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direttore Paolo Pagliaro

Il percorso espressivo di Walter Rosenblum esposto a Padova

Mostre
Le grandi mostre in programma in Italia e quelle che hanno l'Italia, attraverso i suoi grandi artisti, come protagonista nel mondo. Lo "Speciale mostre" è un viaggio tra capolavori, opere d'avanguardia e sperimentali, pittura e scultura, memoria e identità, storia e filosofia, un tributo all'arte e ai suoi protagonisti e un modo per scoprire quanto di buono fanno le istituzioni nazionali e locali per il nostro patrimonio culturale e di creatività.

Il percorso espressivo di Walter Rosenblum esposto a Padova

Walter Rosenblum (New York City, 1919-2006) rappresenta una figura importante della fotografia del XX secolo. La mostra “Master of Photography” a Padova, nella Galleria Civica Cavour dallo scorso 22 febbraio al 4 maggio, vuole dare completezza al suo straordinario percorso espressivo attraverso un’importante raccolta di sue fotografie vintage, molte delle quali mai esposte prima. Verrà così offerta l’opportunità di conoscere il lavoro di questo straordinario autore, uno dei più importanti fotografi americani del secolo scorso. In Italia, dopo la grande mostra del 1999 a Padova, ritorna il suo lavoro con un percorso di oltre 110 fotografie e documentazione d’epoca. Walter Rosenblum ha esercitato la professione di fotografo per più di cinquant’anni contribuendo notevolmente all’affermazione della fotografia nel corso del ventesimo secolo. A 18 anni entrò a far parte della Photo League, dove conobbe Paul Strand, suo mentore e amico, altri significativi fotografi, tra i quali Berenice Abbott e Lewis Hine. Durante la Seconda Guerra Mondiale, Rosenblum prestò servizio come fotografo e cineoperatore nell’esercito americano e partecipò allo sbarco in Normandia a Omaha Beach. Si trovò tra i primi a filmare l’interno del campo di concentramento di Dachau. Rosenblum è stato uno dei fotografi più decorati della Seconda Guerra Mondiale. Rosenblum ha fotografato alcuni dei più significativi eventi del ventesimo secolo: l’esperienza degli immigrati nella Lower East Side di New York, la Seconda Guerra Mondiale, i rifugiati della guerra civile spagnola in Francia, la vita del quartiere di Harlem, del sud Bronx e di Haiti. Eventi che saranno tutti documentati all’interno del percorso espositivo. La sua carriera è stata arricchita da un’intensa attività didattica, e le sue fotografie sono presenti in oltre 40 collezioni internazionali, incluso il J. Paul Getty Museum, la Library of Congress, la Bibliothèque Nationale di Parigi e il Museum of Modern Art di New York. Le sue fotografie riescono a immortalare le qualità umane dei quartieri e dei loro residenti che affermano la vita e riflettono l’approccio socialmente consapevole che è stato il fondamento della sua carriera. Come scrive Angelo Maggi, curatore della mostra: “Attraverso i suoi scatti, Rosenblum ha saputo immortalare l’autenticità dell’esperienza umana, regalando a noi tutti un messaggio di speranza e resilienza. Il suo lavoro, quindi, non si limita a essere una testimonianza del passato, ma continua a essere una fonte di ispirazione, invitandoci a vedere il mondo con occhi nuovi e a cogliere la luce nelle situazioni più oscure. L’opera del fotografo è ampia e ha dato un contributo importante alla storia della fotografia sia per il suo impegno e rilevanza teorica, sia per l’eccellenza artistica delle immagini”. Per Andrea Colasio, assessore alla Cultura del Comune di Padova: “Siamo particolarmente lieti di aver messo a disposizione la centralissima e prestigiosa Galleria civica Cavour e il supporto organizzativo e di comunicazione, per rendere omaggio a Walter Rosenblum, uno dei maggiori fotografi del Novecento, che per oltre cinquant’anni ha documentato gli eventi più significativi del secolo scorso. La mostra rientra nel progetto ‘30 Migno’, ideato dallo storico Gruppo fotografico per celebrare i trent’anni di attività, indissolubilmente connessa sia al magistero compositivo del fotografo americano, sia al suo umanista, rivolto alle persone comuni, ai poveri, agli ultimi. Nel corso della sua vita, Rosenblum ha incontrato molte persone malvagie e conosciuto le atrocità che ero state capaci di compiere – era presente alla liberazione del campo di concentramento di Dachau – ma ha continuato a credere che entro una società altruista solo le persone migliori prosperino. Grazie alla sinergia con l’impresa culturale Suazes, in mostra avremo centododici fotografie vintage – un numero che rende l’iniziativa la più estesa mai realizzata sulla sua opera, in Europa -, e un percorso espositivo che tocca le principali esperienze del grande fotografo e accademico americano”. Da quest’immensa ricchezza di esperienze e dal prolungato rapporto con le diverse culture, la visione fotografica di Rosenblum si è caratterizzata per essere testimone della condizione umana come di una comunità globale in cui i bisogni fondamentali, i valori e le aspirazioni esistenziali sono universalmente condivisi. Rosenblum cercò così di sottolineare la dignità dell’essere umano, con i suoi soggetti mai semplici vittime, ma persone integre e complesse, la cui umanità sopravvive intatta malgrado le circostanze avverse. La mostra di Padova permetterà di approfondire tutte le principali esperienze del lavoro di questo autore riportando al grande pubblico un’opera che, pur essendo ben radicata nel suo tempo, continua a trasmettere forza ed emozioni. Il progetto è prodotto da SUAZES, in collaborazione con il Comune - Assessorato alla Cultura di Padova, con il supporto delle eredi Lisa e Nina Rosenblum e dell’associazione MIGNON in occasione delle celebrazioni dei suoi cinquant’anni di attività. La mostra è curata dal prof. Angelo Maggi dell’Università Iuav di Venezia. Main sponsor è Insurance Opportunity Srl. Il progetto sarà accompagnato da un volume del prof. Angelo Maggi, prodotto da SUAZES e edito da Silvana editoriale. (gci)

