Si chiamano peculiari. Sono le 338 galassie presentate, nel 1966, dall’astronomo statunitense Halton Arp nel celebre catalogo che porta il suo nome. Peculiari perché la loro forma non permette una classificazione univoca all’interno della classica divisione tra ellittiche e spirali. A quarant’anni dalla scoperta che le galassie sono “isole” di stelle al di fuori della nostra Via Lattea – di cui quest’anno ricorre il centenario – Arp era profondamente insoddisfatto dalla comprensione del suo tempo sui meccanismi fisici che portano alla formazione delle galassie a spirale, sul legame tra ellittiche e spirali e, più in generale, sulla formazione ed evoluzione delle galassie. Così, come ricorda un articolo del magazine dell’Inaf, trascorse quattro anni all’Osservatorio di Monte Palomar, in California, fotografando galassie dalle forme più bizzarre: filamenti, code biforcute, anelli, frammenti, ma anche un numero anomalo di bracci a spirale, un nucleo assente oppure bilobato, la presenza di una o più compagne. Il risultato fu l’Atlas of Peculiar Galaxies, uno dei cataloghi più importanti dell’astrofisica moderna, pubblicato allora nell’Astrophysical Journal Supplement e disponibile online sul sito del Caltech. Molti degli oggetti identificati da Arp furono ben presto interpretati come coppie di galassie interagenti – una descrizione che, peraltro, portò lo stesso Arp a dubitare del modello cosmologico standard, in quanto non tutte le coppie sembravano avere lo stesso redshift (ma questa è un’altra storia). Se l’astrofisica ha fatto grandi balzi in avanti negli ultimi decenni, la formazione e l’evoluzione delle galassie restano una spina nel fianco per chi cerca di capire a fondo i fenomeni che regolano l’universo. Oggi come sessant’anni fa, le galassie peculiari rappresentano un laboratorio eccezionale per mettere alla prova nuove ipotesi, e per questo il Centro italiano di coordinamento per il Vst (Vlt Survey Telescope) ha deciso di rivisitare il famoso catalogo, creando un programma di osservazioni pubblico dedicato alle galassie peculiari di Arp visibili dall’emisfero sud. “Sono sempre stata appassionata di queste galassie interagenti», spiega Enrichetta Iodice, presidente del consiglio scientifico dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) e responsabile del Centro italiano di coordinamento per il Vst. “L’idea nasce per curiosità e passione personale: un giorno mi sono chiesta quanti degli oggetti del catalogo di Arp fossero visibili dal Vst e, facendo il conto, ho scoperto che effettivamente ce ne sono tanti, più di cento. Così ho pensato di fare una raccolta da mettere a disposizione dell’intera comunità scientifica, sia nazionale che internazionale”. Il Vst, telescopio italiano con uno specchio dal diametro di due metri, operativo presso l’Osservatorio Eso di Cerro Paranal, in Cile, e oggi gestito interamente dall’Inaf, si distingue per il suo grande campo di vista, capace di coprire un grado quadrato di cielo – pari a circa quattro volte la superficie apparente della luna piena – in una singola osservazione. Questo lo rende uno strumento ideale per mappare in profondità le periferie delle galassie, fino ai bassi livelli di luminosità superficiale necessari per portare alla luce strutture deboli come code mareali, satelliti e aloni, segni di passate interazioni gravitazionali e fusioni galattiche. Il progetto ha una durata prevista di tre anni e molteplici obiettivi scientifici, dallo studio delle interazioni galattiche alla ricerca di piccole galassie satellite, code mareali e galassie ultradiffuse. Una volta elaborati, i dati diventano subito pubblici attraverso l’archivio dell’Eso. Gruppi di ricerca interessati a progetti specifici, comprese tesi di laurea, possono fare richiesta per accelerare le osservazioni di un particolare oggetto del catalogo. Per chi invece ama contemplare le vedute del cosmo profondo, c’è una galleria di immagini sul sito web del progetto che si andrà via via arricchendo nei prossimi mesi. (22 mar – red)
(© 9Colonne - citare la fonte)