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direttore Paolo Pagliaro

“Observatorium”: l’arte di Elisabeth Scherffig per la prima volta a Bologna

Mostre
Le grandi mostre in programma in Italia e quelle che hanno l'Italia, attraverso i suoi grandi artisti, come protagonista nel mondo. Lo "Speciale mostre" è un viaggio tra capolavori, opere d'avanguardia e sperimentali, pittura e scultura, memoria e identità, storia e filosofia, un tributo all'arte e ai suoi protagonisti e un modo per scoprire quanto di buono fanno le istituzioni nazionali e locali per il nostro patrimonio culturale e di creatività.

“Observatorium”: l’arte di Elisabeth Scherffig per la prima volta a Bologna

Il 18 gennaio è stata inaugurata presso LABS Contemporary Art a Bologna la mostra di Elisabeth Scherffig dal titolo “Observatorium”, visitabile fino al 5 aprile. È la prima mostra dell’artista tedesca ospitata dallo spazio bolognese. Una rassegna con una ventina di lavori datati fra gli anni Settanta e oggi, tesa a indagare la metodologia operativa di Scherffig, attenta indagatrice del mondo circostante attraverso disegno, calco e scultura. La rassegna è curata dalla storica dell’arte Angela Madesani. Nel suo lavoro, l’artista privilegia lo sguardo sullo spazio urbano e sulla natura, che considera un organismo in continua metamorfosi. Indagando tale processo, ha realizzato dei cicli di disegni, alcuni in scala monumentale, di luoghi in trasformazione. Non si tratta di un percorso cronologico, quanto di dialoghi tra opere, in cui è possibile cogliere dei fils rouges che testimoniano la coerenza della sua ricerca. “Observatorium” opera in due sensi: da una parte è relativo all’atteggiamento dell’artista nei confronti del circostante, dall’altra è la possibilità che lo spettatore ha di entrare nella sua ricerca, che richiede attenzione e puntualità. Elisabeth Scherffig è nata a Dusseldorf nel 1949 e vive a Milano dal 1971. Recenti mostre personali: “Contrappunto”, Teatro Massimo e Palazzo Butera, Palermo, 2023 (testo di C. Gulli); “Elisabeth Scherffig”, THE OPEN BOX, Milano, 2023 (a cura di G. L. Marcone); “Le mani sulla città”, Studio Paolo Pessarelli, Milano, 2022 (a cura di A. Madesani); “Sostituzioni”, Casa Museo Boschi Di Stefano, Milano, 2021. Recenti mostre collettive: “Artenumero”, Museo Archeologico Regionale, Aosta, 2024 (a cura di A. Madesani); “Fragmente”, Ribot Gallery, Milano, 2024 (a cura di G. L. Marcone e M. Villa); “ORO&BLU”, Nuova Galleria Morone, Milano, 2022 (a cura di V. Coen). Sue opere saranno esposte nello stand di LABS Contemporary Art ad Arte Fiera, Bologna (7-9 febbraio), a Drawing Now Paris, Parigi (27-30 Marzo) e ad Art Paris, Parigi (3-6 Aprile). (gci)

IL SUD PONTINO RACCONTATO DA DONNE DI EPOCA GRECO-ROMANA

Si tiene dallo scorso 16 gennaio fino al 2 febbraio, nella prestigiosa sede del Museo Duilio Cambellotti di Latina la mostra “Livia e le altre raccontano storie di donne, tra miti e leggende, alla scoperta del sud pontino”; dopo il successo della prima mostra diffusa nel basso Lazio, del 2024, che ha visto coinvolti contemporaneamente i Musei Archeologici di Minturno, Formia, Sperlonga, Fondi e Priverno in una narrazione al femminile di storie antiche ma quanto mai moderne, volte a valorizzare l’ampio territorio del sud pontino. Sessanta figure femminili del periodo greco-romano, interpretate in altrettante creazioni sartoriali realizzate dalla stilista Lisa Tibaldi Grassi per l’associazione #AmolamiaTerra Aps Ets, raccontano la loro storia, la magia del museo e più ampiamente dei territori del sud pontino a cui sono legate, attraverso l'utilizzo di pannelli e una narrazione multisensoriale e multimediale in doppia lingua, con sottotitoli, realizzata con l'uso di QR code e di video. Spazio è stato dato anche all’esperienza tattile e olfattiva attraverso postazioni dedicate, il tutto in un’ottica inclusiva anche nel rispetto di diverse disabilità. In un viaggio simbolico e fisico, risalendo la Via Appia e il percorso della Via Francigena, le sessanta donne hanno lasciato la loro terra facendo tappa a Latina, che oggi rafforza con vigore il suo ruolo di capoluogo di provincia e di città finalista della Capitale della Cultura 2026, prima di giungere a Roma “Caput Mundi” dell’antichità e protagonista della bellezza della contemporaneità. In questa edizione, importante è stata la collaborazione con diversi licei del territorio: dal Teodosio Rossi di Priverno che ha curato il design di alcuni allestimenti, al Liceo Michelangelo Buonarroti di Latina che ha realizzato per l'occasione una statua ispirata a Livia, partecipando, inoltre, alla fase di allestimento dell'esposizione. Partner dell'evento: la Direzione regionale Musei nazionali Lazio, con il Parco archeologico della Villa di Tiberio di Sperlonga, il Parco archeologico di Minturnae e il Museo archeologico nazionale di Formia, la Provincia di Latina, il Comune di Latina, il Comune di Priverno con il Museo Archeologico, il Comune di Fondi con il suo Museo Archeologico, i Musei in rete. Patrocini dell’evento: Regione Lazio, CCIAA di Frosinone e Latina, l’Azienda Speciale Informare, l’Università Sapienza, il Parco Riviera di Ulisse e la Compagnia dei Lepini. (redm)

