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La crisi internazionale
e due leggende da sfatare

La crisi internazionale <br> e due leggende da sfatare

di Paolo Pombeni

Come è normale, nei momenti di crisi acuta cresce la voglia di prendere posizione: è un modo per dimostrarsi partecipi e spesso per convincersi di poter incidere su una situazione che ci turba. Eppure nei momenti cruciali sarebbe utile vaccinarsi contro le parole che generano illusioni e fughe dalla realtà. Ci permettiamo di suggerire qualche esempio preso dagli ultimi fuochi del dibattito in corso sulla fase critica della guerra in Ucraina.

Due sono le leggende metropolitane che tengono banco, non solo presso un’opinione disorientata, ma anche in quote importanti delle nostre classi politiche, dalle quali sarebbe lecito aspettarsi un po’ più di discernimento. La prima leggenda da sfatare è quella secondo cui l’Europa non avrebbe fatto quasi nulla per promuovere una soluzione diplomatica del conflitto russo-ucraino. Sinceramente non ha fondamento. Innanzitutto nella fase iniziale dell’invasione russa alcuni leader europei hanno provato ad approcciare Putin: lo hanno fatto sia Macron che Scholz e qualcuno ricorderà il famoso viaggio in treno che vide insieme Draghi con il presidente francese e il cancelliere tedesco andare verso Kiev: certo per portare solidarietà a quel paese invaso, ma al tempo stesso per esplorare la possibilità di trovare soluzioni diplomatiche. Più o meno sotto traccia ci sono stati altri tentativi di attrarre Putin al tavolo dei negoziati, ma tutti sanno che da parte russa non c’è stata alcuna volontà di trattare se non alle condizioni di Mosca.

Si può arzigogolare sul fatto che i tentativi di approccio siano venuti più da singoli capi di stato, che non da istituzioni della UE, ma andrebbe tenuto presente che la Commissione Europea non ha la forza e gli strumenti per portare avanti un negoziato in maniera da spingere le parti ad acconsentirvi e che il Consiglio Europeo è pur sempre un organismo con scarsa compattezza che può lavorare solo contando sull’unanimità fra i suoi membri: tutte caratteristiche poco adatte per fare pressioni su Putin, che non ha mai accettato di aprire ad un confronto sulle sue pretese, che erano e rimangono quelle di vedere l’Ucraina nelle condizioni di uno stato vassallo della Russia.

La UE ha certamente preso posizione contro questa pretesa e di conseguenza per sostenere la resistenza ucraina, ma non si vede come potesse fare diversamente, visto che ci si trovava di fronte ad una palese violazione del diritto internazionale da parte della Russia. Del resto il prosieguo della guerra ha mostrato chiaramente quale fosse l’obiettivo di Putin: annientare l’Ucraina come soggetto internazionale indipendente, perché, se non fosse così, non avrebbe alcun senso la politica di guerra di sterminio e distruzione che da tre anni persegue l’esercito russo.

Se oggi ci si può illudere che ci sia uno spiraglio per delle trattative dipende, detto banalmente, dal fatto che Trump è disponibile ad una soluzione che in sostanza accetta la richiesta russa di smantellamento dell’Ucraina come stato a pieno titolo: semplicemente perché per The Donald quel paese non è nella sfera di influenza che lo interessa.

Di conseguenza per l’Europa non c’è alcuna opportunità per inventarsi una soluzione diplomatica della crisi essendo più che ragionevole capire che se non si costringe Putin a ridimensionare le sue mire neo imperiali e a rivedere il suo progetto di restaurazione delle ex sfere di influenza dell’impero zarista e poi dell’URSS non c’è spazio se non per un contenimento di quei disegni. Di qui la scelta di contrastare la Russia con strumenti di pressione economica e con misure di carattere militare.

Qui però viene in campo la seconda leggenda metropolitana, quella che sostiene che se proprio si vuole dotarsi di una capacità di contenimento anche militare all’imperialismo di Mosca, la UE dovrebbe farlo non promuovendo adeguamenti e sviluppi per le forze armate degli stati membri, ma mettendo in campo un esercito europeo. L’inconsistenza dell’argomento non dovrebbe essere difficile da percepire.

La più banale obiezione è che per varare questa istituzione sarebbe necessario un adeguamento dei trattati costitutivi dell’Unione: un’impresa che necessita di un lungo lavoro di elaborazione (qualcuno ha idea della marea di “dettagli” su cui si dovrà convenire?), nonché di un passaggio per l’approvazione attraverso i 27 parlamenti degli stati. Basta ricordare come è andata la vicenda della stesura della “costituzione europea”: anni di lavoro e tutto finito nel nulla.

Davvero qualcuno può pensare che mettersi nell’impresa di costruire da zero un esercito europeo tralasciando il problema dell’efficienza degli eserciti nazionali sia una soluzione che può essere utile per far fronte alla fase attuale dei neo imperialismi già in campo?

Anche l’ipotesi di accontentarsi intanto di avviare l’esperimento di un esercito comune fra alcuni stati europei più disponibili può essere suggestiva, ma non appare molto realistica. A prescindere sempre da un po’ di tecnicalità tutt’altro che facili da gestire, non si vede oggi quali governi sarebbero in grado di far accettare ai loro Paesi una cessione di sovranità così impegnativa, visto che i nazionalismi e i relativi populismi, anche sotto la veste dei “pacifismi”, sono più che attivi in ogni stato e che la fiducia reciproca fra le classi dirigenti degli stati più importanti non è esattamente molto sviluppata.

Non ci sembra difficile dedurre che, se realisticamente si vorrà confrontarsi con le asperità dell’attuale quadro internazionale, sarà necessario lasciar perdere le passioni per le soluzioni di fantasia per quanto nobili possano essere e concentrarsi invece a sostenere una politica dei passi da mettere in fila per arrivare certo, sperabilmente e nei tempi dovuti, a quegli “Stati Uniti d’Europa” che diventeranno un approdo necessario per continuare a vivere la nostra storia, se proseguono le dinamiche neo imperiali che si stanno imponendo.

(da mentepolitica.it )

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