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direttore Paolo Pagliaro

Prorogata al 22 aprile “Sulle spalle dei giganti”

Mostre
Le grandi mostre in programma in Italia e quelle che hanno l'Italia, attraverso i suoi grandi artisti, come protagonista nel mondo. Lo "Speciale mostre" è un viaggio tra capolavori, opere d'avanguardia e sperimentali, pittura e scultura, memoria e identità, storia e filosofia, un tributo all'arte e ai suoi protagonisti e un modo per scoprire quanto di buono fanno le istituzioni nazionali e locali per il nostro patrimonio culturale e di creatività.

Prorogata al 22 aprile “Sulle spalle dei giganti”

La Fondazione Mont’e Prama e la Fondazione Nivola annunciano la proroga, fino al 22 aprile, della mostra “Sulle spalle dei giganti. La Preistoria moderna di Costantino Nivola” in corso al Museo Civico Giovanni Marongiu di Cabras e al Museo Nivola di Orani. Attraverso un percorso suggestivo che mette a confronto alcuni capolavori della scultura e dell’architettura eneolitica e nuragica e alcune fondamentali opere di Costantino Nivola, la mostra - curata da Giuliana Altea, Antonella Camarda, Luca Cheri, Anna Depalmas e Carl Stein, storico collaboratore dell’artista - ricostruisce per la prima volta il rapporto tra Nivola e la Preistoria della Sardegna. Nel contesto dell’allestimento, le opere di Costantino Nivola sono per la prima volta poste accanto alle fonti che lo hanno ispirato, grazie a una serie di importanti prestiti provenienti da collezioni pubbliche e private italiane e internazionali. “L’interesse del pubblico - ha dichiarato Giuliana Altea, presidente della Fondazione Nivola - ha confermato come la mostra rappresenti un progetto di collaborazione, tra istituzioni e discipline, felicemente riuscito. È attraverso esperienze come questa che si riesce a mettere insieme aspetti diversi del nostro patrimonio culturale, in un incontro capace di gettare nuova luce su ciascuno di essi. Il prolungamento della mostra darà l’opportunità di visitarla a quanti finora non hanno potuto vederla, in attesa del catalogo che documenta il progetto con saggi di storici dell’arte e archeologi e schede delle opere esposte, e che verrà pubblicato a breve”. “Sulla scia dei risultati estremamente positivi avuti da settembre ad oggi - precisa Anthony Muroni, presidente della Fondazione Mont’e Prama - di comune accordo abbiamo deciso di prorogare il periodo di permanenza della mostra. Siamo convinti che l’intesa con la Fondazione Nivola abbia rappresentato un esempio di come il lavoro in sinergia possa contribuire, in modo decisivo, a generare un impatto positivo e duraturo sul territorio contribuendo alla sua crescita e a quella dell’intera isola. Il successo ottenuto testimonia il valore di un percorso che unisce la straordinaria arte di Costantino Nivola con le radici profonde della preistoria sarda, in particolare il dialogo con i Giganti di Mont’e Prama. Visti i numerosi visitatori che la mostra ha attratto, riteniamo che sia importante offrire la possibilità di apprezzarla ancora per un periodo più lungo, consentendo a un pubblico sempre più ampio di immergersi in questo affascinante viaggio tra arte, storia e cultura”. Il titolo della rassegna allude, oltre che alle monumentali statue ritrovate a Mont’e Prama, all’aforisma medievale secondo cui gli esseri umani sono, rispetto agli antichi, come nani sulle spalle dei giganti: riescono a vedere più lontano di loro, ma solo perché si elevano grazie alla loro grandezza. E la scultura di Costantino Nivola (Orani 1911 - Long Island 1988) si ispira fin dagli inizi agli anonimi maestri della Preistoria sarda. Allestita in contemporanea in due sedi, il Museo Nivola (Orani) e il Museo Civico G. Marongiu (Cabras), “Sulle spalle dei giganti” mette a confronto l’opera di Nivola con le testimonianze della Preistoria sarda che lo hanno influenzato, presentate attraverso reperti originali, fotografie, e installazioni multimediali a cura del Visual Computing Group del CRS4. Un’occasione unica per esplorare il legame tra Nivola e la sua terra, grazie anche a un gruppo di opere chiave dell’artista provenienti da collezioni private americane e italiane. (gci)