LE SCULTURE DI SERGIO MONARI A VENEZIA CON “SINCRONIE”

La Fondazione Musei Civici di Venezia presenta “Sincronie”, una mostra dello scultore Sergio Monari al Museo Fortuny, dallo scorso 26 febbraio fino al 5 maggio. Dopo la partecipazione alla Biennale del 2011, l’artista torna in città con una personale il cui percorso esplora la sua particolare sensibilità per la materia e la tridimensionalità, la sua profonda conoscenza dell’antichità classica così come la sua straordinaria capacità di attualizzare temi universali, che trovano in questa città, e in particolare a Palazzo Fortuny, una risonanza particolare. Nuove sculture come Dispensa sorti, Vivida sorte e Radioso oltraggio insieme a opere storiche, esposte al piano terra del palazzo, si pongono come riletture critiche della società contemporanea, prendendo come modello quella classica. Monari mette in discussione l’importanza del mito nella costruzione delle istituzioni sociali, senza svilirlo in sé bensì, al contrario, attaccando l’incapacità della società contemporanea di riconoscerne la portata. La poesia, l’amore, la gloria, la guerra, il destino, il tempo, la vanità, la morte prendono forma in una sorta di romanzo antico, eppure sempre nuovo, attraverso un allestimento che si dispiega, opera dopo opera, su capitoli modellati in forma di umane sembianze, pulsioni, aspirazioni, dubbi e timori, spiega Niccolò Lucarelli, curatore della mostra. Una commedia umana fatta di statue che però sono vive nella loro forza narrativa, personaggi eternati nella tridimensionalità del bronzo. Tramite di questa narrazione il piano terra del Museo Fortuny si tramuta in un palcoscenico teatrale che spazia fra le epoche in virtù di una scultura fatta di sguardi e parole, che si intuiscono pungenti e provocatori, appassionati e poetici insieme, una scultura che possiede una carica narrativa capace di accendere il dramma davanti allo sguardo dell’osservatore. Pur nella loro conflittualità, le sculture di Monari rivelano l’urgenza di un recupero della dimensione spirituale, e in virtù di ciò si offrono all’osservatore come tante fugaci ierofanie, labili rivelazioni di quella sacralità che un tempo apparteneva all’individuo. “La presenza di Monari a Palazzo Fortuny, dunque, sottolinea l’esigenza di rafforzare e attualizzare il dialogo con quella cultura greco-romana che è la radice fondante della nostra società. Attraverso la sua opera se ne può riscoprire la modernità, così come avvenne per Mariano Fortuny che, con i suoi iconici abiti e i motivi decorativi delle sue stoffe stampate, tradusse valori e simboli dell’antichità classica in un linguaggio contemporaneo e atemporale”, sottolinea Chiara Squarcina, curatrice della mostra e direttrice Scientifica della Fondazione. Accompagna l’esposizione un raffinato catalogo, realizzato da Danilo Montanari Editore, con testi di Fred Licht (postumo), Niccolò Lucarelli e una poesia di Gian Ruggero Manzoni. Ciascuna copia è essa stessa un’opera. L’artista, intervenendo manualmente su ogni singola copertina con una decorazione in foglia d’oro, ha reso ogni volume un pezzo unico e irripetibile. Sergio Monari (Bologna, 1950) La sua carriera prende avvio alla fine degli Anni ‘70, in attiva collaborazione con le maggiori gallerie italiane. Dagli Anni ‘80 collabora con i maggiori poeti italiani e pubblica numerosi libri d’artista. Parallelamente, promuove una serie di eventi e mostre legate alla scultura. Nel 2002 fonda con altri artisti l’associazione culturale CETRA, apre nel suo casolare di Castelbolognese uno spazio espositivo e crea il Parco della Scultura. È esponente di spicco del Gruppo Ipermanierismo di Italo Tomassoni. Ha esposto le sue opere in oltre 90 mostre, personali e collettive, in molte gallerie private e diversi musei pubblici, sia in Italia sia all’estero fra cui l’EXPO 2015 a Milano, Palazzo Schifanoia a Ferrara, la Galleria d’Arte Contemporanea di Ginevra, Palazzo Farnese di Caprarola (VT), Palazzo della Corgna di Castiglione del Lago (PG), Palazzo della Regione Lombardia a Milano, il Collegium Artistico di Sarajevo, e Villa Torlonia a Roma. Ha partecipato alla Biennale di Venezia nel 2011. Sue opere sono conservate in numerose collezioni private e istituzionali, fra cui quella della Regione Emilia-Romagna e del Vittoriale degli Italiani. (gci)

