di Paolo Pagliaro
Quando comincerà a invecchiare chiederemo a Vittorio Sermonti come vorrà essere ricordato: se per le sue letture pubbliche della Commedia dantesca o per le centinaia di regie, per le poesie o per i racconti e i romanzi, le traduzioni, le lezioni, gli studi sul rapporto tra la voce e la scrittura, o per la sua vita così piena di passioni.
O forse, chissà, lo ricorderemo perché ci verrà utile la sua raccolta di aforismi che ruotano attorno all’idea che la morte non esiste.
Sta di fatto che per ora, a 84 anni, Sermonti decide di sorprendere ancora regalandoci per Rizzoli una nuova versione delle Metamorfosi di Ovidio, fiducioso che un simile grande tesoro che il mondo antico fornì all’immaginazione di Dante, possa interessare anche il pubblico dei giorni nostri.
Questa fiducia, a prima vista ingenua oltre che interessata, si fonda sulla convinzione che tutti noi godiamo di un sommesso ma fermo diritto all’anacronismo, e dunque all’imprevedibilità. Questo vale anche per i ragazzi, che, scrive Sermonti, non è detto debbano scegliere tra un sapere in 140 caratteri e nessun sapere.
Continueranno pur sempre a sognare storie insensate come facevamo noi, a mentire come mentivamo noi, a illudersi e talvolta a non sapere chi sono, come non lo sapevamo noi.
Allora potrà venire in soccorso la lettura, che richiede sì perseveranza e abnegazione, ma promette anche inattesi piaceri, tanto più se per tradurre le Metamorfosi - una monumentale raccolta di miti, racconti, aneddoti, orazioni, psicodrammi che ha forgiato la cultura dell’Occidente per due millenni, un’opera che Sermonti definisce il dizionario mitologico dell’adolescenza - se per tradurle, dicevamo, si usa l’italiano con cui pensiamo e parliamo oggi, come fa questo elegante intellettuale che il Novecento ha voluto prestare al nostro millennio. (4 giu)
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