Tel Aviv, 4 gen – Solo poche persone hanno il permesso di entrare o avvicinarsi alla stanza 10 del Dipartimento di Riabilitazione Respiratoria dell’ospedale Tel Hashomer, nei pressi di Tel Aviv. All’interno della camera si trova, esattamente da due anni, l’ex primo ministro israeliano Ariel Sharon, ridotto in coma profondo da una emorragia cerebrale che lo ha colpito il 4 gennaio del 2006. I suoi figli, Guilad e Omri lo vanno a trovare ogni giorno e sono loro a filtrare le visite di amici e parenti. “Oggi è un giorno in più – ha dichiarato Omri ai media israeliani – la data più importante sarà il giorno in cui si risveglierà”. Questa speranza non è condivisa da molte altre persone. Sharon si trova da due anni, tra la vita e la morte, in uno stato di coma profondo. Anche se i medici dell’ospedale continuano a sottoporlo ad un intenso programma di riabilitazione, non sono ottimisti: “C’è ma non c’è” hanno spiegato. Intorno a questo famoso paziente si muovono una quantità di infermieri, specialisti e soprattutto di guardie del corpo. Perché la sua storia politica impone misure di sicurezza anche adesso che è costretto a dormire in un letto d’ospedale. Ariel Sharon è considerato un eroe in Israele e un criminale nei Territori Occupati palestinesi. Prima di diventare primo ministro è stato un militare, un generale che ha combattuto le più importanti guerre territoriali israeliane: la Guerra dei Sei Giorni del 1967 - grazie alla quale Israele occupò i territori palestinesi, il Sinai egiziano e le Alture del Golan siriane – e la Guerra del Kippur del 1973 contro l’Egitto finita con un negoziato di pace. E’ stato il primo ministro ideatore del ritiro dei coloni israeliani dalla Striscia di Gaza, nell’agosto del 2005, una scelta accolta con entusiasmo dalla comunità internazionale ma molto contestata in patria e che egli definì “la più difficile della mia vita”. E’ stato ancora a lui a spaccare nel 2006, il suo partito di governo il Likud, uscendone senza esitare per formarne uno nuovo, Kadima, che ha portato alla vittoria elettorale nel marzo del 2006, isolando i suoi nemici e superando le guerre intestine e le contestazioni interne che seguirono il ritiro israeliano da Gaza. Il suo grande rivale palestinese Yasser Arafat disse una volta che “nonostante il sangue che ha nelle mani, Sharon è un generale come me. Credo che potremmo arrivare ad un accordo”. L’accordo non è mai arrivato e per i palestinesi Ariel Sharon è ancora oggi un criminale di guerra. Fu lui a scatenare la seconda intifada nel settembre del 2000 con una “passeggiata” sulla Spianata delle Moschee di Gerusalemme, luogo sacro per i musulmani. Fu ancora lui, nel 2003, ad avviare i lavori di costruzione del muro in Cisgiordania - considerato dagli israeliani una difesa contro gli attacchi kamikaze- che divide e imprigiona migliaia di famiglie palestinesi. Nel 2002 Ariel Sharon ha rischiato addirittura di finire davanti al Tribunale dell’Aja per crimini di guerra, accusato di aver spalleggiato il massacro di migliaia di palestinesi dei campi profughi di Sabra e Shatila, compiuto dall’esercito libanese nel 1982, quando Sharon era ministro della Difesa. Tuttavia il processo non è stato mai celebrato a causa della morte del principale accusatore di Sharon, Elie Hobeika, che, responsabile diretto dei massacri, aveva annunciato di voler fare piena luce sui fatti, ma un’autobomba lo uccise pochi giorni prima del processo. A febbraio compirà 80 anni Ariel Sharon. Anche oggi che si trova in coma, è amato da molti e odiato da molti altri. Da qualunque parte la si voglia guardare, la sua storia politica e militare resta una parte cruciale della storia del Medio Oriente.
(Clr)
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