AI MUSEI REALI DI TORINO IL NUOVO ALLESTIMENTO SU LEONARDO DA VINCI

Un nuovo allestimento multimediale racconta e valorizza il ricco nucleo di disegni di Leonardo da Vinci della Biblioteca Reale. Dallo scorso 8 marzo, i Musei Reali di Torino si arricchiscono di una nuova sezione espositiva permanente al primo piano della Galleria Sabauda. “Uno spazio per Leonardo / Leonardo per lo spazio” è un innovativo allestimento multimediale per raccontare e valorizzare la raccolta dei disegni di Leonardo da Vinci conservata nella Biblioteca Reale che, per ragioni di tutela, non può essere esposta con continuità. “Uno spazio per Leonardo / Leonardo per lo spazio” presenta apparati informativi e multimediali, tra cui un touch screen per sfogliare integralmente il Codice sul volo e, al centro della sala neobarocca decorata a stucchi, uno scrigno rivestito con materiale specchiante su cui si riflettono scritture e disegni del maestro che ricoprono le pareti. Il progetto, promosso dai Musei Reali, è stato curato dall’architetto Lorenzo Greppi con la collaborazione di Francesca De Gaudio e Alessia Frosini (scenografie), Faustino Montin (museotecnica), Francesca Bellini delle Stelle e Chiara Ronconi (grafica). Situato nei due ambienti al centro del primo piano di visita della Galleria Sabauda, dove si registra una grande affluenza di pubblico, il nuovo spazio approfondisce gli intrecci di storie tra Leonardo da Vinci, la sua arte visionaria e i Musei Reali che, nelle raccolte della Biblioteca Reale, conservano tredici autografi di straordinario valore storico-artistico acquistati da Carlo Alberto di Savoia nel 1840, tra cui il famoso Autoritratto. Tredici disegni che si collocano lungo l’intero arco cronologico della vita del maestro del Rinascimento e che documentano la varietà dei suoi interessi, la trama estesa delle sue esplorazioni e la sua ineguagliata capacità di arrivare, con il tramite del disegno, all’essenza più profonda delle cose. Ad arricchire la raccolta leonardesca di Torino è giunto in Biblioteca Reale, nel 1893, il Codice sul volo degli uccelli, il prezioso manoscritto nel quale le riflessioni di Leonardo sul tema del volo e lo studio dell’anatomia dei volatili si alternano a esercizi di meccanica, idraulica, architettura e di disegno di figura, collegando e illustrando questioni cruciali dei suoi studi. Apre il nuovo allestimento permanente il filmato che racconta il viaggio dell’Autoritratto di Leonardo e del Codice sul volo degli uccelli, riprodotti digitalmente in un microchip, a bordo del Rover Curiosity lanciato da Cape Canaveral il 26 novembre 2011: grazie a un’idea di Silvia Rosa-Brusin del TGR Leonardo della RAI, accolta dalla NASA, Leonardo è approdato su Marte il 5 agosto 2012 e sta ancora esplorando il pianeta rosso. Al centro della scatola specchiante, l’installazione multimediale Leonardo da Vinci: la visione del Genio tra reale e virtuale, ideata a progettata dalla società Mnemosyne e curata da Cristian Casella e Nicola Sganga, consente al pubblico di addentrarsi e accedere nell’universo di Leonardo grazie a un’esperienza immersiva, per una nuova modalità di racconto del celeberrimo Autoritratto. “Lo Spazio Leonardo” permetterà di presentare a rotazione, entro una vetrina blindata e climatizzata all’interno dello scrigno, un disegno originale della preziosa raccolta della Biblioteca Reale. Di fronte al nuovo spazio espositivo e accanto alla biglietteria del museo, riapre al pubblico anche il bookshop dei Musei Reali, affidato a Silvana Editoriale e realizzato su progetto di Loredana Iacopino Architettura. La presentazione dell’allestimento permanente, insieme al restauro degli ambienti aulici e delle collezioni del Caffé Reale eseguiti su progetto di Lorenza Santa con Tiziana Sandri, è stata animata da interpretazioni musicali eseguite in collaborazione con il Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Torino. La musica dal vivo si è alternata a una performance teatrale a cura di Stefania Rosso, su un testo tratto dall’opera "Quel gran genio del mio amico" di Oliviero Corbetta, ispirata alla vita, ai viaggi e ai misteri di Leonardo da Vinci che, con il suo talento, ha superato i limiti dell'umana comprensione lasciando un’eredità senza tempo. (gci)

