Tutto ciò che sta cambiando nei nostri stilemi comunicativi non è dovuto – come in passato – solo ad un avvicendamento generazionale. L’irrompere della tecnologia e ciò che inizia ad emergere con le applicazioni dell’intelligenza artificiale recano il senso di una sorta di rivoluzione sintattica, semantica e simbolica nell’uso delle parole fino alla loro sostituzione con nuove espressioni lessicali. Mettiamoci un attimo nei panni di quel docente che – ritirando i temi assegnati ai suoi alunni – si è accorto che la quasi totalità degli svolgimenti era stata fatta utilizzando ChatGPT: un’applicazione basata su intelligenza artificiale e apprendimento automatico, sviluppata da OpenAI e specializzata nella conversazione con un utente umano che ha mostrato notevoli capacità nel generare un testo simile a quello usato dalle persone. Credo che avremmo conferma della pervasività dei sistemi informatici e del fatto che gradualmente hardware e software si avvieranno a sostituire la logica del ragionamento pensato, come scrive il Prof Vittorino Andreoli usando il cervello che teniamo in tasca piuttosto che quello che abbiamo in testa (“L’uomo col cervello in tasca”, Solferino) . Un recente Rapporto OCSE sulle competenze cognitive degli adulti ha evidenziato una carenza di comprensione di un testo (literacy), nella logica matematica semplice (numeracy) e nel problem solving, che piazzano l’Italia al quartultimo posto tra i Paesi industrializzati.
Per comprendere il portato di questa carenza non è necessario considerare le più sofisticate applicazioni delle tecnologie o immaginare scenari distopici dove l’uomo lentamente sarà prima affiancato poi superato dai prodotti delle applicazioni che lui stesso sta generando. Basta osservare i comportamenti degli adulti ma anche degli adolescenti, persino dei bambini, per capacitarsi di quanto pervasiva e per certi aspetti rivoluzionaria sia l’irruzione degli strumenti dell’innovazione scientifica nella quotidianità ma anche il loro uso smodato. Maneggiando un qualunque smartphone o tablet si può accedere ad un universo sconosciuto, moltissime e sempre più avanzate sono le applicazioni che ci permettono di navigare in un mondo simbolico sconfinato.
E’ certamente arduo il compito delle famiglie e della scuola nell’educare bambini e ragazzi ad un uso contenuto di questi strumenti avanzatissimi e ad insegnare loro a distinguere il divertimento o l’utilizzo a fini didattici dai pericoli di una navigazione senza controllo nel web. Possiamo anzi dire che al momento sarebbe una battaglia perduta in partenza. Quanto influiscano sugli stili di vita, gli interessi, le curiosità e la frequenza d’uso i canali social è di tutta evidenza: ciò non è tuttavia un criterio di scelta etica che indirizza e direziona queste frequentazioni. Con uno smartphone si possono scaricare informazioni utili, si può comunicare con facilità e in modo veloce, si può studiare o lavorare in videoconferenza, si può acquisire materiale apprenditivo ma – in un caravanserraglio di canali di accesso e fruizione - accade che si incrocino immagini e video di ogni tipo o che si usino gli stessi cellulari per diffondere materiale illecito. Ma anche l’uso più garbato e ortodosso delle tecnologie cambia – non poco – le regole di comprensione e comunicazione: ne deriva che il linguaggio ricorrente diventa specifico e svincolato dall’ortodossia semantica e persino grammaticale.
Subentrano modalità cognitive e codici comunicativi che creano una terminologia diversa dal parlare corrente.
Si sviluppano nuove forme di interlocuzione e ne vengono condizionate negativamente le stesse relazioni interpersonali. La scuola in particolare dovrebbe accogliere ciò che l’innovazione offre in termini di mezzi e dotazioni ma contemperando il nuovo con le radici della tradizione culturale e tenendo ben salde e direzionate le finalità educative. La digitalizzazione pervasiva sta cambiando – non certo in meglio – i metodi di insegnamento-apprendimento dove l’uso dello strumento informatico finisce col prevalere sui contenuti didattici e il senso pedagogico dell’educare e della formazione che nascono dalla considerazione prevalente del fattore umano. Famiglia e scuola devono restare saldamente ancorate ad una prospettiva relazionale e colloquiale, ciascuno rispettando il proprio ruolo, ad es. di genitore e di figlio, di insegnante e di studente. Fermare le derive del progresso tecnologico e dell’innovazione sarebbe come tentare di respingere con le mani la forza di uno tsunami. Ma immaginare che scuola e famiglia diventino contenitori formali di presenze separate tra loro, fino all’isolamento solipsistico sarebbe come accettare una sorta di drammatico abbandono anaffettivo nelle relazioni personali. La lingua si evolve, la stessa Accademia della Crusca e i dizionari cartacei o informatici che siano, inglobano e legittimano i neologismi prendendo atto dell’evoluzione delle parole. Per evitare di salutarci in futuro con un “bit”, in modo arido e privo di empatia, occorre tuttavia tenere saldamente la persona al centro delle relazioni umane, usando codici cognitivi e comunicativi comprensibili e condivisi.
*(da mentepolitica.it )
(© 9Colonne - citare la fonte)