Cento anni fa nasceva Sergio Vacchi (Castenaso, Bologna, 1º aprile 1925 – Siena, 15 gennaio 2016) uno dei più originali e significativi artisti del Novecento italiano che dall’informale e dal naturalismo passa a un linguaggio personalissimo, non incasellabile in alcuna definizione di scuola, denso di riferimenti storici, mitologici e sociali. A sessant’anni dal suo debutto napoletano, il Museo e Real Bosco di Capodimonte gli dedica l’omaggio “Sogno mediterraneo. Sergio Vacchi” con opere rappresentative della sua produzione dal 1959 al 2006, dallo scorso 6 novembre fino al 27 gennaio 2026. Scelte insieme alla Fondazione Vacchi, le opere esposte per l’occasione rivelano la forza dirompente dell’originalissima mente dell’artista, un visionario spesso largamente in anticipo sui tempi. La mostra napoletana è accompagnata da un catalogo edito da Forma e aperto dal saggio di Eike Schmidt intitolato ‘Da Adamo ed Eva a Federico II di Hohenstaufen Sergio Vacchi a Napoli 1965-1967’. In questo 2025 cadono anche le celebrazioni dei 2.500 anni dalla fondazione di Napoli, oggi più che mai sulla ribalta internazionale nel ribadire il carattere aperto e cosmopolita di questa metropoli mediterranea e il suo ruolo storicamente all’avanguardia: la mostra del maestro bolognese è quindi l'occasione per ripercorrere anni fondamentali della vita culturale partenopea nel secolo scorso. "La piccola ma concentrata esposizione che offriamo oggi a Capodimonte – scrive Schmidt nel suo saggio – vuole ricordare soprattutto il ruolo di Sergio Vacchi in città nel momento più decisivo per la svolta contemporanea della scena artistica di Napoli e riavvicinarlo al vivacissimo e sperimentale panorama attuale, attraverso alcune delle opere più pregnanti della sua fase successiva". La mostra, che rappresenta anche il principale tributo italiano per il centenario, intende quindi ribadire il legame di Vacchi con la città partenopea: basti ricordare che già nel 1965 – un vero “anno cerniera” per Vacchi e per il rinnovamento dell’arte a Napoli – alla Galleria “Il Centro” l’artista presentò “Adamo ed Eva in Italia”: un ciclo che sanciva il ritorno al figurativo. Nello stesso anno Marcello Rumma avviava un’intensa attività di promozione di arte contemporanea e Lucio Amelio apriva la Modern Art Agency. Nel 1966 Vacchi espone alla Galleria San Carlo e nel 2019 il Museo Madre presenta un dipinto (Eva Imperiale - 1965) dell’artista scomparso da poco, nella collettiva “I sei anni di Marcello Rumma 1965-1970”. Come è noto, Sophia Loren e Carlo Ponti sono stati suoi affezionati collezionisti, acquisendone più di cento opere. E nel catalogo, così come nel percorso allestitivo, non poteva mancare l'iconica immagine di Sophia scattata da Dan Forer (1967), nell'intimità della sua casa accanto a uno degli amati ritratti che Vacchi le aveva fatto. Già la mostra napoletana del 1965 ha presentato infatti numerose opere di Vacchi, provenienti dalla loro raccolta; poco dopo la coppia Ponti-Loren acquistò la Morte di Federico II di Hohenstaufen - Notturno italiano (1966), un dipinto monumentale largo ben 4 metri. Del ciclo su Federico II – che più di ogni altro rappresenta il fascino del Mezzogiorno nell’opera di Vacchi – fa parte anche la grande tela La telefonata di marmo, qui in mostra, che perfettamente ne cattura lo spirito ermetico e fantastico. "La mostra intende ricordare il momento straordinario del 1965 - sottolinea Schmidt - la visione di una città che apre, rischia e innova. In pochi anni Napoli passò dalla lunga egemonia della cultura ottocentesca a una centralità internazionale nell’arte contemporanea. L’arrivo di Vacchi si inserì perfettamente in questo nuovo clima, capace di accogliere una pittura insieme colta, visionaria ed esistenziale. A rendere emblematica quella stagione fu l’incontro con due collezionisti d’eccezione, Carlo Ponti e Sophia Loren, che in quel periodo misero insieme una delle raccolte più importanti di arte del ‘900 in Europa. Ma questa esposizione è anche l’occasione per proporre al nostro pubblico, per la prima volta, una selezione di opere dei decenni successivi di un artista fra i più originali del secondo Novecento