Prima venne il centauro, la figura mitologica metà uomo, metà cavallo, poi Valentino Rossi, la figura mitica metà uomo, metà moto. Un promemoria sulla sua grandezza sportiva è arrivato con la vittoria di Assen, dopo 44 gare senza vedere la prima posizione, che fanno quasi mille giorni di digiuno, conquistando la vittoria 106. Mettendo 106 cubi di podio uno sopra all’altro, dove s’arriva lo sa solo lui, solo lui conosce la felice gioia della solitudine dei primi e il punto di osservazione a cui l’hanno portato i suoi risultati. Noi lo possiamo misurare, fare paragoni storici col sempre citato Giacomo Agostini, dire che non vinceva per colpa della moto, dire che ora vince per merito della moto, ma a vivere la sua speciale condizione di campione è solo lui, nel chiuso dei propri caschi personalizzati. Come quando perde Roger Federer (ed è successo quest’anno sulla sua superficie migliore, l’erba di Wimbledon) e iniziano le cantiche della ritirata sui giornali, anche il dottor Rossi ne deve aver saltate parecchie di righe di rassegna stampa in suo sfavore. Il modo migliore per ricominciare a leggere è stato tornare al punto di partenza, dalla vittoria 105, datata 10 ottobre 2010, e aggiornare la data, col suo timbro inconfondibile. “Sono ancora incredulo, contento ma non ancora abbastanza... E’ bello tornare a vincere dopo tanto tempo, una soddisfazione incredibile. Ho lavorato tanto con chi mi è stato vicino, con la squadra, con la Yamaha che mi ha dato una possibilità. Oggi sapevo di avere chance di vittoria e ci ho provato: andavo forte dall’inizio e riesco a guidare meglio, sono forte in frenata e quando voglio passare qualcuno, lo passo: questo è il passo in avanti più importante che abbiamo fatto dopo gli ultimi test. E poi vincere ad Assen è una cosa fantastica!”. Quando voglio passare qualcuno, lo passo; semplice per il nove volte campione del mondo. Unico ad avere ottenuto il titolo nelle quattro classi 125, 250, 500 e Moto Gp. Di Valentino Rossi sappiamo che ama correre su tutto, forse anche sul monopattino, gli piace il Rally, ogni tanto si avvicina alla rossa di Maranello, qualcuno mormora che starebbe per salire sul Cavallino, ma per ora resta in sella alle due ruote. Sappiamo che pur nell’enorme popolarità che ha, mantiene una riservatezza atipica, tanto che per vederlo in barca con una ragazza, devi divorare una tonnellata di rotocalchi. Abbiamo letto e sentito delle sue opacità con il fisco, ma l’Italia in questi casi fa degli sconti, specie ai suoi simulacri. Ha delle eterne fedeltà: una al numero 46, col quale corre da sempre perché era il numero con cui correva il padre Graziano, anch’egli pilota. Torna spesso a Tavullia, il suo paese, pur essendo un cosmopolita. Per alcuni è sacro. Basta vedere che razza di tifo si organizza per le sue performance motoristiche. Ma quello che lo rende definitivamente benigno nel nostro immaginario è il suo sorriso. Uno come lui che non molla mai, che ha visto finire la giovane vita dell’amico Marco Simoncelli, praticamente lì, mentre correva pure lui, pieno di soldi e di medaglie, poteva finirla in quel momento, appendere la ruota al muro. Invece no, sta ancora in pista, chi glielo fa fare, ma sta lì a sperare d’esser solo, davanti a tutti. E ogni volta che da lassù, dal cubo più alto, ti innaffia di champagne, anche se non tifi per lui, non puoi che sorridere anche tu.
(Valerio de Filippis)
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