A ROMA L’ESPOSIZIONE EVENTO SU CARAVAGGIO

“Caravaggio 2025” è uno dei progetti più ambiziosi mai dedicati alla pittura di Michelangelo Merisi detto Caravaggio (1571-1610): con 24 dipinti provenienti da importanti collezioni pubbliche e private, italiane e internazionali la mostra di Palazzo Barberini, a Roma, offre un percorso tra opere difficilmente visibili e nuovi accostamenti, in uno dei luoghi simbolo della connessione tra l’artista e i suoi mecenati. Riunendo alcuni dei dipinti più celebri, la mostra, dallo scorso 7 marzo al 6 luglio, promossa dalle Gallerie Nazionali di Arte Antica, in collaborazione con Galleria Borghese, con il supporto della Direzione Generale Musei – Ministero della Cultura e con il sostegno del main partner Intesa Sanpaolo, propone una nuova e approfondita riflessione sulla rivoluzione artistica e culturale operata dal Maestro lombardo, esplorando, in un contesto senza precedenti per ampiezza e straordinarietà, l'innovazione che introdusse nel panorama artistico, religioso e sociale del suo tempo. L’esposizione - a cura di Francesca Cappelletti, Maria Cristina Terzaghi e Thomas Clement Salomon - rappresenta un’opportunità unica per riscoprire l'arte di Caravaggio in chiave nuova, in un percorso espositivo che integra scoperte, riflessioni critiche e un confronto ravvicinato tra i suoi capolavori: non solo un tributo al genio dell’artista, ma una vera occasione di indagine sulla profonda influenza che ha esercitato sull'arte coeva e successiva e sull’immaginario collettivo contemporaneo. Tra le opere in esposizione un posto speciale è senz’altro occupato dal Ritratto di Maffeo Barberini, pubblicato da Roberto Longhi nel 1963 e mai esposto al pubblico fino a pochi mesi fa, dall’Ecce Homo recentemente riscoperto (2021), che torna in Italia dopo quattro secoli, e dalla prima versione della Conversione di Saulo della cappella Cerasi, difficilmente accessibile poiché conservata in una dimora privata. Accanto al San Francesco in meditazione, al San Giovanni Battista, alla Giuditta e Oloferne e al Narciso, parte della collezione permanente delle Gallerie Nazionali di Arte Antica, troviamo alcuni capolavori che “tornano a casa”: i Bari, i Musici e la Santa Caterina d’Alessandria, che Antonio Barberini acquistò nel 1628 dalla collezione del cardinal del Monte. Il percorso, articolato in quattro sezioni, guida il pubblico alla scoperta dell’intera parabola artistica del Merisi, coprendo un arco cronologico di circa quindici anni, dall’arrivo a Roma intorno al 1595 alla morte a Porto Ercole nel 1610. Nella prima parte, dedicata al debutto romano, l’esposizione affronta gli anni dell’arrivo a Roma, verosimilmente nel 1595, e i primi passi in città, tutt’altro che semplici. Nonostante fosse un pittore già formato – cresciuto nella bottega milanese di Simone Peterzano, allievo di Tiziano – i biografi concordano nell’affermare che Caravaggio fu inizialmente costretto a vivere di espedienti, realizzando quadri per pochi soldi. Verosimilmente a partire dall’estate dello stesso anno transitò anche nella bottega del noto e ammirato pittore Giuseppe Cesari, detto il Cavalier d’Arpino, dal quale venne impiegato per dipingere fiori e frutti. Nonostante il rapporto tra i due si chiuda bruscamente nel giro di otto mesi, la produzione di Naturalia lascerà tracce importanti e profonde nella prima produzione caravaggesca, come è evidente nelle bellissime nature morte del Mondafrutto e del Bacchino malato, per la prima volta esposte insieme. Alcuni fortunati incontri – con il pittore Prospero Orsi, esperto di Grottesche, e con Costantino