italiano, di un autentico poeta delle immagini". La mostra è ospitata al primo piano della reggia borbonica, tra gli spazi dedicati ai cartoni di Michelangelo e Raffaello e la parte della collezione che include Mantegna, Tiziano, Brueghel, e i capolavori del ‘600 emiliano. Le sei opere di grande formato si legano idealmente e figurativamente alla realtà storica e fisica partenopea. La tela Primo memoriale organico (1959) è violenta e drammatica come un’eruzione vulcanica: la materia pittorica, densa e grumosa, sembra entrare nelle viscere del Vesuvio e descriverne il magma incandescente un attimo prima che esploda verso l’esterno. In Per un volto del paesaggio (1962) protagonista è il sole, e unico essere vivente un uccello grasso come un gabbiano. L’archeologia, il mare, la storia della regione sono i temi di La telefonata di marmo (1966) e L’amante di Federico II di Hohenstaufen (1966), due dipinti dove Vacchi allude con impareggiabile ironia alla sofisticata eleganza che serpeggia nelle creazioni artigianali, artistiche, architettoniche del Golfo. La rassegna continua con Iter itineris secondo, del 2005, dove l’artista già ottantenne descrive un gregge ammantato di rosso, agnelli con orecchie diaboliche (la dualità della natura umana?) che sembrano planare su un brullo paesaggio costiero. Il tempio greco è piccolo e lontano, come un giocattolo sospeso su un colle: ricordo di glorie passate ormai inutili. Eppure, in questa immagine apocalittica, la speranza si accende in quelle due sciabolate di luce bianca che, come le ali di un arcangelo, attraversano la parte sinistra della tela: profezia e promessa insieme. Della Melancholia Seconda è uno degli ultimi capolavori pittorici di Vacchi, un interno aperto in cui domina il vuoto, un chiaro tributo all’ultima cena leonardesca in cui si affacciano figure animalesche e una mano al centro con un dito che punta verso l’alto. "Questa mostra al Museo di Capodimonte rappresenta per me e per la Fondazione Vacchi un importante traguardo: ricordando Sergio Vacchi nel centenario dalla sua nascita – sottolinea la presidente della Fondazione Vacchi, Marilena Graniti Vacchi – Napoli svela il ‘Sogno Mediterraneo’ dell’artista, un mondo intriso di storia, memoria, profezia e mistero. Un gioco di specchi tra psiche ed enigmi nascosti negli oggetti della vita quotidiana. La figura di un imperatore colto e illuminato come Federico II è protagonista di un intero ciclo di opere di Vacchi che nel suo lavoro riafferma la cultura millenaria della città e, allo stesso tempo, il suo ruolo di crocevia privilegiato dell’arte contemporanea. Napoli e il ‘Sogno Mediterraneo’ dell’artista si incontrano di nuovo in questa mostra, sapendo di non essersi mai realmente lasciati poiché legati dalla stessa identità folle e geniale. Al contempo, è un’occasione per riscoprire la modernità del linguaggio di Vacchi e la complessità di una forza poetica che continua a parlare al presente". (gci)
ARTE, A ROMA L'"ARMONIA" DI OTELLO SCATOLINI
Da domani al 3 gennaio il Mattatoio di Roma presenta la mostra di Otello Scatolini, "Armonia 5.0. Allorché di due farete Uno" che riunisce le opere realizzate dall’artista romano nell’arco di circa quindici anni, connesse tra loro da uno dei fili conduttori principali della sua ricerca, svolta tra disegno, pittura e scultura: l’armonia del titolo che l’artista ricerca da alcuni anni anche attraverso una pratica meditativa, e che trova compimento sia nelle forme, sia nelle tecniche utilizzate, cercando un equilibrio tra marmo, resina, colori e diversi materiali, conferendo alla scultura monumentale la leggerezza dell’acqua. Il sottotitolo della mostra esplica questo dualismo, rappresentato dalla grande scultura Androgino (2015), nuovo essere vitruviano lanciato nel XXI secolo e culminante nell’Uovo Cosmico (2005), sintesi del gesto magico, creatore e guaritore dell’arte. Tra le opere in mostra, un grande spazio è dedicato alle grandi tele recanti una scrittura sussurrata e quasi inintelligibile che ritroviamo anche in alcune sculture (Grida e sussurri, 2010; Mo(a)rmorio, 2010): colata nel piombo e nell’oro, riferimento alla sublimazione