L’ITALIA E LA SUA BIODIVERSITA’ IN ESPOSIZIONE A ROMA

La biodiversità in immagini: dallo scorso 20 gennaio fino al 30 aprile si tiene a Roma, nella sede del Consiglio Nazionale delle Ricerche, la mostra “Il paese della biodiversità. Il patrimonio naturale italiano” di National Geographic Italia e National Biodiversity Future Center (NBFC), il primo centro di ricerca italiano sulla biodiversità, in collaborazione con il CNR. Il percorso espositivo multimediale, a ingresso gratuito su prenotazione, presenta in 5 sale, fotografie che descrivono la stupefacente biodiversità italiana e testimoniano l’importanza di preservarla. Una cinquantina di scatti di The Wild Line - il collettivo di fotografi naturalistici composto da Marco Colombo, Bruno D’Amicis e Ugo Mellone - selezionati da National Geographic, raccontano il lato selvaggio del nostro paese, esplorando il legame tra la sua biodiversità, le attività umane e le conseguenze dei cambiamenti climatici. Anche grazie alla sua peculiare posizione protesa nel Mediterraneo, alla sua geomorfologia, alla straordinaria diversità di habitat che ospita, e ancora al fatto di trovarsi sulle importanti rotte migratorie di molte specie di uccelli tra l’Africa e il Nord Europa, l'Italia è il paese europeo con la più grande varietà di specie viventi e il più alto tasso di specie endemiche, ma molti non sanno che più del 50% delle specie vegetali e il 30% delle specie animali sono presenti esclusivamente nel nostro paese. La posizione privilegiata dell’Italia, d’altra parte, la espone però a significativi rischi legati al cambiamento climatico, con l’intera area mediterranea considerata un hotspot. Siccità e desertificazione nelle regioni meridionali, aumento della temperatura del mare e incremento degli eventi meteo estremi sono tutti elementi che possono concorrere ad alterare ecosistemi fragili, spesso già sotto pressione per l’impatto delle attività umane. Il National Biodiversity Future Center ha identificato nella conservazione della biodiversità vegetale e animale una delle sfide più cruciali per l'Italia e l'intero bacino del Mediterraneo, che ospita ecosistemi gravemente compromessi (oltre il 30%). La protezione degli ecosistemi e delle specie in pericolo è una sfida che riguarda tutti. Fondamentale il coinvolgimento dei cittadini con progetti di citizen science. Il potere evocativo delle straordinarie immagini esposte in mostra invita i visitatori a riflettere sulla ricchezza e sulla fragilità degli ecosistemi italiani e sull’urgenza di adottare strategie per conservare gli habitat naturali. Dalle piante agli invertebrati, dagli uccelli agli animali acquatici, ad alcuni dei mammiferi più iconici del nostro patrimonio naturalistico, ogni fotografia è il racconto di una specie, del suo comportamento, dei rischi a cui è sottoposta. L’esposizione mira a sensibilizzare il vasto pubblico sui temi ambientali, partendo dai più giovani. Sono infatti previste anche visite guidate per le scuole, con attività didattiche pensate per diverse fasce d’età e livelli di istruzione. “La tutela dei nostri ecosistemi passa non soltanto dall’impegno del mondo scientifico o dalla messa a punto di tecnologie di ripristino e prevenzione, ma anche da una cultura della biodiversità, estesa e trasversale a tutta la società. Pertanto, il nostro augurio è che quante più persone possibile - cittadini, famiglie, studenti - colgano l’occasione per entrare in un luogo del sapere quale è il Consiglio Nazionale delle Ricerche, e scoprire attraverso questa mostra il vasto mondo della biodiversità e l’affascinante complessità di questo ambito di studio” spiega Maria Chiara Carrozza, presidente CNR. “Questa mostra è, prima di tutto, un piccolo racconto della ricchezza del nostro patrimonio naturale, che ritrae specie iconiche come l’orso marsicano, il lupo, la lince, ma anche animali di cui molti di noi non conoscono nemmeno l’esistenza e che pure hanno un ruolo cruciale nei nostri ecosistemi. In questo senso, il messaggio che racchiude è che la natura va salvaguardata nel suo insieme, nella sua complessità, e che la biodiversità del nostro paese è un capitale di valore inestimabile”, afferma Marco Cattaneo, direttore di National Geographic. “L’importanza della mostra è nel valore in sé della stessa e negli obiettivi di comunicazione scientifica che si pone. In particolare, attraverso di essa tante ragazze e ragazzi delle nostre scuole si avvicineranno alla scoperta della natura, svilupperanno curiosità per lo studio scientifico e per la tutela della biodiversità, come sancito dall’art 9 della nostra Costituzione”, dichiara Luigi Fiorentino, presidente NBFC. Marco Colombo (1988) è laureato in Scienze Naturali e si occupa di divulgazione scientifica. Collabora con GEO (Rai 3) e con riviste come National Geographic Italia e BBC Wild Life, così come con università e aree protette. Autore di 12 libri, ha scoperto una nuova specie di ragno in Sardegna e le sue foto sono state premiate al Wildlife Photographer of the Year in varie occasioni. Bruno D’Amicis (1979) vive all’ombra dell’Appennino, ma lavora spesso all’estero. È laureato in Scienze Biologiche e le sue immagini sono state premiate (World Press Photo, Wildlife Photographer of the Year) e pubblicate (National Geographic, GEO, Smithsonian) in tutto il mondo. Ha realizzato sette libri, tre documentari e ideato diversi progetti di divulgazione e conservazione. Ugo Mellone (1983) vive tra Spagna e Italia, lavorando spesso anche in Sud America. Ha ottenuto il dottorato di ricerca studiando le immigrazioni di rapaci tra Mediterraneo e Africa. È stato premiato al Wildlife Photographer of the Year e i suoi progetti fotografici, sostenuti anche dalla National Geographic Society, sono stati pubblicati nelle principali riviste e in tre libri fotografici. (red)

