di Paolo Pagliaro
Uno dei segreti meglio custoditi degli ultimi anni è stato l’utilizzo dei circa 200 miliardi concessi dalla commissione europea all’Italia per il piano nazionale di ripresa e resilienza.
Si deve alla tenacia di difensori civici come la Fondazione Openpolis se la nebbia si sta ora diradando.
Oggi il servizio studi della Camera ha pubblicato un esauriente dossier sullo stato di attuazione del Pnrr con un resoconto dettagliato di ciò che si è speso e anche di quel 70% che non si è riusciti ancora spendere.
Per ciascuna delle sette missioni – dall’innovazione alla salute, dalle infrastrutture all’istruzione - vengono messi a confronto programmi e traguardi raggiunti. Di particolare interesse è il capitolo dedicato alla ricadute del Pnrr nelle singole regioni: una cascata di 273 mila progetti per una spesa di 144 miliardi. Una frammentazione eccessiva se l’ambizione era quella di cambiare il volto del paese con riforme strutturali.
I ritardi e le difficoltà nella realizzazione della spesa riducono l'impatto del Pnrr sulla crescita, che nel tempo è stato rivisto progressivamente al ribasso. Lo sottolinea un'altra analisi pubblicata oggi, quella di Assonime. Qui il mondo delle imprese si sofferma sugli effetti destabilizzanti della nuova revisione del Piano – la quinta in due anni – annunciata dal governo. La lunga fase di negoziazione che accompagna ogni revisione genera incertezza sia tra le stazioni appaltanti, che non sanno di quante risorse potranno disporre, sia tra le imprese, che predispongono offerte a bandi che poi potrebbero subire modifiche o addirittura cancellazioni. Nel Paese in cui vige l’incertezza del diritto, il Pnrr non fa eccezione.