Spada, rigattiere e mercante dei suoi primi dipinti – permisero a Caravaggio di entrare, intorno all’estate del 1597, in contatto con il suo più prestigioso committente: il raffinato ed eclettico cardinale, cultore di musica e canto, Francesco Maria del Monte, cui appartennero i Musici, la Buona Ventura e i Bari, capolavori di quella “pittura comica” che caratterizza la fase giovanile di Caravaggio, contraddistinta da un uso della luce ancora lontano dai possenti chiaroscuri della maturità. Parallelamente, Caravaggio avviò anche il rapporto con il banchiere Ottavio Costa, proprietario del bellissimo San Francesco in estasi, primo esempio di opera sacra eseguita dall’artista a Roma. A suggellare il successo di Caravaggio nell’Urbe, nel 1600 – a un anno dalla prima commissione pubblica per la chiesa di San Luigi dei Francesi – fu l’incarico di dipingere due tavole per la cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo: la Crocifissione di san Pietro e la Conversione di Saulo, di cui viene ora esposta ora eccezionalmente a Palazzo Barberini la prima redazione, e che si differenzia dalla versione finale per il supporto utilizzato, una tavola di legno cipresso di grandi dimensioni (237×189 cm), molto più preziosa della tela. Nella sezione intitolata “Ingagliardire gli Oscuri”, la mostra introduce la rara produzione ritrattistica di Caravaggio, che, come dimostrano le fonti archivistiche e le stampe, dovette essere molto vasta e stimata, anche se pochissime sono le testimonianze arrivate fino a noi. L’esposizione offre tuttavia l’occasione unica di vedere accostate per la prima volta due versioni del ritratto di Maffeo Barberini, provenienti entrambe da collezioni private. Come attesta Giulio Mancini, il pittore ha ritratto Maffeo Barberini in più di un'occasione: qui abbiamo la nota versione “Corsini”, attribuita a Caravaggio da Lionello Venturi (1912), Gianni Papi e Keith Christiansen (2010), esposta accanto a quella recentemente presentata al pubblico a oltre sessant’anni dalla sua riscoperta e attribuzione di Roberto Longhi (1963) unanimemente condivisa da tutti gli studiosi. In quest’ultimo dipinto è evidente il rivoluzionario naturalismo della pittura del Merisi, nel cui ambito il ritratto sembra aver svolto un ruolo molto importante, nonostante fosse ritenuto un genere minore. L’artista non si limitò a ritrarre nobili prelati o illustri personaggi, ma usò, anche per i dipinti a soggetto religioso, persone appartenenti ai ceti sociali più umili, eternandone per sempre la memoria. È il caso della bellissima modella che presta la sua immagine per Marta e Maria Maddalena, Giuditta che decapita Oloferne e Santa Caterina d’Alessandria, forse identificabile con la celebre cortigiana Fillide Melandroni. Tra questi dipinti la Santa Caterina riveste un ruolo particolarmente importante poiché a partire da esso, secondo il Bellori, biografo dell’artista, prende avvio quel modo di “ingagliardire gli oscuri” che avrebbe caratterizzato tutta la sua produzione successiva, giungendo a piena maturazione nelle imponenti tele per la cappella Contarelli ancora oggi visibili nella chiesa di San Luigi dei Francesi. La sezione espositiva “Il dramma sacro tra Roma e Napoli” parte idealmente dalla prima commissione pubblica, ottenuta da Caravaggio nel 1599 grazie all’intermediazione del cardinal del Monte: le tele della cappella Contarelli nella chiesa di San Luigi dei Francesi. Il ciclo dedicato a San Matteo rappresenta una vera sfida per il Merisi, che per la prima volta si confronta con quadri di historia, e costituisce anche uno spartiacque nella sua produzione, perché da questo momento si dedicherà quasi esclusivamente a temi sacri, dando avvio a quello stile tragico caratteristico della sua produzione. In questa sezione sono esposte alcune tra le opere religiose più emblematiche del Merisi maturo all’apice del successo, che annoverava tra i suoi committenti personaggi di spicco come Ciriaco Mattei e Ottavio Costa, per i quali realizzò rispettivamente La cattura