alchemica, la scrittura diventa mantra e suggerisce al visitatore il silenzio e il pensiero, in opposizione alle grida e alla superficialità dominanti. La mostra, a cura di Claudio Strinati, nasce da un’idea di Ivana Della Portella, vicepresidente Azienda Speciale Palaexpo con delega al Mattatoio di Roma ed è promossa da Assessorato alla Cultura di Roma Capitale e Azienda Speciale Palaexpo con la produzione ed il coordinamento di Penelope Filacchione. Otello Scatolini è un artista che sembra nascere dalla pietra stessa, come se la scultura non fosse per lui un linguaggio appreso, ma un codice inscritto fin dall’origine nella sua biografia. Figlio d’arte, ha imparato in un cinquantennio a conoscere il marmo e la fatica del lavoro manuale con una naturalezza che non si disgiunge mai dalla consapevolezza formale approfondita attraverso un percorso accademico rigoroso. La sua è una scultura che nasce dall’ascolto: ascolto della materia, delle sue resistenze e delle sue promesse; ascolto delle parole e del suo significato profondo. La stessa fase progettuale è per Scatolini una fase di silenzio e di pensiero che si trasforma in parole guida e segno, poi in disegno e quindi in opera scolpita: due sale della mostra sono dedicate alla restituzione e alla condivisione di questa esperienza originaria, permettendo ai visitatori di immergersi virtualmente nello studio dell’artista attraverso l’impiego di visori in 3D. Un’esperienza immersiva dell’atto creativo alla presenza dell’artista, che in diverse occasioni guiderà il pubblico attraverso tutte le fasi del suo lavoro, raccontandone la genesi, l’atto materiale e il significato finale. Il catalogo della mostra di prossima uscita raccoglierà le fotografie di tutte le opere esposte e il testo critico del curatore Claudio Strinati. Prevista una serie di incontri con l’artista con visita immersiva nel suo studio con visori 3D: sabato 22 novembre h.17; domenica 30 novembre h.11.30; sabato 13 dicembre h.17; sabato 20 dicembre h.17, Sono previsti incontri con gli allievi delle Accademie di Belle Arti e delle Scuole d’Arte e dei Mestieri di Roma Capitale. (redm)
A BOLZANO L’ESPOSIZIONE “ARTIFICES: I CREATORI DELL’ARTE”
Il 21 novembre alle ore 17:00 presso il Centro Trevi – TreviLab di Bolzano si inaugurerà la mostra “Artifices: i creatori dell’arte”, terzo appuntamento del progetto pluriennale “Storie dell’arte con i Grandi Musei”, ideato da Antonio Lampis e promosso dall’Assessorato alla cultura italiana della provincia di Bolzano e realizzato dall’Ufficio Cultura in collaborazione con il Museo Nazionale Romano. Sarà visitabile dal 21 novembre al 12 aprile 2026, a ingresso gratuito. “L’esposizione - sottolinea Marco Galateo, vicepresidente della Provincia e assessore alla Cultura italiana - fa seguito alla mostra ‘Antichi Egizi: maestri dell’arte’ (2023), curata dal Museo Egizio di Torino e, nel 2024, la mostra ‘Etruschi: artisti e artigiani’ realizzata in collaborazione con il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia di Roma. Il progetto ha l’ambizione di accompagnare il pubblico in un viaggio alla scoperta delle civiltà antiche e di raccontare, anno dopo anno, come si è evoluta nel corso dei secoli la figura dell’artista, da artigiano altamente specializzato ad artista socialmente riconosciuto, vero e proprio autore delle proprie creazioni”. La mostra presenta una selezione di reperti significativi, espressione dell'eccellenza artigianale romana e veicolo di alcuni degli aspetti più rappresentativi della cultura materiale dell’antichità. Attraverso ceramiche tipiche, prodotti di lusso e sculture che approfondiscono il concetto di copia tipico del mondo romano, la mostra racconta dei cambiamenti sociali e delle trasformazioni culturali del territorio di Roma e dei suoi abitanti dall’età repubblicana alla fine dell’Impero. Anche quest’anno la mostra sarà l’occasione per approfondire alcune tematiche più prettamente legate al territorio, tra le quali l’importanza della Via Claudia Augusta, arteria stradale che collegava la città di Altinum (Altino, vicino Venezia) a Donauworth (Germania) e che venne costruita dai romani nel I sec. d.C., dopo la loro