A GENOVA LE FOTO DI STANLEY KUBRICK
Fino al 25 agosto Palazzo Ducale di Genova ospita una grande mostra dedicata alla breve ma straordinaria carriera di fotografo di Stanley Kubrick. L’esposizione, presentata lo scorso anno in prima mondiale aii Musées Royaux des Beaux-Arts de Belgique a Bruxelles, è coprodotta da Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura e da Giunti Arte Mostre Musei, in collaborazione con il Museum of the City of New York - che custodisce un patrimonio ancora in parte sconosciuto di oltre 20.000 negativi di Stanley Kubrick. La rassegna testimonia la capacità di Kubrick di documentare la vita quotidiana dell’America dell’immediato dopoguerra, attraverso le inquadrature fulminanti e ironiche nella New York che si apprestava a diventare la nuova capitale mondiale, o l’epopea dei musicisti dixieland o degli artisti circensi. Presentate 160 fotografie appositamente tirate con stampa al bromuro d’argento dai negativi originali conservati nella Look Magazine Collection del Museo della città di New York, realizzate da Stanley Kubrick dal 1945 al 1950 quando, a soli 17 anni, venne assunto dalla rivista americana Look, grazie a una fotografia che ritrae un edicolante a New York il giorno della morte del presidente Roosevelt. Dopo pochi mesi, appena diciottenne, ne diventa uno dei fotoreporter di punta. (Red)
IL DESIGN ITALIANO INCONTRA IL GIOIELLO
Triennale Design Museum presenta un’ampia rassegna dedicata al gioiello dei designer italiani. La mostra “Il design italiano incontra il gioiello”, fino all’8 settembre al Triennale DesignCafé di Milano, percorre un arco temporale che va dagli anni Cinquanta a oggi, attraversa stili e momenti differenti, dal Razionalismo al Post Moderno fino al Minimalismo: un percorso con salti generazionali che includono grandi maestri e giovani designer, produzione industriale e pezzi unici. Presentata una rassegna storica con numerosi progetti inediti presentati per la prima volta a Milano e una sezione con gioielli progettati e realizzati ad hoc per la mostra da 18 designer. Triennale Design Museum ha reintrodotto, con la mostra Il Design della Gioia, nel 2004, una particolare attenzione al tema del gioiello, negli anni successivi di nuovo protagonista di altre esposizioni. Per la curatrice Alba Cappellieri, professore di Design del Gioiello al Politecnico di Milano “questa mostra presenta la più ampia rassegna mai dedicata ai gioielli dei designer italiani, progettisti cioè abituati a confrontarsi con tipologie che vanno dall’arredo all’illuminazione ma che non hanno mai considerato il gioiello come una sfida in cui cimentarsi. Certo, i padri del design italiano progettarono anche gioielli ma ciò avvenne nel privato degli affetti, come doni per familiari e amici e non come ambito di ricerca professionale. Da Roberto Sambonet a Ettore Sottsass e Michele de Lucchi, da Gianfranco Frattini, Sergio Asti, Alessandro Mendini o Gae Aulenti fino a Mario Bellini, Antonio Citterio, Fabio Novembre questa mostra interseca generazioni e linguaggi, maestri e giovani talenti nel segno del gioiello. La mostra presenta 72 designer che definiscono l’intelligenza del design italiano in un gioiello. Al centro del progetto vi è l’uomo, il rispetto della sua anatomia, la preferenza per il comfort piuttosto che per lo choc, l’evoluzione piuttosto che la rivoluzione, la bellezza e la qualità piuttosto che l’astrazione o il concetto. I gioielli, con il loro pluralismo semantico, rappresentano in questo scenario la perfetta intersezione tra eterno ed effimero, materia e concetto, tradizione e sperimentazione, business e bellezza”. (Red)
LA COLLEZIONE MICRO-QUADRI DI CESARE ZAVATTINI
Universalmente noto per la straordinaria attività di scrittore e sceneggiatore del cinema neorealista, Cesare Zavattini coltiva costantemente un altrettanto entusiasta dedizione all’arte, alla pittura soprattutto, di cui è sia autore che accanito collezionista. L’interesse per il pennello è una “folgorazione”, la scoperta di un “divertimento”, che lo porta a dipingere e a circondarsi per tutta la vita di quadri: “Che gioia profonda mi danno i quadri, se avessi soldi non farei altro che comprare quadri”. Infatti in circa quarant’anni Zavattini ne raccoglie quasi 1500, in una collezione unica soprattutto per il formato prescelto: 8 x 10 cm. Non potendo permettersi “quadri grandi perché costavano troppo”, ripiega sui “piccoli” e si inventa il collezionismo di “opere minime”. La dimensione ridotta va richiesta e Zavattini, committente esigente e appassionato, stabilisce lo standard dimensionale delle opere, lasciando agli artisti libertà di scelta di materia, tecnica e soggetto. L’invito a entrare a far parte di una serie, unica e straordinaria, perché volutamente non monumentale, raggiunge praticamente tutti gli artisti dell’epoca e trova consenso pressoché unanime. La raccolta, iniziata nel 1941, trova spazio nella casa romana di via Sant’Angela Merici, le cui pareti in breve tempo si rivestono completamente di una tappezzeria di minuscole: nature morte, paesaggi, soggetti astratti, ritratti e soprattutto autoritratti. “A tutti i pittori ho chiesto l’autoritratto, così ho anche gli autoritratti di quasi tutti i pittori italiani nelle dimensioni suddette”. Lo