Agenzia Giornalistica
direttore Paolo Pagliaro

A Torino esposti gli abiti giapponesi del passato

Mostre
Le grandi mostre in programma in Italia e quelle che hanno l'Italia, attraverso i suoi grandi artisti, come protagonista nel mondo. Lo "Speciale mostre" è un viaggio tra capolavori, opere d'avanguardia e sperimentali, pittura e scultura, memoria e identità, storia e filosofia, un tributo all'arte e ai suoi protagonisti e un modo per scoprire quanto di buono fanno le istituzioni nazionali e locali per il nostro patrimonio culturale e di creatività.

A Torino esposti gli abiti giapponesi del passato

La mostra "Haori. Gli abiti maschili del primo Novecento narrano il Giappone" ha aperto al pubblico il 12 aprile al Museo d'Arte Orientale di Torino, fino al 7 settembre, offrendo una singolare esplorazione della cultura materiale giapponese attraverso circa 50 haori e juban (le giacche sovrakimono e le vesti sotto kimono maschili), nonché alcuni abiti tradizionali da bambino, provenienti dalla collezione Manavello, in dialogo con installazioni di artisti contemporanei. La mostra non ha attualmente precedenti né in Italia né in Europa e si pone quindi come una novità assoluta nel panorama delle proposte aventi come tematica l'arte dell'estremo Oriente. Le raffigurazioni che decorano gli abiti presentati non sono solo esempi di preziosa manifattura, ma documenti e testimonianze che approfondiscono il Giappone del primo Novecento, un periodo cruciale segnato da trasformazioni sociali, culturali e politiche, tra modernizzazione accelerata e tensioni imperialiste. All’interno del percorso espositivo sono presentate opere di artisti contemporanei come strumenti di analisi e riflessione, invitando il pubblico a orientarsi in un’epoca storica di relazioni complesse tra Giappone, Cina e Corea ancora poco conosciuta in Italia. Il progetto espositivo si avvale della consulenza curatoriale di Silvia Vesco (docente di Storia dell’Arte Giapponese presso l’Università Ca' Foscari di Venezia), Lydia Manavello, You Mi (curatrice indipendente e attualmente docente di Arte ed Economia all’Università di Kassel), in collaborazione con il direttore del MAO, Davide Quadrio, le curatrici Anna Musini e Francesca Filisetti, con l’assistenza di Francesca Corrias. Svelare, non esibire, suggerire senza palesare: a questi principi si ispira la millenaria cultura giapponese che, sull’equilibrio in perenne divenire fra pieni e vuoti e sul senso dell’armonia, tesse ancor oggi la propria esistenza. L’abbigliamento concorre a definire i ruoli e gli spazi in cui si configura e si muove la complessa società nipponica; in questo contesto grande interesse ha sempre destato il kimono femminile, mentre l’ambito degli indumenti maschili è stato ancora poco indagato. Meno appariscenti ma assai interessanti, le vesti da uomo costituiscono, in realtà, una parte consistente del ricco apparato tessile giapponese. Nell’eleganza austera del completo cerimoniale o nella sobrietà di un abito da vivere tutti i giorni, i kimono da uomo racchiudono e definiscono un universo che si rende accessibile solo nel contesto domestico o nel segreto di un incontro amoroso. A rivelare l’anima di chi li indossa sono i soggetti che impreziosiscono gli interni delle giacche o l’intera superficie dei sotto