di Cristo e il San Giovanni Battista dalla collezione del The Nelson-Atkins Museum of Art (Kansas City – Missouri), quest’ultimo affiancato al dipinto con lo stesso soggetto conservato alle Gallerie Nazionali di Arte Antica. Nella tarda primavera del 1606, tuttavia, la vita del pittore subì una svolta drammatica quando, durante una partita di pallacorda, uccise Ranuccio Tomassoni. Il Merisi fu costretto a fuggire da una condanna alla pena capitale, rifugiandosi prima nei feudi laziali della famiglia Colonna, dove realizzò la Cena in Emmaus e – forse – il San Francesco in meditazione. Secondo alcuni studiosi a questi anni potrebbe risalire anche il David e Golia della Galleria Borghese, dipinto in cui, raffigurando sé stesso nei panni di Golia, l’artista mette in luce la sua esigenza di espiazione. Pochi mesi dopo il pittore era a Napoli, città dove fu molto apprezzato e dipinse opere mirabili come l’Ecce Homo, recentemente rinvenuto in Spagna, e uno dei suoi capolavori, la Flagellazione, realizzata per la cappella di San Domenico Maggiore. L’ultima parte della mostra, raccolta sotto il titolo “Finale di partita”, affronta la fase finale della vita dell’artista: animato dal costante desiderio di tornare a Roma, sua patria d’elezione, Caravaggio lasciò Napoli e nell’estate del 1607 partì per Malta, con la speranza di entrare nell’Ordine dei Cavalieri Gerosolimitani, provando così a ottenere il perdono di Papa Paolo V Borghese. Grazie a opere come il Ritratto di cavaliere di Malta, il Merisi riuscì a ottenere il cavalierato ma, coinvolto in una rissa con un altro membro dell’Ordine, venne incarcerato. Fuggito in modo rocambolesco, Caravaggio si diresse prima in Sicilia, a Siracusa e Messina, e poi nuovamente a Napoli, dove realizzò le ultime opere, tra le quali il San Giovanni Battista della Galleria Borghese e il Martirio di Sant’Orsola, dipinto per Marcantonio Doria pochi giorni prima del suo ultimo tragico viaggio. Nel 1610 il Merisi salpò per Roma, probabilmente dopo aver ricevuto la notizia del perdono del papa, portando con sé, su una feluca, alcuni dipinti da donare al cardinal nepote Scipione Borghese, tra cui proprio il San Giovanni Battista. Purtroppo, Caravaggio non riuscì a coronare il suo sogno di tornare, e sebbene i suoi ultimi giorni siano avvolti nel mistero, è probabile che, sbarcato a Palo, sia stato trattenuto per alcuni controlli o arrestato. Una volta rilasciato, morì sulla via di Porto Ercole, a soli trentanove anni. Venticinquesima opera della mostra – extra moenia ma eccezionalmente visitabile in occasione della mostra – è il Giove, Nettuno e Plutone, l’unico dipinto murale eseguito da Caravaggio nel 1597 (ca) all’interno del Casino dell’Aurora, a Villa Ludovisi (Porta Pinciana) su commissione del cardinale del Monte per il soffitto del camerino in cui quest’ultimo si dilettava nell'alchimia. L’opera, raramente accessibile, raffigura infatti un’allegoria della triade alchemica di Paracelso: Giove, personificazione dello zolfo e dell'aria, Nettuno del mercurio e dell'acqua, e Plutone del sale e della terra. Il catalogo della mostra, edito da Marsilio Arte, presenta nuovi studi critici e saggi di alcuni tra i maggiori esperti internazionali, che esplorano gli snodi biografici di Caravaggio, l’evoluzione del suo stile e il contesto culturale che ha influenzato la sua arte, con nuove chiavi di lettura e riflessioni sulla sua eredità. Il saggio di Keith Christiansen apre il catalogo tracciando la parabola artistica del grande Maestro, mentre i contributi delle due curatrici, Maria Cristina Terzaghi e Francesca Cappelletti, si concentrano sull’arrivo del Maestro a Roma e sul collezionismo delle sue opere da parte delle grandi famiglie romane. Giuseppe Porzio ripercorre gli anni meridionali dell’artista, tra Napoli, Malta e la Sicilia; Alessandro Zuccari propone una riflessione sul legame di Caravaggio con la spiritualità del suo tempo; Gianni Papi affronta uno degli argomenti più dibattuti, ovvero la ritrattistica – vera o presunta – del Merisi; Francesca Curti presenta, a partire da documenti d’epoca, le figure femminili ritratte dall’artista; Claudio Strinati e Stefano Causa affrontano un excursus storico delle mostre dedicate a Caravaggio e la sua fortuna critica, partendo dalla famosa mostra di Milano del 1951 che fece riscoprire l’artista dopo secoli di oblio; chiude Rossella Vodret con un’attenta analisi sulla tecnica esecutiva dell’artista. Accompagnano i saggi le schede delle ventiquattro opere in mostra, che danno conto dei principali problemi critici, attributivi e di datazione. (redm)