circondano per anni i volti di: Fontana, Burri, Balla, De Chirico, Savinio, Capogrossi, Severini, Rosai, Casorati, Sironi, Mafai, Soffici, De Pisis, Campigli, Afro, Consagra, Depero, Guttuso, Sassu, Dorazio, Manzù, Leoncillo, Melotti, Marini, Schifano, Vedova, Rotella, Festa, Turcato, Munari, Pistoletto, Plessi, solo per citarne alcuni. Purtroppo nel 1979 Zavattini è costretto, per ragioni economiche, a vendere questa “enciclopedia della pittura del Novecento”, che verrà quindi smembrata e in parte dispersa. Nel 2008 un consistente nucleo di ben 152 dipinti, tutti autoritratti, diventa proprietà della Pinacoteca di Brera. Conservati per anni in deposito e recentemente sottoposti ad accurato restauro - e ripristino delle cornici originali, perdute al momento della vendita - gli splendidi “Autoritratti minimi” di Brera vengono presentati per la prima volta al pubblico, fino all’8 settembre, accanto ad alcuni autoritratti dipinti da Zavattini stesso. (Red)
MICHELANGELO PISTOLETTO AL LOUVRE
Il museo del Louvre inaugura con Michelangelo Pistoletto un nuovo ciclo di mostre di artisti contemporanei. Di tutti gli inviti fatti ad artisti contemporanei nella prestigiosa sede museale francese quello all’artista biellese di fama mondiale è senza dubbio quello che interroga più da vicino i differenti momenti temporali: il passato retrospettivo rappresentato dal patrimonio museale stesso, il presente dei visitatori catturato negli specchi, ed il futuro simbolizzato dal simbolo del Terzo Paradiso, attraverso un’opera monumentale creata appositamente per il Louvre. La mostra “Anno 1, il paradiso sulla terra”, fino al 2 settembre, segna in effetti il passaggio ad una nuova era, quella di una trasformazione umana, sociale, culturale, politica, celebrata nel mondo intero il 21 dicembre 2012 per mezzo di diverse installazioni e performances, tra cui quella nella Cour Napoleon del Louvre. L’inserimento di opere di Pistoletto in molteplici dipartimenti del Louvre permette un dialogo con la storia dell’arte, dall’antichità ai giorni nostri, ed incarna l’incontro di diverse civiltà: fa dunque da cassa di risonanza a tutto ciò che rappresenta la vocazione fondamentale del museo del XXI secolo. Dai suoi primi Quadri specchianti, che ci invitano ad una riflessione sulla funzione del quadro e ad una messa in dubbio della prospettiva, fino alle sue ultime opere come The Mirror of Judgement o Il tempo del Giudizio, l’artista fa confrontare, integrandoci nell’opera, con la nostra responsabilità all’interno dell’evoluzione del mondo. In questa direzione prospettica si inserisce una sezione della mostra interamente dedicata a Cittadellarte, con un allestimento ideato da Juan Esteban Sandoval e Paolo Naldini di Cittadellarte. La fondazione di Cittadellarte, a Biella, è la dimostrazione più visibile del passaggio dalla creazione individuale, iniziata con l’ autoritratto, alla creazione collettiva ed internazionale, che raggruppa diversi campi delle scienze umane. “Amate le differenze”, “Love difference”: questa frase in differenti lingue, luminose ed appese sulle mura del vecchio Louvre medioevale, sono il riflesso delle preoccupazioni dell’artista riguardo alle identità multiple emerse con la globalizzazione, in particolare nel Bacino del Mediterraneo. Dalle antichità greche e romane al dipartimento di pittura, passando per la Corte Marly e le mura di Carlo VI, il Louvre è così attraversato, attivato dalla presenza delle opere di Michelangelo Pistoletto, ed impregnato dalla visione dell’artista che pone ogni visitatore di fronte al simbolo del Terzo Paradiso. Questo simbolo rappresenta per lui il passaggio dal binomio natura ed artificio, femminile e maschile, una nuova matrice di pensiero per immaginare altre relazioni tra l’uomo e la società, così come un’altra economia del mondo. (Red)
A NEW YORK I CORPI SOGNANTI DI ALESSIO DELFINO
La Kip Gallery di New York presenta fino al 17 luglio la terza mostra personale di Alessio Delfino nella Grande Mela. Nella mostra “Reves” il 37enne fotografo savonese presenta alcune gigantografie che esaltano il corpo femminile per descriverne le identità multiformi. Delfino crea scene in cui corpi "danzanti" sono usati come metafore dei processi mentali coinvolti nei sogni e nei ricordi, in dialogo con i nobili padri della fotografia sequenziale, come Eadweard Muybridge, ma anche con la pittura cubo-futurismo di Picasso, Balla e Duchamp. Il curatore Nicola Davide Angerame, nell'introduzione del catalogo per la mostra di New York, parla di “una miscela di diversi momenti nel tempo e nello spazio, usando il corpo come un viatico, come immagine guida che lo conduce in una multidimensionalità in cui è possibile demolire la rigidità della realtà, al fine di portare a termine l'impresa alchemica di sintetizzare non la realtà, ma le sue condizioni di possibilità: quelle ‘forme pure a priori della sensibilità’ che il filosofo tedesco Immanuel Kant definisce le condizioni di possibilità della percezione”. Come scrive il filosofo Alessandro Bertinetto: "Con i suoi Reves, Delfino ci conduce in un mondo in cui le forme naturali evocati dal grande biologo e filosofo tedesco Ernst Haeckel aperto verso l'universo, infatti, essi si aprono verso l'universo umano”. (Red)