Un’esposizione per raccontare Che Guevara: il Museo Civico Archeologico di Bologna ospiterà, dal 27 marzo al 30 giugno, la mostra “CHE GUEVARA tu’ y todos”, un viaggio nella storia e nella vita di un uomo che ha segnato profondamente l’immaginario collettivo di intere generazioni, divenendo l’icona stessa del rivoluzionario, Ernesto Guevara de la Serna, universalmente conosciuto come Che Guevara. Gli spazi del museo bolognese accoglieranno una significativa parte del vasto repertorio fotografico e documentaristico inedito dell’archivio del Centros de Estudios Che Guevara a L’Avana. La mostra offrirà al pubblico l’opportunità di esplorare, grazie a strumenti digitali e interattivi, i momenti cruciali della vita di Che Guevara, permettendo di scoprire la sua umanità, i suoi ideali e i suoi legami affettivi. Saranno contestualizzati gli eventi storici e geopolitici di un periodo cruciale, dagli inizi degli Anni ‘50 alla fine degli Anni ‘60 che ha profondamente influenzato più generazioni. La mostra, ideata e realizzata da SIMMETRICO Cultura, è curata da Daniele Zambelli, Flavio Andreini, Camilo Guevara e Maria del Carmen Ariet Garcia, con una colonna sonora originale composta da Andrea Guerra. È prodotta da Alma e dal Centro de Estudios Che Guevara, il cui archivio è riconosciuto patrimonio di interesse “Memoria del Mondo” dell’UNESCO nel 2013, in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano, l’Università IULM e il Settore Musei Civici - Museo Civico Archeologico Bologna, con il patrocinio del Comune di Bologna. La realizzazione del progetto ha visto la stretta collaborazione della moglie di Che Guevara, Aleida March, e del figlio Camilo Guevara, scomparso nel 2022, a cui l’intero progetto espositivo è dedicato. Il titolo della mostra riprende un verso intenso e toccante di una poesia che Che Guevara scrisse alla moglie Aleida prima della sua partenza per la Bolivia, dove fu catturato e assassinato il 9 ottobre 1967, dopo un lungo interrogatorio. Questo titolo sottolinea l’intento della mostra: restituire una dimensione intima e consapevole alla figura di Ernesto Che Guevara, distaccandola dal mito del guerrigliero intransigente e senza paura, costruito dai media dell’epoca, sia a favore che contro a seconda dello schieramento politico di appartenenza. La mostra racconterà l’uomo, il personaggio politico e il contesto storico in cui visse, attraverso oltre 2.000 documenti inediti, tra cui lettere, appunti, diari, fotografie scattate da lui stesso, immagini ufficiali e private, scritti autografi e video dell’epoca. L’esposizione si rivolge a un pubblico ampio e trasversale, con l’obiettivo di raccontare una figura iconica e contemporanea come quella di Che Guevara. La mostra pone il visitatore al centro, coinvolgendolo direttamente e rendendolo parte attiva dell’esperienza, attraverso un approccio innovativo alla divulgazione, il percorso mira a creare una connessione emotiva con i visitatori, proponendo una riflessione su tematiche ancora attuali. La visita non sarà un percorso passivo, ma un’esperienza vissuta attivamente, in cui il pubblico si sentirà parte integrante del racconto. Il percorso della mostra è strutturato in tre livelli narrativi, ciascuno dei quali utilizza soluzioni multimediali specifiche e mirate, di particolare efficacia comunicativa. Il primo livello narrativo, di stampo giornalistico, introduce immediatamente il visitatore al quadro geopolitico dell’epoca, ponendo le basi per comprendere il contesto in cui Che Guevara ha vissuto e agito. Il secondo livello, di natura biografica, presenta materiali d’archivio inediti che ripercorrono gli eventi pubblici e privati della vita di Che Guevara: dai suoi celebri discorsi ufficiali alle riflessioni sull’educazione, la