A PADOVA “IL CANOVA MAI VISTO”

Nonostante una serie infinita di mostre canoviane, in Italia e nel mondo, esistono ancora opere, documenti, collezioni di Antonio Canova che nessuno, tranne pochi studiosi, ha potuto ammirare. Tra queste c’è il Vaso cinerario di Louise Diede zum Furstenstein nata von Callenberg, ora patrimonio della Chiesa di Padova, originariamente collocato nel giardino esterno della chiesa degli Eremitani a Padova. L’opera in marmo, realizzata da Antonio Canova tra il 1803-1807, data per distrutta dai bombardamenti del marzo 1944, che ferirono la città e danneggiarono profondamente il complesso degli Eremitani, è stata ritrovata negli ambienti della parrocchia grazie a una ricerca sull’inventario dei beni culturali ecclesiastici (beweb) per il volume della Regione Veneto dedicati allo scultore di Possagno. L’opera ebbe una lunga e travagliata gestazione e solo alla fine dell’estate del 1807 giunse a Padova e venne collocata nello spazio verde dietro l’abside della chiesa degli Eremitani, dove venne piantato appositamente un cipresso che ancora oggi esiste. Il Vaso cinerario era parte di un monumento funerario progettato e realizzato dall’architetto Giannantonio Selva e dallo scultore Domenico Fadiga, e composto da un cippo a sostegno dell’opera canoviana su cui campeggiava una scritta attribuita Johann Wolfgang von Goethe, una stele con l’epigrafe redatta dall’abate Stefano Antonio Morcelli e sette candelabri con altrettante iscrizioni di personaggi illustri. Sempre la chiesa degli Eremitani aveva ospitato fino al 1896 un altro marmo scolpito da Canova: la Stele funeraria del principe Guglielmo d’Orange Nassau (1806-1808), di cui si conserva tuttora una copia in bronzo, essendo la tomba trasferita dalla casata Orange Nassau nella chiesa nuova di Delft nei Paesi Bassi. Due opere che sottolineano ulteriormente il legame dello scultore di Possagno con la città di Padova, che già è arricchita di importanti e note opere canoviane, pensate in origine per collezioni private e spazi pubblici (Prato della Valle, Ospedale Giustinianeo) e ora conservate ai Musei civici agli Eremitani. Il Vaso cinerario di Louise von Callenberg, per la prima volta esposto al pubblico, sarà il cuore della mostra “Il Canova mai visto”, curata da Andrea Nante, Elena Catra e Vittorio Pajusco, ospitata al Museo diocesano di Padova dallo scorso 8 marzo all’8 giugno. La mostra farà luce su vicende che legano Padova e Canova a importanti esponenti dell’aristocrazia europea (tra cui la casa reale olandese D’Orange Nassau), ad artisti e intellettuali come la pittrice svizzera Angelica Kaufmann, autrice di un ritratto di Canova conservato in una collezione privata a Padova, che sarà esposto al Palazzo vescovile. Ma sarà anche l’occasione per scoprire la figura di questa nobildonna tedesca – Louise von Callenberg – e le relazioni che intercorrevano con intellettuali e artisti europei quali Johann Wolfang von Goethe, e con l’aristocrazia italiana ed europea, tra cui il senatore e principe Abbondio Rezzonico, nella cui villa di Bassano del Grappa la nobildonna morì improvvisamente il 29 agosto 1803. Oltre al Vaso cinerario di Louise von Callenberg, e ad altri elementi in pietra progettati e realizzati da Domenico Fadiga e Giannantonio Selva a completamento del monumento funebre, saranno esposti alcuni gessi canoviani provenienti dalla Gipsoteca di Possagno, a documentare le felici invenzioni dei