“ANIME”: L’ARTE DI DANIELA VOLPI RACCONTA LA FIGURA FEMMINILE

Daniela Volpi torna a Brescia con la mostra personale “Anime”, dedicata alla figura femminile indagata nella sua essenza più pura e libera dal vincolo dei canoni estetici imposti dalla società contemporanea. L’esposizione di opere, organizzata in collaborazione con l’Associazione Nazionale Italiana Mestieri e Arti - ANIMA e curata da Ivan Quaroni, sarà visitabile presso la Sala Mazzotti del Museo Mille Miglia di Sant’Eufemia della Fonte (Brescia) dal 24 gennaio al 2 febbraio, con ingresso libero dalle 10 alle 18. Con la mostra "Anime", l’artista evoca la bellezza più intima e autentica dell'essere umano, scrigno di fragilità ed energie rappresentate nelle dieci opere in catalogo, di cui la metà realizzate appositamente per l’esposizione. La produzione di Volpi è rappresentata da una combinazione di approcci, con opere realizzate esclusivamente con tecnica ad olio alternate ad altre eseguite invece con tecniche miste. Daniela Volpi mira a dare dignità e gloria al “percepito”, esortando il visitatore a concedersi tempo per fermarsi e riflettere, in modo da favorire un’esperienza di dialogo tra l'osservatore e il dipinto, dove la possibilità di "vedere" realmente l'altro diventa tema centrale. La mostra invita così a esplorare le relazioni personali, spesso complicate da un sempre più diffuso approccio materialistico che ne sveste la sostanza, rendendo l’essere umano non più un mezzo ma un mero fine da raggiungere. Le opere di Volpi, caratterizzate da pennellate larghe e generose, danno vita ai volti femminili che sembrano emergere dalla tela, comunicando emozioni e storie in un'interazione continua tra il sentire interiore dell'artista e quanto viene rivelato dall’opera. Dopo una lunga esperienza professionale nel campo della pedagogia, Daniela Volpi ha trasformato la passione per l'arte nella sua attività professionale: “La mia formazione pedagogica ha avuto un ruolo determinante nella mia evoluzione artistica. I bambini hanno questa capacità di fermare lo spazio e il tempo, lasciandosi incuriosire dalle piccole cose di cui sanno scoprire l’intrinseca bellezza. Questo processo, questa capacità di osservare in maniera sensibile, assomiglia moltissimo a quanto viene affrontato dall’artista nel corso della propria ricerca”. Inizialmente spinta dalla curiosità e dalla ricerca, oggi l'artista incorpora la consapevolezza come nuova dimensione a guida del suo intento comunicativo. In questo modo, le sue opere veicolano un dialogo profondo che, evolvendo, restituisce forma e colore alle emozioni. Daniela Volpi è laureata in pedagogia, ambito in cui è stata impegnata professionalmente per diversi anni per poi dedicarsi alla pittura a tempo pieno. Ha cominciato fin da piccola a interessarsi al disegno e alla pittura nello studio d’arte dello zio, frequentando poi corsi di perfezionamento presso l'Accademia di Belle Arti Carrara di Bergamo e affinando la sua tecnica nel laboratorio del maestro Elio Maffeis. “Anime” è la sua settima mostra personale. (gci)

