Roma, 19 apr - Una sospensione d’urgenza, firmata dalla Corte Suprema degli Stati Uniti, ha fermato temporaneamente l’espulsione di decine di cittadini venezuelani detenuti in Texas, accendendo i riflettori su una controversa applicazione della legge federale risalente al 1798. È l’ultimo capitolo di una crescente tensione tra potere esecutivo e autorità giudiziaria sul terreno instabile delle politiche migratorie. La decisione, comunicata sabato mattina, impone all’amministrazione Trump di sospendere qualsiasi rimpatrio dei detenuti fino a nuovo ordine. “Il governo è tenuto a non rimuovere alcun membro del gruppo detenuto indicato fino a ulteriore disposizione di questa Corte”, si legge nel provvedimento. Contrari i giudici conservatori Clarence Thomas e Samuel Alito, che hanno firmato un dissenso pubblico. Il caso nasce da un ricorso d’urgenza dell’American Civil Liberties Union (ACLU), che ha denunciato il rischio di deportazione imminente per decine di uomini venezuelani detenuti nel centro ICE di Bluebonnet, nel Texas occidentale. Gli avvocati affermano che gli uomini sarebbero stati etichettati sommariamente come affiliati alla gang criminale Tren de Aragua e quindi considerati "nemici stranieri", ai sensi dell’Alien Enemies Act. Questa legge, introdotta nel contesto delle guerre napoleoniche e raramente invocata negli ultimi decenni, consente al governo di detenere ed espellere cittadini stranieri provenienti da paesi ritenuti ostili. Secondo l’ACLU, il governo avrebbe usato tale norma per aggirare le garanzie previste dalla legge sull’immigrazione e impedire ai detenuti di presentare appelli o accedere a un'udienza regolare. Alcuni dei venezuelani, sostiene l'organizzazione, erano già stati caricati su autobus per essere deportati, mentre altri avevano ricevuto documenti in inglese da firmare senza adeguata traduzione. In un caso, un detenuto che parlava solo spagnolo sarebbe stato costretto a firmare un ordine di espulsione con la falsa informazione che provenisse "direttamente dal presidente". La questione aveva già coinvolto diversi tribunali federali: giudici in Colorado, New York e nel sud del Texas avevano vietato rimozioni forzate sotto l’Alien Enemies Act senza garanzie procedurali. Tuttavia, nell’area del centro Bluebonnet non era ancora stato emesso un provvedimento simile. Il giudice distrettuale James Hendrix, a cui inizialmente si era rivolto l’ACLU, si era rifiutato di bloccare le espulsioni, basandosi su dichiarazioni giurate dell’ICE secondo cui non erano previste deportazioni immediate. Ma la nuova documentazione presentata ha spinto i legali a rivolgersi a un secondo tribunale, a Washington, mentre si accendeva l’allarme per l’azione imminente delle autorità. L'intervento della Corte Suprema è giunto in extremis e potrebbe avere profonde implicazioni: da un lato mette temporaneamente in scacco le strategie migratorie dell’ex presidente Trump, candidato alle presidenziali 2024; dall’altro solleva interrogativi sulla legalità e trasparenza dell’uso di strumenti normativi eccezionali in contesti migratori. Il merito del caso è ora rimandato ai tribunali inferiori, ma l’eco politica e giudiziaria di questa ordinanza risuona già forte nella campagna elettorale in corso e nel dibattito sull’uso del diritto in funzione della sicurezza nazionale. La questione non è solo giuridica, ma profondamente politica. (19 apr – sem)