geni alati e del ritratto funebre nell’attività creativa del grande maestro. Saranno inoltre presenti i ritratti dei protagonisti coinvolti nella realizzazione dell’opera (Antonio Canova, Abbondio Rezzonico), vedute inedite della città di Padova che mostrano dove fosse collocato il monumento funebre e numerosi volumi dell’epoca che ne hanno tramandato l’immagine e la fortuna. Una sezione della mostra sarà dedicata a una serie di documenti, lettere e scritti del fratello mons. Giovanni Battista Sartori Canova – in gioventù alunno del Seminario vescovile di Padova –, che attestano il legame del presule, erede del fratello scultore, con il suo amato Seminario. Tra i lasciti che il presule predispone, uno racconta della passione numismatica di Sartori Canova: la collezione di ben 3.600 monete dell’antica Roma, frutto di “tanti anni di cure, direi quasi appassionate”. “Con tale legato m’intendeva, Monsignore – scrive Giovanni Battista Sartori Canova all’allora vescovo di Padova Modesto Farina – non solo di dare un segno di grata ricordazione al luogo nel quale ebbi la educazione letteraria ed ecclesiastica e venni assunto al sacerdozio, ma ben anche di supplire ad un bisogno di questo istituto troppo invero scarsamente provveduto per la istruzione dei giovani sulla scienza numismatica”. L’inventario cita per la precisione “3.593 pezzi in argento e primo e secondo bronzo […] ed alcuni cotroni Consolari di n. 163 famiglie […] e quelle dell’alto impero latino di 98 teste”. Una parte di questi oggetti che saranno esposti per la prima volta al pubblico grazie alla mostra sono materia di un progetto di ricerca dell’Università agli Studi di Padova. Sempre dalla Biblioteca Antica del Seminario vescovile di Padova verranno esposti al Museo diocesano un nucleo ragguardevole di incisioni del lascito del marchese Federico Manfredini e numerosi testi. “La mostra – commenta uno dei curatori e direttore del Museo diocesano, Andrea Nante – è un’occasione interessante per scoprire alcune testimonianze inedite su Antonio Canova – “novello Fidia” come lo definivano i suoi contemporanei – ma anche per cogliere lo stretto legame con la città e con alcune tra le più illustri personalità del tempo, intellettuali, artisti, nobili, ecclesiastici. Sarà interessante anche delineare meglio la figura di Louise von Callenberg, di cui alcuni ricercatori stanno studiando il profilo, che si sa essere stata una stimata musicista oltre che nobildonna tra le cui amicizie e frequentazioni annoverava quella con Goethe e Angelika Kauffmann, e con alcune famiglie reali europee. Questa iniziativa si colloca nel contesto del progetto culturale del Museo diocesano improntato da oltre vent’anni a un’attività di conoscenza, recupero e valorizzazione del patrimonio culturale del territorio, condotta in stretta sinergia con gli enti e gli istituti di ricerca e tutela”. (gci)

A MILANO “DA CINDY SHERMAN A FRANCESCO VEZZOLI”

Un’occasione per approfondire il panorama artistico attuale: dallo scorso 7 marzo al 4 maggio, ha aperto a Palazzo Reale a Milano la mostra “Da Cindy Sherman a Francesco Vezzoli. 80 artisti contemporanei”, con oltre 140 opere di 80 artisti contemporanei noti a livello internazionale. Promossa da Comune di Milano – Cultura, da Palazzo Reale e dalla Fondazione Giuseppe Iannaccone, con la produzione esecutiva di Arthemisia, la mostra è a cura di Daniele Fenaroli con il supporto scientifico di Vincenzo de Bellis, e rappresenta un’occasione unica per esplorare i temi della contemporaneità attraverso il punto di vista degli artisti tra i più noti a livello internazionale. La mostra esplora l’arte contemporanea attraverso un’analisi di identità, corpo, sessualità e marginalità, mettendo in evidenza il lavoro di una vasta gamma di artisti. Artisti come Wangechi Mutu, Raqib Shaw, e Luigi Ontani affrontano temi di identità e appartenenza culturale, spesso mescolando tradizione e modernità nelle loro opere. Altri come Roberto Cuoghi e Tammy Nguyen indagano concetti di metamorfosi, mentre