politica estera, l’economia, il significato della rivoluzione e la speranza nell’“Uomo Nuovo”. Il terzo livello, più intimistico, si sviluppa attraverso frammenti dei suoi scritti personali, come diari e lettere ai familiari e agli amici, fino alle registrazioni inedite delle poesie che Guevara compose per la moglie Aleida. Questo livello rivela i dubbi, le contraddizioni e le riflessioni che caratterizzavano l’uomo dietro il mito. La mostra si apre con una sfida simbolica per il visitatore: superare una “linea gialla”. Una parete a fasce mobili, retroproiettata, mostra immagini edulcorate degli anni ’50 – provenienti da Hollywood, dalla moda e dalla pubblicità delle grandi imprese consumistiche – che all’avvicinarsi del pubblico si dissolvono, rivelando un’altra realtà: quella della povertà, delle malattie, delle ingiustizie sociali e della mancanza di libertà, con un semplice passo riviviamo lo sconcerto del giovane Ernesto di fronte alla sofferenza degli ultimi e degli emarginati nei suoi viaggi in America Latina prima di diventare “Il Che”. Rientrando in Argentina, Ernesto annota: “Il personaggio che ha scritto questi appunti è morto quando è tornato a posare i piedi sulla terra d’Argentina, e colui che li riordina li ripulisce: “io”, non sono io; perlomeno non si tratta dello stesso io interiore. Quel vagare senza meta per la nostra “Maiuscola America” mi ha cambiato più di quanto credessi”. (Ernesto Guevara in Notas de viaje. 1952). Superata questa soglia, il visitatore intraprende un viaggio nella vita di Ernesto Guevara, divenuto “El Che”. Centinaia di pensieri, diari e lettere permetteranno di esplorare in modo approfondito una delle personalità più complesse e influenti del XX secolo. La narrazione si snoda lungo una linea temporale arricchita da immagini storiche, filmati e registrazioni di discorsi, dal 1959 – “Anno della Liberazione” di Cuba – fino al 1967, l’anno della missione in Bolivia, l’ultima avventura. Tre installazioni speciali, disseminate lungo il percorso, permettono al pubblico di incontrare non solo il personaggio storico, ma anche l’uomo, con le sue riflessioni e le sue emozioni. La mostra si conclude con un’installazione multidimensionale, realizzata dall’artista americano Michael Murphy, pioniere della Perceptual Art. L’opera, intitolata Che: ritratto di Ernesto Guevara, è una ricostruzione tridimensionale del celebre ritratto del Che, capace di trasformarsi nella sua altrettanto iconica firma. (gci)
PER LUIS GOMEZ ARMENTEROS LA DOPPIA PERSONALE A MILANO E BERGAMO
A febbraio 2025, l’artista cubano Luis Gomez Armenteros sarà protagonista di una doppia personale dal titolo “Comanche (The enemy of everyone)”, curata da Giacomo Zaza. L’evento, promosso dalla Fabbrica del Vapore e dal Comune di Milano in collaborazione con U-ART-P di Bergamo, si terrà in due sedi, a ingresso gratuito: dal 18 febbraio al 5 aprile presso la Fabbrica del Vapore di Milano e dal 22 febbraio al 20 aprile nello spazio The Place di Bergamo. Luis Gomez Armenteros è stato ospite, nel 2023, dell’importante progetto di residenze d’artista curato da Giacomo Zaza, dal titolo “Futura. Arte come risorsa esplorativa. Interagire. Deviare. Attestare, presso la Fabbrica del Vapore”. Durante questa esperienza, l’artista ha preso parte a un laboratorio creativo tra generazioni e prospettive diverse, costruendo momenti di esplorazione collettiva e riflessiva. Questa sinergia con gli spazi e i contesti della Fabbrica del Vapore ha posto le basi per il progetto espositivo “Comanche”. La mostra dislocata in due sedi, con opere installative e site-specific, vuole creare un laboratorio progressivo nel quale adoperare vari media mettendo a confronto l’arte, il ruolo dell’artista, la società e le