conquista di questi territori. Eventi collaterali accompagneranno l’esposizione per tutta la sua durata. Per gli appassionati di archeologia sono in programma tre visite guidate al sito romano bolzanino di Pons Drusi, previste per il 23 gennaio, il 20 febbraio e il 20 marzo. Il sito, scoperto nel 2016 sotto il Centro di Riposo Grieserhof, nel quartiere di Gries, è stato oggetto di un importante intervento di musealizzazione da parte della Provincia di Bolzano ed è oggi visitabile solo su prenotazione. Per l’occasione i visitatori potranno ammirare i resti di un edificio pubblico romano, di una villa decorata con raffinati mosaici e alcuni reperti, testimonianza dell’alto livello di insediamento e della qualità della cultura materiale in epoca imperiale anche in queste regioni alpine. (gci)
TRA ARTE, CALLIGRAFIA E TIPOGRAFIA CON “CARATTERI” A VENEZIA
Nell’ambito della rassegna annuale East West Calligraphy - che propone masterclass, incontri e conferenze dedicati alla calligrafia - il Museo Correr di Venezia ospita la mostra “CARATTERI. Calligrafia e tipografia: Corea del Sud e Stati Uniti”, visitabile dallo scorso 8 novembre all’11 gennaio 2026 nella Sala delle Quattro Porte. L’esposizione, curata da Monica Viero e Monica Dengo, propone un originale dialogo tra Oriente e Occidente attraverso la scrittura e il segno alfabetico, mettendo in relazione opere di quattro artisti contemporanei – Kim Doo Kyung, Kang Byung-In, Thomas Ingmire e Amos Paul Kennedy Jr. – con documenti storici provenienti dalla Biblioteca del Museo Correr. Dopo edizioni che avevano esplorato la scrittura come segno astratto, “CARATTERI” si concentra sulle scritture fonetiche: l’alfabeto Hangeul per gli artisti coreani e l’alfabeto latino per gli statunitensi. Le opere selezionate rivelano la duplice natura della scrittura come gesto corporeo e mezzo di comunicazione, invitando il pubblico a osservare come il segno possa essere al tempo stesso espressione artistica e veicolo di significato. Gli artisti Kim Doo Kyung e Kang Byung-In, provenienti dalla Corea del Sud, reinterpretano l’alfabeto Hangeul – ideato nel XV secolo dal re Sejong il Grande – come linguaggio di armonia tra cielo, uomo e terra. Le loro scritture, frutto di un gesto meditativo e disciplinato, trasformano vocali e consonanti in forme poetiche che uniscono filosofia, estetica e spiritualità. Accanto a loro, l’americano Thomas Ingmire, figura di riferimento della calligrafia contemporanea occidentale, esplora il potere visivo e sonoro delle parole. Le sue opere, come One Day, ispirata ai versi di Jack Hirshman, intrecciano testo e immagine in una danza ritmica che unisce poesia, musica e architettura della pagina. Chiude il percorso Amos Paul Kennedy Jr., tipografo statunitense riconosciuto per i suoi poster dai forti contenuti sociali. Con l’uso di caratteri mobili e colori vibranti, Kennedy trasforma frasi e aforismi in manifesti di giustizia e libertà, ispirandosi a figure storiche come Rosa Parks e Sojourner Truth. La sua tipografia è un’arte pubblica e partecipata, che restituisce la parola al popolo. A completare la mostra, una sezione documentaria mette in relazione due grandi tradizioni storiche: l’alfabeto Hangeul, promulgato nel 1446 con il documento Hunminjeongeum per promuovere l’alfabetizzazione e l’identità culturale coreana; la scrittura umanistica europea, nata tra XIV e XV secolo a partire dalla minuscola carolina e divenuta modello per i caratteri tipografici di Francesco Griffo e Aldo Manuzio, antenati dei moderni caratteri corsivi. Entrambe le invenzioni rispondono all’esigenza di chiarezza e accessibilità del sapere, segnando tappe fondamentali nella storia culturale di Oriente e Occidente. “CARATTERI” è un viaggio attraverso le forme del segno alfabetico: dal gesto meditativo della calligrafia coreana alla forza comunicativa della tipografia americana. La mostra invita a riflettere sul valore universale della scrittura come traccia dell’umano, luogo di incontro tra mente, corpo e cultura, e strumento di dialogo tra tradizione e contemporaneità. (gci)
ROMA, L’INSTALLAZIONE “POESIA” DI MARCELLO MALOBERTI A VILLA GIULIA