Hayv Kahraman e Hiba Schahbaz riflettono sulla diaspora e sul corpo come spazio di memoria. Imran Qureshi e Kiki Smith, invece, esplorano la condizione umana attraverso simbolismo e immagini viscerali. La seconda parte della mostra include artisti come Tracy Emin e Lisa Yuskavage, che trattano la sessualità e la vulnerabilità femminile, mentre Shadi Ghadirian riflette sulle restrizioni culturali e le tensioni di genere nel mondo islamico. Altri come Muntean/Rosenblum, Martin Maloney e Katja Seib utilizzano l’iconografia popolare per esplorare linguaggi visivi e narrativa. Artisti come Francis Alys, Pietro Roccasalva e Andro Wekua trattano temi di viaggio e trasformazione, mentre Giangiacomo Rossetti e Karen Kilimnik riflettono sul concetto di spazio e realtà. La mostra prosegue con Hernan Bas, Nicole Eisenman e Paola Pivi, che creano un dialogo sul corpo, il desiderio e la fluidità, e conclude con Adrian Paci, Marinella Senatore, Massimo Bartolini e Hannah Quinlan, che esplorano esperienze collettive e l'evoluzione dei ruoli sociali. “La mostra invita i visitatori a intraprendere un viaggio attraverso le molteplici espressioni dell’arte contemporanea, capace di interrogare la nostra società e il nostro tempo con sguardi sempre nuovi – dichiara l’assessore alla Cultura Tommaso Sacchi – Le opere in esposizione esplorano tematiche cruciali come l’identità, il corpo, la memoria collettiva e il rapporto tra realtà e immaginario, restituendo un panorama artistico che riflette e interpreta la complessità del presente. Grazie alla straordinaria selezione di opere e artisti invitati, Palazzo Reale si conferma luogo di confronto e scoperta, arricchendo il programma della Milano Art Week con questo nuovo progetto”. L’insieme delle opere esposte evoca all’interno di ogni sala un motivo, una tendenza o un tema centrale nella produzione artistica contemporanea: la riflessione sul corpo, l’identità di genere, i diritti civili, la ricerca di ogni forma di libertà, ma anche temi come la solitudine, l’introspezione, l’indagine sulle dinamiche di gruppo e di società, lo sfaldamento degli archetipi culturali, fino ad aprirsi sul terreno che fa collidere – ora creando aperture ora chiusure – il mondo naturale con quello artificiale, spesso, frutto dell’intervento dell’essere umano. Questi temi e motivi, che si rincorrono costantemente all’interno del percorso espositivo, sono tenuti insieme dal duplice registro reale-immaginario che attraversa tutta la mostra: un viaggio tra sogno e realtà in cui l’allegoria, la mitologia e la leggenda da una parte e la storia, la politica e la società dall’altra si confrontano e si intrecciano. “È meraviglioso guardare la storia dell'arte e vedere – dichiara Giuseppe Iannaccone, Presidente della Fondazione Giuseppe Iannaccone – come gli artisti abbiano sempre esplorato i sentimenti, le emozioni, i piaceri e i tormenti degli esseri umani. Un'epoca segue l'altra, gli artisti si adattano ai fattori sociali ed economici della scena mutevole, inventando nuove forme di poesia; ma il cuore umano resta lo stesso e riesco a vedere un'essenza comune, una componente poetica condivisa, in ogni periodo dell'arte”. La mostra, parte del programma della edizione 2025 di Milano Art Week, vede come sponsor Deutsche Bank, Spada Partners e Atitech; come sponsor tecnico Open Care - Servizi per l'arte, ARTE Generali - Agenzia Milano Teodorico, Tenuta Sarno 1860, Donnachiara – Montefalcione e Petilia – Altavilla Irpina; come media partner IGP Decaux e come mobility partner Frecciarossa Treno Ufficiale. Catalogo edito da Allemandi. Data la forte valenza sociale per i temi trattati quali i diritti fondamentali, la parità di genere, la non discriminazione e l'inclusione sociale, la mostra ha ottenuto per la cerimonia di apertura del 6 marzo l’alto patrocinio del Parlamento europeo. (gci)

NELLA FOTO. Sulle spalle dei giganti, allestimento, Museo Civico Giovanni Marongiu, Cabras. Foto Andrea Mignogna

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