kimono: immagini seduttive o narrative, sempre sofisticate, abilmente tessute o dipinte, elaborate con minuzia o appena suggerite da qualche tratto d’inchiostro, raccontano la cultura del Sol Levante con riferimenti alla letteratura e all’arte della guerra, al mondo naturale e alla sfera divina. Tradizionalmente considerati espressione dell’intimità quotidiana, gli haori e le juban presentati in mostra assumono un nuovo significato e diventano un’occasione per affrontare temi di grande attualità, fra cui le questioni legate all’espansione giapponese del XX secolo in Asia e alle implicazioni politiche e sociali che ne caratterizzarono il contesto storico. Tra queste anche la propaganda, affidata non solo ai tradizionali mezzi di comunicazione ma, in modo tanto sorprendente quanto pervasivo, proprio agli abiti, tra i quali anche quelli da bambino, cui è dedicata un’apposita sezione in mostra. L’esposizione esplora, dunque, l’immaginario comune del Giappone in Occidente, ancora legato a una visione tradizionale e romantica, in contrapposizione alla percezione di un Giappone diverso, a tutt’oggi poco conosciuto, che è quello che trapela dagli abiti maschili; le immagini che li caratterizzano da un lato celebrano il mito dell’Occidente, dai plurimi volti, dall’altro mirano ad enfatizzare l’orgoglio nazionale nipponico, entrambe culminati nell’evoluzione tecnologica e nella strenua difesa della propria identità, prima e durante il secondo conflitto mondiale. Questa eredità, lungi dall’essere cancellata dal tempo, sopravvive ancor oggi in Paesi e realtà al di fuori del Giappone ma allora coinvolti, e di essa le installazioni e i video contemporanei in mostra offrono una tangibile testimonianza, arricchendo il racconto con riflessioni sul tempo passato e presente. Fra i lavori all’interno del percorso espositivo il video A Needle Woman e le sculture Bottari di Kimsooja (Taegu, Corea, 1957), che indagano il rapporto tra individuo e società, con particolare attenzione all’idea di ibridismo culturale e linguistico, ponendo l’accento su come il nomadismo e la migrazione plasmino l’identità personale e collettiva; la grande installazione Kotatsu (J. Stempel) di Tobias Rehberger (Esslingen, Germania, 1966) che, unendo due tradizioni agli antipodi come quella giapponese e quella tedesca, affronta il tema della morte e della trasformazione. Infine il video Kishi the Vampire di Royce Ng (Hong Kong, 1983), che riscrive la storia di Kishi Nobusuke (primo ministro giapponese dal 1957 al 1960) come una storia di vampiri, utilizzando questo personaggio storico per proporre una rilettura fantastica dell’economia politica tra Giappone, Corea e Cina del XX secolo; a quest’opera fa eco il film Tungus, di Wang Tuo (Changchun, China, 1984) che tratta gli stessi temi attraverso una ricerca storico-artistica che intreccia fatti storici, archivi culturali, finzione e mitologia in narrazioni speculative. In linea con la programmazione del MAO, la mostra è concepita come un organismo vivo e, per tutta la sua durata, presenta un programma musicale e performativo, a cura di Chiara Lee e freddie Murphy. A giugno sarà presentato il catalogo della mostra in lingua italiana e inglese, con saggi critici inediti e un ampio apparato iconografico, edito da Silvana Editoriale. (gci)