inevitabili questioni che circondano l’arte e le forme di consumo. Il progetto espositivo, che comprende anche una breve residenza dell’artista nel mese di febbraio 2025, pone attenzione sugli stimoli che può dare la componente concettuale ed elaborativa dell’arte al giorno d’oggi. Gli elementi iconografici provenienti da vari contesti, nel caso dell’opera di Luis Gomez Armenteros, sono peculiari di un processo mentale e di una interazione con il contesto (in questo caso quello della Fabbrica del Vapore) e possono diventare “angoli” percettivi di un diverso spazio immaginativo messo a disposizione per un largo pubblico. Tale spazio si rivolge innanzitutto al ruolo dell’artista nell’attualità che viviamo e al senso dello sguardo sull’arte. Da sottolineare in questo progetto l'importanza della ricerca e della collaborazione (o condivisione degli scenari culturali) come momento essenziale per il concepimento di due mostre personali di Luis Gomez Armenteros. Difatti, a una prima fase teorica di valutazioni e indagini sul campo, segue una fase operativa di mostre e incontri per la Fabbrica del Vapore a Milano e per U-ART-P a Bergamo (presso lo spazio The Place). Il progetto scandito da due mostre s’interroga sul significato dell’arte e sulle condizioni della pratica artistica in una società attraversata tanto da inquietudini e chiusure quanto da accelerazioni e sconfinamenti. Ma soprattutto mette in luce una pratica intermediale che trae ispirazione da molte discipline - dalla sociologia alla letteratura, dall’economia politica alla ricerca tecnologica e comunicativa - ponendosi sullo stretto confine tra relatività e finzione, immaginario collettivo e false verità. La poliedricità del medium e delle connessioni semantiche in Luis Gomez discute la definizione di ciò che è arte al di fuori di una visione egemonica della stessa. L’aspetto più importante della sua pratica è la contaminazione dei diversi rami creativi: una continua variazione e integrazione mediale. Uno spirito meticcio che pervade l’intera sua opera. Il medium per Gomez è uno strumento che possiede un carattere attivo, performativo e formativo. La sua “rimediazione” è ampissima: dalla fotografia al video, dal disegno alla pittura e scultura, dagli interventi nello spazio alla stampa di cartoline e biglietti da visita, e altro ancora. Le tecniche si compenetrano: l’uso dell’alta tecnologia con la bassa definizione e il found footage. Nelle due sedi (Milano e Bergamo) l’artista presenterà una selezione di opere, alcune inedite e altre distinte nell’ultimo decennio da una incredibile “libertà di coscienza” e un’analisi dei meccanismi contradditori della sfera artistica. In mostra vedremo Exclusion por silencio, Geist, Even if we are not here, Trata o tratado, A Fuzzy Guy. Percorsi dediti alla propulsione di pensieri visivi. Completano il progetto, alcuni talk in Fabbrica del Vapore e U-ART-P di Bergamo, durante il periodo espositivo, e un libro monografico su Luis Gomez Armenteros con testi inediti di Giacomo Zaza, Maria Fratelli, Michela Casavola, Jorge Fernandez Torres, Suset Sanchez, Omar-Pascual Castillo. Luis Gomez Armenteros nasce a La Habana nel 1968. Nel 1980 s’iscrive alla Escuela Elemental de Artes Plasticas, dove è alunno di prestigiosi insegnanti e artisti, tra i quali Juan Francisco Elso Padilla, Emilio Rodriguez ed Eva Rojas. La sua formazione prosegue dal 1983 al 1987 all’Academia de San Alejandro, e all’Instituto Superior de Arte (ISA) dal 1987 al 1992. Nel corso dei primi due anni partecipa a varie mostre, tra cui Raices en Accion, curata da Gerardo Mosquera presso il Museo Carrillo Gil a Città del Messico, e No por mucho Madrugar amanece más temprano presso la Fototeca de Cuba. Nel 1988 prende parte all’azione “La Plastica Joven se dedica al Baseball” a La Habana. In seguito, nel 1990, soggiorna in Messico, dove insieme a Carlos Cardenas e Fernando Garcia espone in gallerie e istituzioni, tra cui La Agencia, NinArt o il Centro Cultural San Angel. Al suo rientro prepara la prima mostra personale, Vision del dolor (1991), al Centro de Desarrollo de las Artes Visuales. La sua opera appare in varie mostre, come la IV Bienal de la Habana, Art in Configura (Germania) e Los Hijos de Guillermo Tell (Caracas e Bogotà). Finanziato dalla Fondazione Peter Ludwig, vince una residenza ad Aquisgrana (Germania) che svolgerà nel 1992. Rappresenta per la seconda volta il suo paese alla Biennale di Venezia nel 2015, mentre l’anno successivo prende parte alla mostra su Cuba. Tatuare la storia al PAC (Padiglione d’Arte Contemporanea) di Milano. Il 2017 è la sua prima mostra personale al Museo Nacional de Bellas Artes di Cuba e alla galleria Diana Lowenstein di Miami. Lavora come professore nell’Instituto Superior de Arte dal 2004 e come ideatore e direttore del Laboratorio di New Media dal 2007. Tiene conferenze, talk e workshop in varie Università e Musei, come l’Universidad Europea di Madrid e l’Universidad de Arte di Malaga, la University of Calgary in Canada e le Università Statali dell’Indiana e dell’Arizona negli Stati Uniti. La sua opera è presente in varie collezioni sia private che pubbliche, tra cui quelle del Museum Ludwig (Germania), del Museo de Bellas Artes (Cuba) e del Wakita Museum (Giappone). (gci)
CATANIA, TORNA “AGATA ON THE ROAD” CON LA QUINTA EDIZIONE
Dal 9 febbraio al 30 marzo torna “Agata on the road”, evento artistico giunto alla sua quinta edizione ideato e realizzato da Fondazione OELLE Mediterraneo Antico ETS, che succede alle celebrazioni per la seguitissima Festa di Sant’Agata a Catania. Interpretando i segni della figura della Santa Patrona della città siciliana attraverso il linguaggio dell’arte contemporanea, il progetto si concretizza quest’anno in una mostra, realizzata con il supporto dei curatori Gianluca Collica e Patrizia Monterosso, che per la prima volta coinvolgerà artisti di diverse espressioni artistiche provenienti da tutta Europa e si svilupperà su tutti i cinque piani della fON Art Gallery, che ha sede ad Aci Castello (CT). “Abbiamo dato vita ad ‘Agata on the road’ nel 2021, in un momento di grande incertezza - dichiara Ornella Laneri, presidente di Fondazione OELLE Mediterraneo Antico ETS - per rappresentare con i linguaggi visivi contemporanei le emozioni che la festa e la sua assenza generavano. Negli anni il progetto si è allontanato dall’approccio documentaristico al culto della Santa, per stimolare e spingere fino agli estremi la ricerca artistica contemporanea”. La mostra, suddivisa in quattro sezioni, Il Contest. Passaggi di stato, Un anno con Agata, L’archivio e Unplugged, presenta una serie di lavori che partono da una rilettura originale dell’idea del culto e dalla tradizione di Sant’Agata, ma allo stesso modo l’arricchiscono con nuovi stimoli. Venti sono gli artisti nella sezione Il Contest. Il tema Passaggi di stato, ideato dal curatore Mario Bronzino, ha consentito ai partecipanti di realizzare una serie di lavori ispirati “agli istanti di trasformazione, quei momenti sottili ma decisivi che influenzano il corso delle cose, dalla fisica al vissuto umano, dalla società all’arte”. La giuria era composta da Mario Bronzino (curatore), Giuseppe Bucaro (Diocesi di Palermo), Efisio Carbone (ISREMUSI), Tania Gianesin (Moleskine Foundation) Francesca Guerisoli (critica d’arte); la qualità delle opere proposte testimonia il processo di ampliamento che la manifestazione sta vivendo, e la provenienza degli artisti racconta l’identità internazionale a cui “Agata