“L’ANGELO NECESSARIO”: ESPOSTI DISEGNI E SCULTURE DI GIACINTO CERONE

A vent’anni dalla sua scomparsa, dallo scorso 18 gennaio al 27 aprile, il MIC di Faenza (RA) dedica all’artista Giacinto Cerone (1957-2004) - di cui possiede diverse opere nella propria collezione - una grande mostra dal titolo "L’Angelo necessario" a cura del critico d’arte Marco Tonelli che “riscopre” l’artista e raggruppa oltre quaranta sculture di vari materiali e periodi, più una serie di oltre trenta disegni (alcuni di grande formato). Giacinto Cerone è stato uno dei più originali e liberi scultori italiani, lontano da raggruppamenti, scuole, movimenti, stili o mode del momento. L’irruenza del suo linguaggio si misura a partire dai differenti materiali impiegati sia nella produzione scultorea (legno, ceramica, plastica, metallo, marmo, gesso, pietra) che in quella disegnativa, per lo più indipendente dalla realizzazione delle opere plastiche, oltre che nell’uso di tecniche legate alla velocità e alla gestualità. Faenza è stata per Cerone una meta preferenziale fin dal 1993, quando cioè presso la bottega Gatti ha realizzato una serie di ceramiche smaltate utilizzando tecniche di lavoro forse poco ortodosse ma di forte espressività e sperimentando un grande varietà di colori e forme. La mostra privilegia il modo stesso di operare di Cerone: per serie tematiche (come nelle rosse Malerbe, i Fiumi vietnamiti, i Gessi) o per singole opere dal carattere emblematico e per certi versi iconico e funerario (come Cenacolo e Ofelide). È in questa tensione che si gioca, nella diversità dei materiali, la struttura curatoriale della mostra "L’Angelo necessario", quella sorta di “figura approssimativa”, “intravista, o vista un istante” descritta dal poeta statunitense Wallace Stevens e spesso delineata in modo inafferrabile nelle imperfette e liminali figure della statuaria interrotta di Cerone. La mostra realizzata col coordinamento scientifico dell’Archivio Cerone e il sostegno di collezionisti privati vuole delineare la figura di uno scultore a tutto tondo e di una scultura totale (capace di distendersi orizzontalmente o addossarsi alle pareti), senza resti, di un artista attento anche al modo di installare le proprie esposizioni come fossero esse stesse opere in sé. L’allestimento della mostra "L’Angelo necessario", intende così riflettere il procedere di Cerone come fosse un gesto unico, senza soluzione di continuità tra materia e forma, vita e morte, pur nella diversità dei materiali e delle “sale” tematiche ricreate sfruttando la configurazione stessa dello spazio espositivo. “Giacinto Cerone ha affrontato nella sua intera opera temi contrastanti - dichiara Marco Tonelli - e profondi della nostra cultura: la vita e la morte, la ferita e la bellezza, l’abbandono e la reazione, simboleggiati da figure rotte, ricomposte, totemiche e funerarie, elegiache e impulsive, rigide e vitali. Potremmo leggere la sua produzione come un sismografo di inquietudini private e ansie collettive, spesso rimosse per quieto vivere o soffocate da apparati normativi. Il suo è stato un atto totale che, come scriveva Carmelo Bene riferendosi ai geni creativi, era anche ‘giocare altrove’, soprattutto per chi voglia ancora oggi comprenderlo e condividerne le sollecitazioni esistenziali”. Gruppi di disegni raccolti lungo il percorso, gigantografie dell’artista al lavoro con legno, ceramica, gesso e un video che raccoglie materiali documentari su di lui e interviste inedite, oltre a numerose opere mai esposte, completano un ambiente di richiami, contrasti, interruzioni e saldature che rendono l’idea del procedere