“TIGHTS OF FUTURE”: TRA ARTE E MODA DI EMILIO CAVALLINI A MANTOVA

È una mostra che cattura a colpo d'occhio “Tights of Future” di Emilio Cavallini, che sarà possibile visitare al M.A.D. Mantova Art Design di Lucia Quasimodo (in via Cavour 59 a Mantova) dal 2 al 14 marzo. Il vernissage, a ingresso libero, si terrà il 2 marzo alle ore 18. “La calza per la calza come l'arte per l'arte. La calza creata nell'ambito di una ricerca di innovazione è di per sé un'opera d'arte”: questo il motto di Cavallini nel momento della creazione di una nuova collezione, che per lui è sempre stato frutto di un gesto artistico, anche da stilista. Poi, a un certo punto della sua carriera, ha desiderato portare l'oggetto del suo lavoro, ovvero l'abito della gamba su cui aveva concentrato la sua fantasia, dentro uno scenario inimmaginabile. Ha quindi iniziato a estrapolare la calza dal suo contesto tradizionale per innalzarla alla dignità di un'opera proiettata verso il non materiale. “In questa mostra presento una selezione di opere in cui la calza diventa il pennello o il filo conduttore di tutti i quadri, da cui si può intravedere un futuro per la calza stessa - spiega l'artista - La mia arte è pittura oggettuale ossia quadri oggetto. Una ricerca dei complessi rapporti tra spazio, luce e forma con un'astrazione geometrica in 3D”. Emilio Cavallini è nato a San Miniato (Pisa) nel 1945. A metà degli Anni '60 si è dedicato alle sue più grandi passioni, ovvero la moda e l'arte: il suo lavoro è emerso in modo innovativo e originale. Verso la fine degli Anni '60 si è recato a Londra, dove ha collaborato con la mitica Mary Quant per le sue collezioni di calze. Emilio Cavallini ha reinventato l'idea di collant, traendo ispirazione dall'arte contemporanea: grazie a lui le calze sono diventate un accessorio elegante che ha ridefinito la donna. La carriera di stilista di Emilio Cavallini lo ha portato a frequentare vari circoli artistici, soprattutto negli Stati Uniti. Mentre acquisiva notorietà come stilista nel mondo della moda, ha iniziato a creare importanti opere d'arte per soddisfare i suoi interessi personali. Qualche anno fa, nel 2010, ha deciso di dedicarsi esclusivamente alla sua arte e di renderla pubblica. Emilio Cavallini utilizza per la sua arte materiali non convenzionali, presi in prestito dal mondo della moda: filati di nylon, tessuti stampati, i suoi collant, rocchetti di filato e molto altro. La sua ricerca artistica si fonda sulla geometria e sulla matematica: punti, linee, quadrati, triangoli, cerchi sono disposti in un ambiente 3D. Tutto segue principi combinatori, permutazioni, algoritmi di crescita e le più recenti teorie matematico-geometriche, come si può vedere dai titoli delle sue opere. Il percorso artistico di Emilio Cavallini segue importanti movimenti artistici della seconda metà del 1900 dall'arte cinetica all'arte generativa. (gci)