on the road” ambisce. Uno sguardo intenso e coraggioso sul panorama contemporaneo che si traduce, per esempio, nella varietà dei medium impiegati dagli artisti vincitori del contest: 9 lavorano con la fotografia (Laura Daddabbo, Giusi Bonomo, Annamaria di Giacomo, Alberto Barazzutti, Mariana Cacciola, Sebastiano Branca, Gaetano Gambino, Gabriele Argentino, Erika Allia), 5 con la pittura (Giuseppe Rametta, Rosa Franceschino, Salvatore Pulvirenti, Agata Bulla, Premiata Ditta, duo composto da Anna Stuart Tovini e Vincenzo Chiarandà), 1 con il video (Giorgia Guaglianone), 1 con le installazioni (Marta Ciolkowska), 2 con i tessuti (Serena Maria Perrone, Adriana Torregrossa), 2 con tecniche miste (Tony Leone, Davide Volponi). Un anno con Agata vede invece al centro i lavori di due artisti, Gaetano Gambino (fotografia) e Luisa Gentile (string art), vincitori del contest dello scorso anno. Le loro opere, frutto di un dialogo creativo con Sant’Agata e la Fondazione OELLE, rappresentano un intenso percorso di ricerca e produzione lungo dodici mesi. L’archivio si compone di una raccolta di opere provenienti dall’Archivio Agata on the road, un patrimonio costruito attraverso acquisizioni, donazioni e prestiti dalle precedenti edizioni del progetto. Infine, Unplugged, novità assoluta dell’edizione 2025, che raccoglie le eterogenee sperimentazioni di un gruppo di artisti a cui è stato chiesto di proporre la propria poetica personale, non direttamente in relazione con il tema agatino, ma con la finalità di dialogare con il territorio e i visitatori in modo diretto, autentico e immediato. Gli artisti coinvolti - Francesco Balsamo (disegno), Fabrice Bernasconi Borzi (scultura), Carmelo Bongiorno (fotografia), Barbara Cammarata (pittura), Giuliano Severini (video) e Michele Spadaro (sound art) - delineeranno quindi uno spazio di libertà creativa, dove ogni opera diventa un “momento unplugged”, inedito, che contribuirà a spostare il focus dell’evento dalla celebrazione religiosa alla ricerca artistica, assoluta e indipendente, complessa e in evoluzione, che rappresenta l’orizzonte verso cui “Agata on the road” si sta orientando. (gci)
A ROMA L’ARTE VISIONARIA DI JAN FABRE
Roma accoglie l’arte visionaria di Jan Fabre, uno dei più grandi innovatori della scena contemporanea, con una mostra che, per la prima volta in Italia, raccoglie i due più recenti capitoli della sua produzione artistica: Songs of the Canaries (A Tribute to Emiel Fabre and Robert Stroud) e Songs of the Gypsies (A Tribute to Django Reinhardt and Django Gennaro Fabre). Artista visivo, creatore teatrale e autore, capace di fondere tradizione artistica, filosofia, scienza e spiritualità in un unico personale universo creativo, Fabre porta alla Galleria Mucciaccia di Roma, dallo scorso 31 gennaio al 1° marzo, un corpus di opere che attraversano l’essenza del pensiero umano, la fragilità della vita e il potere trasformativo dell’arte, “giocando” con la performatività dei materiali, per esplorare temi esistenziali, spirituali e scientifici attraverso un dialogo costante tra corpo, mente e materia. Occasione per immergersi in un viaggio tra simbolismo, innovazione e intimità personale, in un percorso espositivo attraverso il quale Fabre continua a spingere i confini dell’arte reinventando antiche metafore per affrontare questioni contemporanee, la mostra è un’esplorazione del rapporto tra materia e spirito, forte di un uso innovativo di materiali come il marmo di Carrara, il Vantablack (la più nera versione esistente del nero) e i colori a matita e tempera. Il primo capitolo Songs of the Canaries (A Tribute to Emiel Fabre and Robert Stroud) è un tributo poetico alla fragilità della vita, all'inseguimento dei sogni e alla continua ricerca