"GHIACCIAI": SEBASTIAO SALGADO TRA ROVERETO E TRENTO

Tre grandi istituzioni culturali trentine presentano "Ghiacciai", l’ultimo progetto di Sebastiao Salgado. Tra Rovereto e Trento, dal museo di arte al museo di scienze, oltre 60 fotografie in grande e grandissimo formato costituiscono una mostra-manifesto che celebra i ghiacciai del mondo nell’anno a loro dedicato. Con l’obiettivo di sensibilizzare la società sul ruolo essenziale nel sistema climatico e idrologico globale, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha proclamato il 2025 Anno Internazionale della Conservazione dei Ghiacciai. Nata da un’idea del Trento Film Festival, la mostra è a cura di Lélia Wanick Salgado ed è prodotta in collaborazione con Contrasto e Studio Salgado, con il coordinamento di Gabriele Lorenzoni (Mart) e Luca Scoz (MUSE). Dallo scorso 12 aprile al 21 settembre al Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Rovereto e dal 12 aprile all’11 gennaio 2026 al Muse – Museo delle Scienze di Trento. Dopo l’imponente progetto “Genesis”, dedicato alle regioni più remote del pianeta per testimoniare la maestosa bellezza di mondi in cui natura, animali ed esseri viventi vivono ancora in equilibrio con l’’ambiente, con il successivo progetto “Amazonia” Salgado ha intrapreso una serie di viaggi per catturare l’incredibile ricchezza e varietà della foresta amazzonica brasiliana e i modi di vita dei suoi popoli, stabilendosi nei loro villaggi per diverse settimane. Con "Ghiacciai", Salgado cattura la bellezza mozzafiato delle masse glaciali in una galleria di immagini esclusive, in gran parte inedite, selezionate per questa occasione. Dalla Penisola Antartica al Canada, dalla Patagonia all’Himalaya, dalla Georgia del Sud alla Russia, le fotografie ritraggono, in un bianco e nero ricco di contrasti, alcuni dei luoghi più studiati da ricercatori che indagano la storia geologica della Terra, così come le conseguenze a breve e lungo termine della crisi climatica e del riscaldamento globale. Proponendo al grande pubblico uno dei soggetti prediletti e meno conosciuti di Salgado, la mostra è un nuovo tributo visivo con il quale l’artista invita ancora una volta a riflettere sulla vita, sulla salvaguardia degli ecosistemi, sui comportamenti rispettosi e consapevoli. Al Mart di Rovereto e al MUSE di Trento, il progetto rappresenta da un lato un’occasione unica di conoscenza e approfondimento del lavoro di Sebastiao Salgado, tra i più conosciuti e amati fotografi contemporanei, da cinquant’anni impegnato a documentare la vita degli esseri umani e del pianeta; dall’altro lato offre la possibilità di affrontare uno dei temi più urgenti del nostro tempo: quello del cambiamento climatico. Fin dai primi monitoraggi scientifici negli anni Sessanta, è emerso con chiarezza come di decennio in decennio si possa registrare una costante, drammatica, riduzione di volume e superficie dei ghiacciai di tutto il mondo, alcuni dei quali sono già, di fatto, estinti. La scomparsa dei ghiacciai comporta in primo luogo la perdita culturale di panorami inestimabili, accecanti nella loro maestosità, capaci di affascinare generazioni di viaggiatori, artisti e poeti. I ghiacciai sono elementi fondamentali nella regolazione del ciclo idrologico e del clima locale e globale, sono vivi e fautori di vita, da loro dipendono l’approvvigionamento di acqua potabile di due miliardi di persone e due terzi dell’agricoltura irrigua mondiale. Per il Mart di Rovereto Salgado ha scelto oltre 50 fotografie di ghiacciai di tutto il mondo che costituiscono un percorso unico, emozionante e suggestivo. La mostra si chiude con una “sala video” nella quale Mart e Trento Film Festival propongono una selezione tematica di film che si apre con Icemeltland park, di Liliana Colombo (Italia/Regno Unito, 2020, 40’), premiato nell’edizione 2021 del Festival con la Menzione Speciale della Giuria. Alla selezione hanno lavorato Miro Forti e Rosanna Stedile, Trento Film Festival, insieme alla direttrice del Festival, Luana Bisesti, e al curatore della mostra, Gabriele Lorenzoni. La mostra rafforza l’impegno del Trento Film Festival nella difesa dell’ambiente e degli ecosistemi naturali e arricchisce i contenuti della 73esima edizione, a Trento dal 25 aprile al 4 maggio, di cui Salgado ha firmato il manifesto con una fotografia del ghiacciaio del Parco nazionale e riserva di Kluane. Al MUSE di Trento le fotografie di Salgado costituiscono una grande installazione site specific sospesa nel “Grande Vuoto”, lo spazio che l’architetto Renzo Piano ha immaginato come cuore pulsante del museo. Scattate tutte in Canada, nel Parco nazionale e riserva di Kluane, costituiscono un unico grande ciclo fotografico. Il progetto espositivo è completato da un ricco catalogo edito da Contrasto. A introdurre le opere, un intervento della scienziata e divulgatrice Elisa Palazzi, docente di Fisica del clima all’Università di Torino. Per l’occasione, è stata inserita in apertura del catalogo "Ghiaccai" una poesia di Primo Levi del 1946 pubblicata da Einaudi. (gci)

PROROGATA AL 28 SETTEMBRE "NIKI BERLINGUER. LA SIGNORA DEGLI ARAZZI"