Un’installazione luminosa negli spazi della villa rinascimentale che ospita il Museo etrusco più importante al mondo e un libro celebrano la potenza della poesia invitandoci a guardare la realtà con occhi nuovi. Negli spazi esterni del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma – che ha sede nella Villa Rinascimentale voluta da Papa Giulio III, amante delle arti e della bellezza – dallo scorso 7 novembre al 6 febbraio 2026, l’artista Marcello Maloberti (Codogno, Lodi, 1966) presenta “POESIA”, a cura di Cristiana Perrella, un’installazione luminosa, ideata appositamente per il museo. Costruita fra il 1551 e il 1553 su progetto di Jacopo Barozzi detto il Vignola, Giorgio Vasari e Bartolomeo Ammannati, Villa Giulia è dunque la cornice rinascimentale che ospita la grande scritta al neon a luce bianca della parola “POESIA” capovolta ideata dall’artista. Le lettere, che ricalcano la grafia di Maloberti stesso, appaiono come sospese, sostenute soltanto da una struttura metallica di tubi innocenti, un’architettura temporanea che rimanda all’idea del cantiere, dello scenario urbano, del provvisorio. L’opera, come un’apparizione, si inserisce silenziosamente nella monumentalità del luogo, illuminando l’architettura con un ribaltamento, una parola capovolta che sembra caduta dal cielo creando una vertigine visiva che invita a leggere la realtà con occhi nuovi. L’arte del resto, come la poesia, agisce come dispositivo di disorientamento e rivelazione. Nel corso della sua ricerca Marcello Maloberti ha approfondito il binomio arte/vita utilizzando una pluralità di linguaggi – fotografia, video, performance, installazione, oggetti e collage – comunque attraversati da una forte componente performativa e dall’interazione con il pubblico. Andando oltre la quotidianità, con sguardo neorealista, straniante e onirico, e un approccio archeologico alla storia dell’arte, l’artista esplora temi come la dimensione poetica della parola, la sacralità del quotidiano, l’interesse per le trasformazioni del paesaggio urbano. La mostra sarà anche l’occasione per presentare il nuovo libro di Maloberti, edito da Treccani, anch’esso intitolato “POESIA”, in cui le sue celebri frasi scritte a mano, conosciute come “Martellate”, si presentano ora come atti poetici. Nel libro l’artista mette in atto una rinnovata modalità di scrittura, affrontando temi legati al sacro, al mistico e al divino, in una continua ricerca dell’Alto. Le poesie, come frasi oscure continuamente in cerca di senso e significato, irrompono sulla pagina bianca alternando umori e registri formali differenti. Il volume, in lingua italiana e francese, riporta le traduzioni di Jean Paul Manganaro. “POESIA” di Marcello Maloberti è un progetto di BAM, con il sostegno del main partner Istituto Gentili e del partner Aspesi, con il supporto tecnico di Baioni Comunicazione, MAG e NeonLauro; Follador è sparkling partner. (gci)
“TRA ARTE E SCIENZA”: A MILANO LE OPERE DI M.C. ESCHER
La mostra “M.C. Escher. Tra arte e scienza”, al MUDEC di Milano dallo scorso 25 settembre all’8 febbraio 2026, riporta a Milano dopo dieci anni di assenza uno degli artisti più affascinanti e riconoscibili del Novecento, Maurits Cornelis Escher (Olanda, 1898-1972). Attraverso un progetto espositivo interamente dedicato a lui, la mostra propone un nuovo sguardo sul suo percorso artistico. Noto per le sue architetture impossibili, illusioni ottiche, tassellazioni e metamorfosi, M.C. Escher ha creato un linguaggio visivo unico che unisce arte e matematica. Quella matematica fatta non di astratti ragionamenti degli accademici di professione, ma di un lungo, minuzioso e appassionato lavoro, basato su un approccio più intuitivo e percettivo. In Escher arte e scienza si fondono in una visione rigorosa, inventiva e profondamente personale, in un fil rouge che caratterizza fortemente la mostra. Con uno sguardo inedito, “M.C. Escher. Tra arte e scienza” indaga, inoltre, l’influsso dell’arte islamica – in particolare le decorazioni dell’Alhambra di Granada e della Mezquita di Cordova – nella costruzione dell’universo grafico che caratterizza lo stile distintivo dell’artista olandese. Infine, il percorso