dell'umanità di comprendere il cielo. Fabre esplora queste tematiche attraverso un’installazione composta da opere meticolosamente scolpite in marmo di Carrara e intimi, sorprendenti disegni a matite colorate su Vantablack. Una serie di sculture raffigura canarini appollaiati in cima a cervelli umani, apparentemente in contemplazione dei meccanismi interni della mente. Dettagli come le piume di un canarino - metafora della libertà e della fragilità - o le vene di un cervello si trasformano in una poesia scultorea che armonizza i suoni del cielo con l’eco dei pensieri umani, attraverso titoli evocativi come Thinking Outside the Cage (2024), Sharing Secrets About the Neurons (2024) e Measuring the Neurons (2024). È al centro di questa prima sezione espositiva che si trova la scultura monumentale The Man Who Measures His Own Planet (2024): una figura si erge su una scala, con le braccia tese come a voler misurare l’immensità del cielo. Il cranio aperto rivela una “terra incognita”, quel territorio in gran parte inesplorato che è il cervello, simbolo dell’incessante ricerca dell’artista e dell’uomo per capire l’incomprensibile; il corpo è modellato su quello di Fabre stesso, mentre il volto rimanda al fratello scomparso prematuramente, Emiel, a cui è dedicata la mostra. Questo primo capitolo Songs of the Canaries è anche un omaggio a Robert Stroud, detto “Birdman of Alcatraz”, un prigioniero che divenne un rinomato ornitologo, specializzato in canarini. Per poterli studiare, Stroud riuscì a farsi portare in cella centinaia di questi uccelli, creature che anche in cattività trovavano la forza di cantare e ispirare la mente. Quando fu rilasciato, alla domanda dei giornalisti su cosa avesse intenzione di fare per il resto della sua vita, Stroud rispose: “Misurerò le nuvole”. Il secondo capitolo, Songs of the Gypsies (A Tribute to Django Reinhardt and Django Gennaro Fabre), mescola il jazz e l’arte con la vita personale dell’artista, per esplorare la relazione tra fragilità e creazione in opere sorprendenti che uniscono tradizione iconografica e innovazione contemporanea. Il cuore dell’installazione è costituito da tre grandi sculture di marmo di Carrara in cui Fabre raffigura un neonato fuori scala, suo figlio all'età di 5 mesi e mezzo, ma alto come il padre. Questa seconda sezione della mostra inizia infatti con una nota personale: Fabre ha chiamato il suo primogenito Django Gennaro, dove Django si riferisce a Django Reinhardt, virtuoso chitarrista gypsy jazz belga, acclamato da musicisti di tutti i generi come geniale e innovativo. Reinhardt era riuscito a eccellere e a inventare un genere musicale personale partendo da un grande svantaggio: una grave menomazione alla mano sinistra dovuta a un incidente da ragazzo. Jan Fabre ha scelto di omaggiare queste due importanti figure nella sua vita, fonti di ispirazione per la sua arte. Le delicate forme infantili scolpite incarnano il mistero della nascita e della creazione e sono anche messaggere di partiture musicali jazz, che appaiono sia incise nel marmo sia nei disegni dai colori vivaci, evocando una dimensione giocosa e improvvisata, ispirata alle pitture infantili del giovane Django e ai brani di Reinhardt. Come una partitura musicale multidimensionale che trasporta lo spettatore sulle note dei grandi successi del chitarrista gitano “Minor Swing”, “Nuages” o “Manoir de Mes Rêves”, le opere conducono in un mondo di sogni concreti, di vite fatte d’arte; un lento swing tra l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande, un invito artistico a contemplare la fragilità e lo splendore della condizione umana. La mostra tutta è un inno alla musica, filo conduttore che attraversa entrambe le serie: Fabre intreccia note e immagini, trasformando