Alla Casina delle Civette di Villa Torlonia, a Roma, fino al 28 settembre rimarrà esposta una piccola e pregevole selezione di arazzi della mostra “Niki Berlinguer. La signora degli arazzi” che in questi mesi ha presentato una panoramica della produzione della celebre tessitrice e artista. L’esposizione, promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, a cura di Claudio Crescentini, è organizzata e ideata da “Il Cigno Arte” con i servizi museali di Zètema Progetto Cultura. Conosciuta come “la grande signora italiana degli arazzi”, Niki Berlinguer – nome d’arte di Corinna Adelaide Augusta Fidelia (1905-1994) dopo il suo matrimonio con Mario Berlinguer nel 1950 –, ha lavorato con gli esponenti principali delle correnti artistiche italiane del secondo Dopoguerra, tra cui Umberto Mastroianni, Achille Perilli, Renato Guttuso, Piero Dorazio, Emilio Vedova e Corrado Cagli. Attraverso il suo lavoro, Niki Berlinguer ha reinterpretato le opere di grandi maestri come Hans Hartung, Paul Klee, Vincent van Gogh e molti altri, fornendo con l’arte tessile nuove dimensioni linguistiche e cromatiche, all’insegna della fusione tra tradizione e innovazione, pioniera nel tradurre la pittura in narrazioni tessili, unendo l’antica tecnica del piccolo punto con influenze contemporanee. Si potranno quindi ancora ammirare alcuni fra gli arazzi più interessanti, come quelli ispirati da noti artisti: l’“Aranceto, da Renato Guttuso”, “Hammamet, da Paul Klee” e “Dai Cinque Monti, tratto da Emilio Vedova”. Le opere non sono mai copie pedisseque dei modelli che imitano ma vere e proprie re-interpretazioni, secondo l’estro, il gusto e la visione del mondo di Niki Berlinguer. Gli arazzi rappresentano un unicum nel contesto culturale e storico in cui è vissuta, quel mondo particolarmente creativo che ha segnato Roma nel Secondo Dopoguerra. Niki è stata testimone dell’arte italiana della sua epoca, raccontandola con ago e filo, strumenti semplici in grado di creare opere legate a un sapere antico. L’esposizione è una straordinaria occasione per riscoprire in maniera organica l’enorme produzione di Niki Berlinguer, sparsa in mille rivoli in varie personali e collettive per oltre quarant’anni, dal 1952 fino al 1994, anno della sua scomparsa. Il percorso è arricchito, dall’ultima video-intervista dell'artista del gennaio 1994, regia di Maura Cosenza e riprese video di Gianni De Santis, trasmessa in mostra grazie alla collaborazione con il Centro Internazionale Antinoo per l'Arte - Centro Documentazione Marguerite Yourcenar. Il catalogo, edito da “Il Cigno Arte”, presenta saggi del curatore Claudio Crescentini, della studiosa Virginia Giuliano e di Maria Taboga, responsabile del Laboratorio di restauro degli arazzi del Palazzo del Quirinale e studiosa delle manifatture italiane dell'Otto e Novecento. A corollario della mostra continuerà anche la serie di storytelling L'Arazzo della domenica, incontri mensili che approfondiscono il rapporto artistico, oltre che amicale, fra Niki Berlinguer e i grandi artisti contemporanei di cui ha reinterpretato le opere. (gci)

“FLUIRE L’INFINITO”: LE OPERE DI VERONICA GAIDO A FORTE DEI MARMI (LU)