stesso dell’artista, anarchico e istintivo, arcaico e sperimentale, lucido e razionale pur nella sua sintesi plastica emozionale, inconscia e carica di poesia, come quella da lui letta (tra cui Friedrich Holderlin, Sandro Penna e Dino Campana). In occasione della mostra verrà pubblicato un catalogo edito da Corraini, con testi di Claudia Casali (direttrice del MIC), Marco Tonelli (curatore della mostra) e apparati di Elena Cavallo (moglie dell’artista e responsabile dell’Archivio Cerone). Giacinto Cerone nasce a Melfi (PZ) nel 1957. Nel 1979 termina gli studi presso l’Accademia di Belle Arti, Roma. Nel 1983 Giuseppe Appella lo porta a Castronuovo S. Andrea (PZ) per la sua prima personale. Gli Anni ’80 sono caratterizzati da una ricerca continua sui materiali per la scultura con opere in legno e in gesso. Il legno, come materiale da rinnegare nella sua naturalezza, viene avvolto nel cemento, il gesso è il materiale originario per una scultura pura. Negli stessi anni, la curiosità verso il metallo lo porta a realizzare lavori in alluminio e in ghisa. 1987: realizza le prime due opere di ceramica in una piccola fornace di Vicolo del Moro, Roma. Agli inizi degli Anni ’90, il desiderio di rivivere i luoghi di Arturo Martini e Lucio Fontana, lo porta ad Albisola, presso le Ceramiche San Giorgio. Mauro Zammataro e Corrado Bosi (Graffiti Now Atelier, Verona) con la collaborazione di Roberto Monti rendono possibile la realizzazione del primo gruppo di sculture in ceramica. 1993: parte per Faenza. Maurizio Corraini gli commissiona una produzione di sculture in ceramica, mettendolo in contatto con Davide Servadei. Da questo momento le opere in ceramica verranno eseguite sempre presso la Bottega Gatti. Dello stesso anno è la prima personale romana (Galleria Bonomo, Roma). 1994: nasce una prima serie di opere in moplen e gesso ispirate a “Ofelia”, tema ricorrente nella poetica dell’artista e che ritroveremo anche nelle prime litografie prodotte presso la Bottega Bulla, Roma, 1998. Realizza, per Valentina Bonomo, “Le rose” (esemplari unici), primi gioielli in ceramica. 1996: inizia ad usare i merletti sulla ceramica, sulla plastica e sulle opere in gesso. Le sculture sono “popolate” da icone provenienti da stampi di oggetti (giocattoli, verza, acanto, carciofo, in una evocazione del ready-made duchampiano), nonché dalle citazioni di versi dei poeti a lui più cari (Holderlin, Penna, Rilke, ecc.) di cui tutta la sua scultura si è nutrita negli anni. Si definisce l’idea della scultura orizzontale: Omaggio a Pino Pascali, lastra in gesso compressa in una stanza; San Savino e le lastre in ceramica per Paginette faentine; “il grande carciofo dormiente”, vero monumento all’orizzontalità, opera in gesso realizzata per Tor Bella in Opera, Roma 1999. Nello stesso periodo nascono quelle che lui chiamava “urne cinerarie” in ceramica per David Gill Gallery, Londra 2000. Espone i Calici Piangenti (Palazzo delle Esposizioni, Faenza 2001). In questa occasione conosce Emilio Mazzoli per il quale realizza le prime ed uniche opere in marmo. Sant’Agnese (Autori Cambi, Roma, 2002) e Donne per la storia, (Gasparelli Arte Contemporanea, Fano, 2002), sono l’occasione per sublimare la sua visione del Barocco e del “mito nella storia”. Febbraio 2004: Alberto Zanmatti lo invita a realizzare un intervento scultoreo presso la Facoltà di Architettura Valle Giulia, Roma. Una Sposa Infelice a Valle Giulia è l’ultima sua opera. Muore a Roma nel 2004. (gci)

NELLA FOTO. Elisabeth Scherffig, Observatorium, Installation view, LABS Contemporary Art

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