LA CONSAPEVOLEZZA DELL’ARTISTA ESPOSTA A FORLI'

Con “Il Ritratto dell’Artista. Nello specchio di Narciso. Il volto, la maschera, il selfie”, grande mostra a cura di Cristina Acidini, Fernando Mazzocca, Francesco Parisi e Paola Refice dallo scorso 22 febbraio al 29 giugno, la Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì e il Museo Civico San Domenico inaugurano la stagione 2025 con un nuovo lungo viaggio tra capolavori, che ricostruisce la progressiva definizione della consapevolezza di sé dell’artista nella storia dell’arte. “Il primo è stato Narciso, che guardandosi nello specchio dell’acqua ha conosciuto il proprio volto. Il primo autoritratto. Poi è arrivato il selfie. Nei secoli, ritrarre il proprio volto, la propria immagine è stato – per ogni artista – una sfida, un tributo, un messaggio, una proiezione, un esercizio di analisi profonda che mostra le aspirazioni ideali e le espressioni emotive, ma che rivela anche la maestria e il talento. Poi serve uno specchio. Timore, prudenza o desiderio, persino bramosia di guardarsi. Allegoria di vizi e virtù”. Così Gianfranco Brunelli, direttore delle Grandi Mostre del Museo Civico San Domenico, descrive la prospettiva da cui è nato questo progetto. Il ritratto dell’artista è un autografo esistenziale. Segno, traccia, memoria, riflesso da tradurre in un’immagine definitiva, giocata nel tempo, contro il tempo, oltre il tempo. Nell’autoritratto il pittore si sdoppia nel duplice ruolo di modello e di artista. L’occhio si posa sull’immagine riflessa per ritrarsi e l’immagine ritratta è un alter da sé ed è un sé. Spesso ne viene fuori una maschera. Personaggio più che persona. Per molti artisti è così, dal Quattrocento al Novecento. L’artista figura tra gli uomini illustri, si fa metafora, protagonista e immagine del proprio tempo. L’artista recita, si mette in mezzo, sbuca da una sua opera che parla d’altro: in mezzo a un racconto mitologico, a una storia sacra, a un evento storico. Come fanno Giovanni Bellini, Tintoretto, Lavinia Fontana, Sofonisba Anguissola, Lotto, Pontormo, Parmigianino, Rembrandt, Tiziano, Hayez, Bocklin, De Chirico, Balla, Sironi, Bacon fino a Bill Viola e Chuck Close. Nudo o vestito, truccato o travestito, sorridente o malinconico, attraverso l’immagine di sé, l’artista rintraccia il proprio mondo interiore, il significato della propria arte, l’unicità del proprio stile. Per questo non è necessario ritrarsi interamente, basta un volto o un piede. Ciò che rende così affascinante e quasi irrinunciabile l’autoritratto agli occhi degli artisti – e non solo – è la sua capacità di sostituirsi interamente alla persona di cui è copia. L’immagine funziona da doppio del soggetto, come nel mito di Narciso ripreso da tutta la storia della pittura e della letteratura fino ad approdare, nel Novecento, alla psicoanalisi freudiana. “Il Ritratto dell’Artista. Nello specchio di Narciso” si pone dunque come una storia in immagini offrendo una visione affascinante e articolata di uno dei temi più universali e significativi nell’arte. (gci)

“IN LEVARE”: A VOLVERA (TO) LE OPERE DI FRANCESCO CARONE E MARIA DEVAL

Fuocherello presenta a Volvera (TO) “In Levare”, una mostra che raccoglie le opere di due artisti, Francesco Carone e Maria Deval, a cura di Emanuele Becheri. Lo spazio espositivo accoglie al suo interno, dal 29 febbraio al 19 aprile, cinque sculture e una stampa tratta da una matrice xilografica in legno di ciliegio. I due artisti nel corso della propria ricerca si sono cimentati con la scultura, ma il tratto che caratterizza questi specifici lavori in mostra è la pratica della scultura a taglio diretto. “In Levare” è la consumata apparizione dell’immagine dal blocco, avventura plastica che si differenzia dal modellare o da qualsiasi altra techne e forse la pratica più antica dello scolpire: essenzialmente un viaggio senza ritorno, laddove, quando cavi, cavi per sempre. (gci)

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