il gypsy jazz di Django Reinhardt in una colonna sonora visiva, mentre i canarini, simbolo di canto e libertà, diventano messaggeri tra il terreno e il celeste. Nato ad Anversa nel 1958, Jan Fabre è un innovatore di spicco e una delle figure più influenti del panorama artistico contemporaneo internazionale. Contribuendo all’arte visiva, al teatro e alla letteratura, è stato il primo artista vivente a tenere grandi mostre personali in istituzioni prestigiose come il Museo del Louvre di Parigi nel 2008 e il Museo Hermitage di San Pietroburgo nel 2017. Inoltre, è l’unico artista ad aver ricevuto l’onore della Cour d’Honneur del Festival di Avignone per tre edizioni consecutive (2001, 2005 e 2006) e a essere stato incaricato di creare un’opera per la Felsenreitschule al Festival di Salisburgo nel 2007. La mostra, a cura di Dimitri Ozerkov, con contributi di Giacinto Di Pietrantonio, Melania Rossi e Floriana Conte, è accompagnata da un catalogo ricco di analisi critiche e immagini, curato da Melania Rossi e Giovanna Caterina de Feo; un approfondito omaggio alla complessità dell’arte del maestro belga, che intreccia temi personali, simbolici e universali. (red)
“THERMOCENE”: UN PROGETTO TRA ARTE, CLIMA E MUSICA
L’impatto zero non esiste. È da questa premessa che nasce “Thermocene”, una mostra di Giorgio Ferrero, Rodolfo Mongitore (Mybosswas) ed EX., che si svolge in più sedi e in tappe successive. La prima, dal 5 al 30 marzo, tocca la città di Torino, alle Gallerie d’Italia e alle Antiche Ghiacciaie del Mercato Centrale Torino (qui, fino al 23 marzo). Il progetto “Thermocene” è un viaggio che intreccia musica, architettura, cinema e arte - declinandosi in ciascuno di questi linguaggi attraverso supporti differenti: una mostra, un film documentario, un libro - per esplorare il concetto di cooperazione e interconnessione degli esseri umani nell’era dei cambiamenti climatici. L’opera che ne rappresenta il cuore è una sinfonia visiva e sonora creata da Giorgio Ferrero e Rodolfo Mongitore (Mybosswas) all’interno di due bivacchi futuristici, a 3.000 metri di altitudine sulle Alpi piemontesi, progettati da EX., laboratorio di progettazione nato dal lavoro di Andrea Cassi e Michele Versaci. I due compositori, lontani trenta chilometri l’uno dall’altro, immersi nella solitudine glaciale dei due accampamenti, privi di alcun servizio di base, hanno cooperato attivamente trasformando le tracce invisibili dell’uomo presenti nell’ambiente, come rumori e onde radio, in un canto corale. I due performer evocano un mondo in cui natura ed esseri umani collaborano coscientemente nella costruzione di una nuova coscienza collettiva. Spiega Giorgio Ferrero: “Ho pensato di dimostrare come, anche in quei luoghi di confine, non ci sia più spazio per quell’idea romantica di Natura incontaminata, ma ci sia spazio invece per immaginare e sperare in un meraviglioso miraggio di Natura antropizzata dove l’essere umano con la sua genialità si fonde con il proprio habitat rispettandolo”. Nella sua forma espositiva, a cura di ARTECO, presso le Antiche Ghiacciaie settecentesche di Porta Palazzo, all’interno della sede del Mercato Centrale di Torino, “Thermocene” si materializza come un’esperienza multimediale e immersiva, visiva e sonora, in dialogo serrato con l’architettura del sito. Il percorso della mostra si configura come una narrazione articolata in due aree distinte: nella prima l'elemento sonoro prende forma attraverso una composizione che unisce le sperimentazioni sensoriali raccolte in alta quota da Ferrero e Mongitore, in un caos acustico in grado di restituire la violenza della saturazione dell’aria attuata dall’uomo. Una serie di oggetti - le radio e gli strumenti utilizzati dai performer per captare la