espositivo si sofferma su un Escher che di questo ‘universo grafico’ fece la propria cifra stilistica anche nella sua vasta produzione commerciale. La mostra ricorda come il genio di Escher si sia confrontato con ambiti applicati al design grafico: nella sua vita professionale l’artista realizza non solo stampe artistiche in fogli sciolti, ma anche illustrazioni, copertine di libri e riviste, ex libris, biglietti d’auguri, motivi decorativi per carta da regalo, tessuti, banconote e non solo. I lavori su commissione non hanno mai rappresentato per l’artista una parentesi minore, ma un terreno fertile per affinare il suo linguaggio visivo. Prodotta da 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE e promossa dal Comune di Milano-Cultura con il supporto di Turisanda1924 – esclusivo brand di viaggi parte di Alpitour World – e con il patrocinio dell’Ambasciata e Consolato Generale dei Paesi Bassi in Italia, l’esposizione è in collaborazione con il Kunstmuseum Den Haag ed è resa possibile grazie a Fondazione M.C. Escher. Grazie a questa preziosa sinergia è infatti possibile ammirare in un unico allestimento le importanti opere provenienti dalla collezione permanente del museo olandese, che custodisce la più grande collezione museale pubblica di M.C. Escher al mondo, di cui in mostra ritroviamo una significativa rappresentanza. La mostra è inserita nell’ambito dell’Olimpiade Culturale di Milano Cortina 2026. Il programma multidisciplinare, plurale e diffuso che animerà l’Italia per promuovere i valori Olimpici e valorizzerà il dialogo tra arte, cultura e sport, in vista dei Giochi Olimpici e Paralimpici Invernali che l’Italia ospiterà rispettivamente dal 6 al 22 febbraio e dal 6 al 15 marzo 2026. “L’arte e la scienza di Escher si incontrano in una grande mostra al Museo delle Culture di Milano”, sottolinea l’assessore alla Cultura del Comune di Milano Tommaso Sacchi, che prosegue: “Nei suoi lavori, il grande incisore olandese ha saputo creare un linguaggio visivo assolutamente originale fondendo geometria, illusioni ottiche e tassellazioni. Il percorso di mostra evidenzia come la sua ricerca si sia sviluppata da influenze culturali diverse, tra cui l’arte islamica, costruendo un ponte tra Oriente e Occidente, oltre che tra intuizione e logica, e tra arte e scienza”. I lavori dell’artista e incisore olandese sono, infatti, immediatamente riconoscibili per la loro predisposizione a rappresentare le cosiddette “costruzioni impossibili”, che esplorano il concetto di infinito, la tassellazione del piano e dello spazio, lo studio di schemi geometrici e metamorfosi che assumono gradualmente forme diverse e paradossali. Già nel 1926 la progettazione delle piastrelle per la pavimentazione del suo appartamento a Roma, in via Poerio, rivela una meticolosa attenzione alle proprietà di simmetria, relative sia al disegno sia ai colori. Ma fu soltanto dal 1937, dopo la lettura di alcuni articoli scientifici pubblicati su riviste di cristallografia – tra cui un fondamentale studio del matematico di origine ungherese Gyorgy Polya – che M.C. Escher intraprese una ricerca sistematica sulle tassellazioni regolari del piano euclideo e sui corrispondenti 17 gruppi cristallografici del piano. Di questo studio approfondito offrono eloquente testimonianza non solo gli schizzi nei suoi taccuini e quaderni, ma anche capolavori grafici quali Giorno e notte (1938) e Cavalieri (1946). L’incontro, nel 1954, con il matematico Harold Scott MacDonald Coxeter segnò l’inizio di una nuova fase nelle ricerche artistiche di M.C. Escher, che da tempo era interessato a trovare un ambiente geometrico atto alla creazione di “motivi” le cui dimensioni si facessero via via più piccole, procedendo dal centro verso la periferia, “fino a raggiungere il limite dell’infinita piccolezza”. Esplorando, con i metodi euristici a lui propri, l’universo delle tassellazioni regolari del disco iperbolico di Poincaré, Escher riuscì a raggiungere questo obiettivo, realizzando, tra il 1958 e il 1960, le opere di straordinaria complessità matematica che costituiscono la serie Limite del cerchio I - IV. La mostra indaga poi un aspetto ancora poco conosciuto