Alcuni giorni fa si è tornati a parlare della massoneria dopo che la Corte europea per i diritti dell’uomo (Cedu) ha ritenuto ingiustificato il sequestro di faldoni contenenti gli elenchi di alcune migliaia di iscritti siciliani e calabresi disposto dalla Commissione parlamentare Antimafia nel marzo 2017 alla loggia massonica del GOI (Grande Oriente d’Italia). E’ stato pure mosso il rilievo che la documentazione sequestrata non sia stata distrutta al termine delle operazioni svolte dalla Commissione e ciò avrebbe rappresentato una interferenza permanente nei diritti del GOI. La Commissione cui si fa cenno era presieduta dall’on. Rosy Bindi e nel febbraio 2018, al termine della Legislatura, elaborò una corposa e articolata relazione (552 pagine), approvata all’unanimità il 21 dicembre 2017, riservando un capitolo al rapporto tra “mafia e massoneria” (soprattutto in Sicilia e Calabria) ed in particolare “..non della massoneria come fenomeno associativo in sé, ma della mafia e delle sue infiltrazioni nelle associazioni di tipo massonico”, tema già emerso da tempo in inchieste parlamentari (P2, IX legislatura; antimafia, XI legislatura) e in procedimenti penali. Da tempo immemorabile, dunque, la mafia coltiva un accentuato interesse nei confronti della massoneria che ha sempre dimostrato una certa “tolleranza” e anzi quando le infiltrazioni mafiose sono state accertate a livello organizzativo “..la scelta dello scioglimento delle logge non ha impedito, anzi ha favorito, il transito dei membri in altre articolazioni della medesima “obbedienza”, senza contare che persino le sentenze penali di condanna per fatti di mafia, sono rimaste spesso ignorate dalle “obbedienze” massoniche che non le hanno considerate un pericolo. Questa tolleranza si riscontra nella ostinazione della massoneria a mantenere caratteristiche strutturali e organizzative similari a quelle della mafia, su tutte il dovere di segretezza che caratterizza l’associazionismo massonico, con stretti vincoli gerarchici e di “fratellanza” ed il rifiuto della “giustizia profana”, cioè quella di Stato a favore della giustizia massonica riguardo a contenziosi fra massoni. E’ il segreto che agevola l’incontro tra mafia e massoneria “con la parvenza della liceità” sottolinea la Commissione nella relazione del 2018 ricavabile dalla collocazione della massoneria tra le associazioni di cui all’art.36 del Codice Civile tutelate dall’art. 18 della nostra Costituzione. Ma l’art. 18 non è stato mai attuato nella parte in cui prevede (comma 2) il divieto di associazioni segrete, atteso che la legge 1982/17 ha previsto la sanzione penale e amministrativa soltanto per quelle che non solo siano improntate al carattere della segretezza, ma siano connotate da un ulteriore requisito (non previsto dalla Costituzione) ossia lo svolgimento di attività dirette a interferire sull’esercizio delle funzioni di organi costituzionali o di amministrazioni pubbliche. Questione sempre rinviata (o ignorata) sulla quale la Commissione Bindi nella parte della relazione riservata alle conclusioni e proposte auspicava una previsione di legge che chiarisse definitivamente le caratteristiche fondamentali che le associazioni segrete, anche quando perseguano scopi leciti, sono vietate in quanto tali perché pericolose per la realizzazione dei principi della democrazia. L’auspicio formulato dalla Commissione al Parlamento di giungere alle opportune modifiche della legislazione vigente è rimasto lettera morta e credo che lo sarà ancora per molto tempo.
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