presenza dell’uomo a 3.000 metri di altitudine - delinea un percorso che conduce a un punto privilegiato di ascolto. In questa disposizione, l’acustica naturale delle ghiacciaie amplifica la dimensione sonora dell’opera. Nella seconda sala una proiezione video a due canali alterna sequenze che ripercorrono l’esperienza vissuta dai due sound artist in alta quota. Se nella prima sezione della mostra lo spettatore è immerso nella saturazione dell’aria prodotta dall’essere umano anche a 3.000 metri, nella seconda il caos si trasforma in sinfonia. Parallelamente, alle Gallerie d’Italia, “Thermocene” è presentato attraverso un’installazione video a doppio canale, anteprima del film omonimo prodotto da KINO Produzioni, in fase di preproduzione. Nella stessa sede, venerdì 28 marzo alle 18, si terrà inoltre una performance live in cui i due compositori Giorgio Ferrero e Rodolfo Mongitore (Mybosswas) dialogheranno per dar vita a una nuova sinfonia sonora generata dalle tracce invisibili dell’uomo raccolte nei bivacchi in alta quota. Il progetto intende dimostrare, in modo poetico ed empirico, che è impossibile pensare a un pianeta senza un impatto totalizzante dell’uomo. In questo senso il concetto di impatto zero diventa utopico e irraggiungibile. L’uomo è presente anche dove è invisibile e la consapevolezza di una natura sempre più contaminata dai dispositivi creati dall’uomo sarà necessariamente al centro di un nuovo concetto di libertà e di sopravvivenza, in un’era che fatichiamo ad accettare: quella del Thermocene, termine che, diversamente da Antropocene, mette al centro l’habitat e non più l’essere umano. Come ha sottolineato Richard Stallman, l’attivista visionario che lo ha coniato nel 2015, il fenomeno più incisivo dell’era geologica che stiamo vivendo è infatti l’aumento della temperatura causato dalle attività umane. In seguito, “Thermocene” proseguirà il suo viaggio coinvolgendo enti museali e istituzioni culturali nazionali e internazionali. Dal 24 al 27 marzo, il progetto cinematografico che nasce dal lavoro di ricerca sull'opera “Thermocene” verrà infatti presentato in anteprima internazionale al CPH:FORUM 2025, l'evento di finanziamento e co-produzione del CPH:DOX, uno dei più prestigiosi festival internazionali di documentari. Dal 7 giugno al 14 settembre l’installazione sarà presentata nella project room della GAMeC - Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo come parte di un più ampio progetto di riflessione sull’interazione tra architettura d’alta quota e impatto umano, nell’ambito del programma “Pensare come una montagna – Il Biennale delle Orobie”, che coinvolge comunità locali e artisti internazionali sul territorio della provincia di Bergamo. L’installazione collegherà il racconto filmico - ambientato in Piemonte tra il Bivacco Corradini e il Bivacco Berrone, entrambi realizzati da EX. - al contesto che esso esplora, a partire dal nuovo progetto dello studio, frutto della collaborazione tra il museo e la sezione di Bergamo del Club Alpino Italiano: il rifacimento del Bivacco Aldo Frattini. Pensato come una “sede” della GAMeC lungo l’Alta Via delle Orobie Bergamasche, la struttura non accoglierà mostre o eventi, ma servirà da base per attività di monitoraggio ambientale. La mostra “Thermocene” è sostenuta da Intesa Sanpaolo, in qualità di main partner, e da Media Creative Europe, Fondazione Compagnia di San Paolo, Film Commission Piemonte, Mercato Centrale Torino, Another Music Records. È inoltre resa possibile grazie agli sponsor tecnici: Epson, Montarbo, Nanlite, Patona, Rycote, Tip Top Audio, Gruppo FTS. (gci)
NELLA FOTO. CHE GUEVARA A LAS VILLAS, ESCAMBRAY PRIMA DELLA BATTAGLIA DI SANTA CLARA_1958©Centro de Estudios Che Guevara
(© 9Colonne - citare la fonte)