dal grande pubblico, ovvero lo stretto rapporto che l’artista ebbe con l'arte islamica e le sue inconfondibili tassellazioni. L’uso delle simmetrie, la ripetizione modulare e la visione astratta dello spazio, elementi chiave dell’ornamentazione islamica, offrono a M.C. Escher uno spunto importantissimo per superare la rappresentazione naturalistica della realtà. Le somiglianze tra le tassellazioni dell'arte islamica e il lavoro di Escher risiedono proprio negli schemi matematici. Sebbene Escher e gli artisti dell’arte islamica utilizzassero gli stessi schemi geometrici, Escher però li “deformava” trasformandoli in figure riconoscibili: uccelli, pesci, esseri umani, cavalli e così via. Il Mudec dunque – attraverso le sue mostre dal concept espositivo caratterizzato – porta l’attenzione non solo sull’artista e sulla sua poetica, ma anche sulle fonti di ispirazione e i modelli culturali ‘altri’. A partire da questi presupposti, la mostra dunque si snoda percorrendo otto sezioni tematiche. Attraverso 90 opere di Escher tra incisioni, acquerelli, xilografie e litografie nonché oltre 40 oggetti islamici di confronto provenienti dal Kunstmuseum Den Haag e da altri musei milanesi tra i quali il MUDEC e il Castello Sforzesco – viene proposta al visitatore una chiave di lettura visuale e immediata dell’evoluzione stilistica dell’artista e dei temi a lui più cari, utile alla comprensione delle sue opere durante l’intenso arco di vita artistica. La mostra segue infatti l’evoluzione dell’artista: dagli esordi influenzati dall’Art Nouveau, alla scoperta dei paesaggi italiani, fino alla piena maturità, in cui M.C. Escher sviluppa un sofisticato uso di tassellazioni, cicli metamorfici, illusioni ottiche e rappresentazioni dell’infinito. Pur senza una formazione scientifica, l’artista riesce a visualizzare concetti matematici complessi con sorprendente intuizione grafica. Accanto alle opere iconiche, sono esposti disegni preparatori, acquerelli, studi di tassellazioni, materiali d’archivio e opere di arte islamica che documentano il suo processo creativo. Il percorso espositivo, inoltre, si focalizza anche – nelle sue sezioni iniziali – su una serie di confronti con altri maestri dell’arte grafica che si ritiene abbiano ispirato M.C. Escher o che hanno condiviso le medesime scelte espressive: un confronto inedito che mette in luce affinità stilistiche, influenze tematiche e corrispondenze visive, arricchendo la lettura dell’opera e inserendola in un contesto culturale più ampio. Lontano dalle mode del suo tempo, Escher seppe costruire un linguaggio unico, un ponte tra Oriente e Occidente, tra intuizione e logica, tra arte e scienza. Il comitato scientifico, supportato dalla Fondazione M. C. Escher e coordinato da Federico Giudiceandrea, su concept di Judith Kadee, curator del Kunstmusem Den Haag, è composto dai curatori Claudio Bartocci, docente di Geometria e Storia della matematica presso l'Università di Genova – per l’approfondimento dei legami di Escher con gli aspetti matematici e scientifici – Paolo Branca, professore di Lingua e Cultura Araba presso l’Università Cattolica di Milano – per indagare il rapporto con l’arte islamica – e Claudio Salsi, docente di Storia del Disegno, dell’Incisione e della Grafica presso l’Università Cattolica di Milano – per un affondo sulla produzione grafica dell’artista. Alle sezioni tematiche si affiancano lungo il percorso di mostra le installazioni multimediali, a cura dello studio di progettazione Maurits, che spiegano in modo assolutamente immediato, intuitivo e anche ludico i concetti di tassellazione e di infinito. Cos’è la tassellazione? Come si crea? Esistono 17 combinazioni possibili di trasformazioni geometriche: il video presenta un esempio per ciascuna di esse. Infine, a chiusura della mostra, una sorta di infinity room porta il visitatore a entrare in una camera immersiva dall’effetto caleidoscopico all’interno di una stanza a specchio, dove vengono proiettate animazioni in alta definizione sulle tassellazioni iperboliche di Escher, creando un ambiente visivamente affascinante e coinvolgente. (gci)
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