Il Fortino Leopoldo I di Forte dei Marmi (LU) torna a confrontarsi e ospitare un’artista che ha scelto l’obiettivo come linguaggio per narrare la società, la donna, il contemporaneo: Veronica Gaido. Eterno movimento, mutamento e trasformazione: dallo scorso 19 aprile al 25 maggio, Veronica Gaido porta al Fortino 30 anni di fotografia con “Fluire l’infinito” a cura di Beatrice Audrito, un percorso sui tre piani di uno dei luoghi simbolo della "sua" Forte dei Marmi, dove l'artista torna dopo aver portato il suo sguardo da New York a Londra, dalla Francia alla Spagna, fino al Marocco. “Un progetto inedito dove esploro la relazione tra l'acqua quale elemento universale e il corpo umano come custode di storie ed emozioni legate alla mia terra d'origine, la Versilia, dove ho iniziato il mio percorso artistico”, spiega la stessa artista. È con questo linguaggio che unisce fotografia, installazione e nuove tecnologie, che Veronica Gaido continua a esplorare il potenziale visivo e concettuale della fotografia stessa, trasformando il settecentesco fortino difensivo della città versiliese nella cornice contemporanea di una mostra fatta di immagini fluide, rarefatte e mutevoli, dove il tempo e lo spazio si intrecciano. Con le sue oltre 25 fotografie artistiche, “Fluire l’infinito” celebra così il dialogo tra microcosmo umano e macrocosmo naturale: un viaggio tra corpi scolpiti dalla luce e spazi che si dissolvono tra terra e mare, invitando il pubblico a immergersi in un'esperienza intima. L’esposizione, patrocinata dal Comune di Forte dei Marmi, si snoda in un percorso che omaggia questi temi e analizza la relazione tra l'immagine statica e il fluire del tempo; tra la fotografia e la sua capacità di restituire il flusso incessante della vita in continuo divenire. A restituire questo scenario è lo sguardo di Veronica Gaido, capace di catturare effetti di luce e movimento grazie a un uso sapiente della tecnica della lunga esposizione che registra l'infinito fluire delle cose del mondo, restituendo una realtà fuori-fuoco ma non per questo meno autentica. Il percorso espositivo, che si sviluppa sui tre piani del Fortino Leopoldo I, pone l'accento sul divenire di tutte le cose. Il piano terra presenta il progetto "Fluire l'infinito", un ciclo di opere inedite sui mari da cui prende spunto il titolo della mostra, mentre i piani superiori ospitano Aphrodite, lavoro che esplora il tema della trasformazione del corpo e Through the View. Quest'ultimo, realizzato nel 2014 e presentato a Palazzo Quartieri in occasione del centenario di Forte dei Marmi, racconta lo sviluppo urbano della città con una serie di immagini in bianco e nero di grande formato che giocano sulla geometria dei luoghi e sulla moltiplicazione dei punti di vista. Dal 9 maggio, Veronica Gaido sarà inoltre presente a Venezia, all’interno della mostra collettiva "VENICE_TRANSFORMED – Connecting Art_Architecture", curata da Gisela Winkelhofer, in occasione della 19esima Biennale di Architettura al Palazzo Pisani, insieme a: Arik Levy, Julian Opie, Zoé Ouvrier, Alicja Kwade, Jorinde Voigt, Carina Brunnelli e Gregor Hildebrandt. Nata a Viareggio nel 1974, Veronica Gaido si avvicina alla fotografia da giovanissima. Dopo gli studi, approfondisce il suo percorso nelle principali scuole di arti visive europee, sviluppando un approccio basato sulla continua ricerca e sperimentazione. Parallelamente al suo lavoro per campagne ADV, ritrae personaggi come Andrea Bocelli, Joe Bastianich e Alfonso Cuaron, affinando il suo linguaggio visivo tra fotografia commerciale e ritrattistica. Nel 2001 inizia il suo percorso nel mondo dell’arte collaborando al progetto Bunker Poetico di Marco Nereo Rotelli, presentato alla Biennale di Venezia sotto la direzione di Harald Szeemann. L'anno successivo inaugura la sua prima mostra personale "Sabbie Mobili", curata da Maurizio Vanni, segnando l’inizio di una ricerca artistica in continua evoluzione. Nel 2012 realizza un video per la Fondazione Henraux, presentato alla Triennale di Milano, sperimentando riprese aeree con drone. Nello stesso anno entra nella giuria del “Premio Fondazione Henraux”, presieduta da Philippe Daverio, e sviluppa il progetto Awareness of Matter. La ricerca visiva la porta a viaggiare tra India e Bangladesh, dando vita a Atman (2012), esposto a Pietrasanta, Milano, Londra e Parigi. Nel 2014 avvia il progetto Mogador, dedicato al porto di Essaouira e presentato in Marocco e Spagna. Seguono progetti come Doppio Corpo (Roma, 2019) esposto al Museo San Salvatore in Lauro a Roma, Dedalo (Venezia, 2021; Milano, 2022) esposto alla Casa dei Tre Oci a Venezia e Invisible Cities (New York, 2023; Miami 2024, Pietrasanta, 2024), in cui approfondisce il rapporto tra spazio, luce e percezione. Dopo la mostra "Invisible City" al Chiostro di Sant’Agostino a Pietrasanta, il Comune di Forte dei Marmi ospita al Fortino Leopoldo I l’esposizione "Fluire l’infinito", un nuovo capitolo della sua ricerca sull’acqua e il mare in movimento. (gci)

