, seppure cruciale, dell’intero sistema politico-istituzionale statunitense.
Un altro studioso, Aldo Giannuli, spiega l’importanza del voto americano nelle dinamiche del potere mondiale e lo fa in un saggio intitolato “Geopolitica” edito da Ponte alle Grazie. Quello di cui oggi si avverte più acutamente la mancanza – scrive Giannuli - è un pensiero strategico all’altezza dei tempi. Siamo in una fase di collasso dell’ordine globale e nessuno sa come ricostruirlo.