IL PROGETTO "PICTURES OF YOU" A FINALBORGO (SV)

Dopo il grande successo della mostra interattiva “PICTURES OF YOU” (un progetto di Henry Ruggeri e Rebel House con la collaborazione di Chiara Buratti) a Milano e a Lugo, prossimo appuntamento a Finalborgo in provincia di Savona, presso l'Oratorio de' Disciplinanti dal 24 aprile al 4 maggio. La mostra è inserita nel Finale Music Festival e ha il patrocinio del Comune di Finale Ligure. La mostra è composta da più di 50 fotografie scattate da Henry Ruggeri ad artisti iconici del mondo della musica, come Pearl Jam, Foo Fighters, Rolling Stones, Ramones, Madonna e tanti altri. Grazie alla tecnologia fornita dall’app Notaway®, inquadrando ogni fotografia, appariranno direttamente sul telefono dei visitatori in realtà aumentata i contributi video che erano stati realizzati appositamente da Massimo Cotto, tra le voci di più amate di Virgin Radio e protagonista della storia del giornalismo musicale. In questo modo lo spettatore potrà non solo ammirare le fotografie, ma anche conoscere curiosità e aneddoti degli artisti ritratti grazie allo storytelling unico del grande giornalista. "Eravamo sul palco di Imola prima del concerto degli AC/DC – dichiara il fotografo Henry Ruggeri – e lui invece di essere emozionato perché avrebbe dovuto parlare davanti a 100.000 persone mi dice che gli sarebbe piaciuto collaborare con me. Poi ha affrontato il pubblico come se fosse la cosa più naturale del mondo. Ci ho messo nove anni per trovare un progetto all’altezza della sua grandezza e a lui l’idea è piaciuta un sacco. Ricorderò per sempre quella giornata, ricorderò per sempre Massimo. Viva Massimo". "È un orgoglio essere l’anello che unisce due artisti come Henry Ruggeri e Massimo Cotto – afferma Mattia Priori, direttore creativo di Rebel House – 'PICTURES OF YOU' è un progetto emozionante, che da continuità all’opera di un uomo speciale che ha lasciato un grande segno nella comunità musicale italiana e che non vogliamo far dimenticare". “PICTURES OF YOU” vede la collaborazione di Chiara Buratti, moglie di Massimo Cotto, per rendere omaggio al contributo straordinario che Massimo ha dato alla scena musicale internazionale. Un tributo innovativo che fonde passato e futuro, unendo memoria e tecnologia per mantenere viva l’eredità di un grande narratore della musica. "Quando l’amicizia, la professionalità e due stili di narrazione così diversi ma anche così simili come quelli di Henry e Massimo si incontrano, nasce 'PICTURES OF YOU' – racconta proprio Chiara Buratti – La foto live cattura l’attimo, mentre la parola, nel momento in cui viene pronunciata, si diffonde e diventa eterna". Tra le iniziative del progetto “PICTURES OF YOU” anche l’omonimo libro, edito da Gallucci Editore nella collana Sounds Good, con le fotografie di Henry Ruggeri e i testi di Massimo Cotto. Henry Ruggeri ha iniziato a “ritrarre la musica” nel 1988 fingendosi fotografo professionista per conoscere i suoi idoli: i Ramones. Da quel giorno non ha più smesso. Oggi è il fotografo ufficiale di Virgin Radio e uno dei più seguiti fotografi “live” della scena musicale italiana (oltre 160.000 followers nei suoi profili social). Tra i gruppi fotografati troviamo Pearl Jam, Foo Fighters, Rolling Stones, Madonna, Guns N’ Roses, Muse, AC/DC, Ramones, REM, Kiss, U2 e tanti altri. Dal 2014 sta portando in giro per l’Italia una raccolta di foto e memorabilia che raccontano la sua carriera trentennale passata nei pit degli eventi rock più importanti avvenuti nel nostro paese. Ad oggi le mostre fatte sono oltre 50 con esibizioni in città come Napoli, Palermo, Roma, Cosenza, Treviso, Milano, Bassano Del Grappa, Taranto, Londra e Los Angeles. (gci)

NELLA FOTO. Installation view, Haori. Gli abiti maschili del primo Novecento narrano il Giappone. Foto: Studio Gonnella

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